24 maggio 2022

Acquistare arte per passione. Intervista a Roberto Spada

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Come nasce una collezione? E quali sono gli aspetti fiscali più controversi, nella compravendita d'arte? Ne abbiamo parlato con il commercialista e collezionista Roberto Spada, tra aneddoti, mostre e progetti

roberto spada
Roberto Spada, managing partner - Studio Spada Partners

Noto commercialista milanese, ma anche collezionista con una passione per le opere di giovani talenti. Nel suo studio, Spada Partners, ama circondarsi degli stessi lavori che lo fanno sentire a casa – qualche nome? Praneet Soi, Charles Avery, Ibrahim Mahama. E poi allestisce mostre temporanee, aperte al pubblico, come quella dedicata a Chiara Camoni e Luca Bertolo, 1897 – Dove andiamo?, attualmente in scena nei nuovi uffici di Bologna. Roberto Spada (Cuneo, 1963) si racconta attraverso 20 anni di collezione, con uno sguardo sempre attento alle questioni fiscali annesse al mondo dell’arte.

Intervista a Roberto Spada, managing partner dello Studio Spada Partners

Prima commercialista, poi collezionista. O, meglio, entrambe le sfaccettature insieme. Come dialogano tra loro queste due “personalità”? 
«Direi benissimo, anche perché la passione per la mia professione non ostacola quella per l’arte contemporanea e viceversa. Colleziono da circa vent’anni e oggi le opere d’arte hanno contaminato – oltre che casa – anche i miei uffici, così che possa fruirne anche quando sono al lavoro. Anche le nuove sedi di Bologna e Roma sono state allestite con opere della collezione o con mostre temporanee dedicate ad artisti italiani di respiro internazionale come Chiara Camoni e Luca Bertolo».

Iniziamo proprio dalla collezione, allora. Com’è cominciata? Qual è stato il primissimo acquisto? 
«La primissima opera che ho acquistato è Hombre Candela di Cristina Garcia Rodero, la vidi alla Biennale di Venezia nel 2001. Passeggiavo lungo le Corderie dell’Arsenale e il mio sguardo venne rapito da una fotografia. Provai a fare finta di niente, ma come un mantra ripetevo dentro di me questa frase: “Non posso pensare di vivere senza quell’opera d’arte”. Lo so, sembra irrazionale e naif quanto una cotta fra adolescenti, ma è proprio così che succede. Portata a casa la fotografia, ