01 ottobre 2025

Tra velocità e autodistruzione: la parabola dell’arte e della tecnologia, in un nuovo saggio

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Dal Futurismo a Tinguely, una riflessione sull’arte del Novecento, per capire come la macchina ha cambiato estetiche, creato simboli e orientato visioni: la storia raccontata in un nuovo saggio di Luca Palermo

Raoul Hausmann, ELASTICUM, 1920

È impossibile negare che in tutti noi insorgono paure e angosce legate agli scenari di guerra di questi anni. Ciò che colpisce, oltre lo sdegno per le inenarrabili efferatezze perpetrate ai danni delle popolazioni, è il dispiegamento bellico, l’uso delle armi e dei sofisticati dispositivi delle macchine da guerra. Colpisce e ci opprime l’ostentazione delle parate militari, la messa in scena di missili, carri armati, droni, aerei, truppe e reggimenti. Colpisce – per fare alcuni esempi – il vanto, “l’orgolio” che la Russia di Vladimir Putin, la Corea del Nord di Kim Jong, a ogni buona occasione rimarcano, mostrandoci la potenza dei loro arsenali. Impressionante è l’impiego indiscriminato degli ordigni utilizzati dal governo israeliano nei confronti del popolo palestinese che non ha neanche l’acqua per dissetarsi. Crea sdegno il cieco cinismo dell’America First di Donald Trump che antepone la logica degli interessi mercantili e del commercio delle armi, alla invalicabile dignità umana.

In questo tragico scenario di regressione dai principi fondamentali su cui è fondato il Diritto Internazionale Umanitario, ritorna la cogente, imprescindibile questione della tecnica e della tecnologia. Quel potere che nel corso dei millenni l’uomo ha sviluppato per uno scopo salvifico o distruttivo. Una storia – come ha ribadito in molte occasioni Carlo Sini – che è la storia dell’uomo, del suo rapporto con gli strumenti “esosomatici’” a partire dall’umile selce scheggiata e dal bastone, alla navicella spaziale (Stanley Kubrik docet, 2001 Odissea nello spazio).

Tutti sanno che il destino dell’uomo, oggi, è strettamente legato alla sua capacità di indirizzare e governare la potenza della tecnica e le sue declinazioni, comprendere i limiti e il raggio di espansione: una sfida che consiste nell’afferrare con consapevolezza i corni della dicotomia uomo-macchina; dicotomia che nel corso dell’evoluzione tecnologica ha visto l’uomo ora esaltarsi nella consapevolezza del suo potere creativo e progettuale, di rimedio e di offesa; ora adombrarsi nella zona oscura del dubbio, delle mani insanguinate dalle armi taglienti, dovuta all’incontrollabilità della sua “creatura”: intesa come concetto allargato di macchina, fino all’attuale intelligenza artificiale.

È la storia dei nostri giorni, in cui il passato, il presente e il futuro sembrano schiacciati nella morsa tragica degli eventi. Si pensi anche alla “macchina” messa in moto dai fondatori del Transumanesimo che, sulla spinta ideologica di un sedicente neo-positivismo, auspica l’utilizzo della scienza con l’uso di biotecnologie, nanotecnologie e AI, per superare i limiti della condizione umana per prolungare la vita. Si pensi a Elon Musk, fondatore di Future of Life Institute; ai “lungotermisti” della Silicon Walley, “all’Utopia dei miliardari” (TLON editore 2024), cosi definita da Irene Doda. Utopia che trasuda l’arroganza verticistica e antidemocratica dei miliardari tech.

Ma la storia dell’uomo è anche quella dell’arte che, per principio, opponendosi ai processi distruttivi, tende a elevare la materia e lo spirito sul piano estetico e concettuale. A tale proposito, risulta molto preziosa la ricerca di Luca Palermo – Storico dell’Arte Contemporanea Università di Cassino – che rivolge lo sguardo alla prima metà del Novecento per analizzare l’influsso che l’avanzata della tecnologia e delle macchine ha esercitato sulle sensibilità degli artisti e dei movimenti.

Nel suo brillante saggio Le forme della macchina. Struttura, simbolo, funzione da Marinetti a Tinguely (Silvana Editoriale, 2025), l’autore mette in luce gli orientamenti estetici e filosofici di alcuni indiscussi protagonisti delle avanguardie storiche, proprio in relazione alla dicotomia uomo-macchina, evidenziando, con una capillare ricerca, le loro interpretazioni e soluzioni artistiche. Si parte dal Futurismo per arrivare a Tinguely; Futurismo che con Marinetti, ispirato dal precursore e scrittore Mario Morasso, eleverà l’inno alla macchina, vera e propria esaltazione e mito della velocità.

Vladimir Majakovskij

Anche in Russia – sottolinea Palermo – «Il desiderio di dissolvere la pratica artistica e le ragioni estetiche in una società costruita su e guidata dalle macchine trova una sua materializzazione nel Costruttivismo che, sulla spinta della Rivoluzione russa, intravede nella macchina uno strumento da plasmare e da utilizzare per un radicale rinnovamento del mondo». Infatti, artisti come Vasily Kamensky, Velimir Khlebnikov, David Burliuk e Vladimir Mayakovsky intravidero, nelle molteplici potenzialità meccaniche, un nuovo punto di partenza per scrollarsi di dosso metodologie ritenute stantie. Lo stesso Tatlin punterà alla strutturazione di una «Tecnologia umanizzata».

Il Dada berlinese, come è noto, invece tenderà a decostruire la macchina. Personaggi come George Grosz, John Heartfield e Raoul Hausmann spezzeranno radicalmente le pretese di un’idea tradizionale e spirituale dell’arte in un mondo che andava a strutturarsi sulle funzioni delle macchine. Con loro ritorna, a corrente alternata, il rapporto dicotomico amore-odio nei confronti della scienza e della tecnologia: come si evince nel fotomontaggio Elasticum realizzato nel 1920 dallo stesso Raoul Hausmann il quale, tra immagini e parole, opera un vero e proprio sconvolgimento strutturale e sintattico. Dunque distacco, nei confronti della “cieca fede nelle scienze” e, in Grosz, amara ironia verso i disastri della guerra.

Francis Picabia, Enfant carburateur, 1919. Solomon R. Guggenheim Museum, New York. © 2023 Artists Rights Society (ARS), New York / ADAGP, Paris

Dal canto suo, con il suo stile “meccanomorfo”, Picabia si presenterà come il Canter di un ristretto gergo linguistico, un linguaggio per pochi non privo di un certo entusiasmo nei confronti della tecnica che lo porterà a quell’alto “simbolismo meccanico” tanto ricercato, come nell’Enfant carburateur.

E, dunque, questi sono soltanto alcuni esempi, perché il lettore troverà nel lungo excursus di Le forme della Macchina le analisi particolareggiate delle opere di Duchamp, Man Ray, Max Ernst, Bruno Munari, Làslò Moholy-Nagy, Alexander Calder e Jean Tiguely.

E, per tornare alla drammaticità del nostro presente e al tema uomo-macchina – oggi declinabile in tutte  le sue nuove forme tecnologiche – riportiamo alcune lucide e lungimiranti parole di Gustav Metzger citate da Luca Palermo, apparse nel Primo Manifesto dell’Arte Auto-distruttiva del 1959: «L’arte autodistruttiva rievoca la martellante ossessione per la distruzione alla quale le masse e gli individui sono soggetti…[…] L’immensa capacità produttiva, il caos del capitalismo e del comunismo sovietico, la coesistenza di sovrapproduzione e inedia; lo stoccaggio in aumento di armi nucleari – più che abbastanza per distruggere le società tecnologiche; gli effetti disintegrativi delle macchine e della vita in vaste aree urbanizzate sulle persone».

Luca Palermo, Le forme della macchina. Struttura, simbolo, funzione da Marinetti a Tinguely, Silvana Editoriale, 2025, ISBN 9788836660629, Studio finanziato dall’Unione Europea Next Generation EU

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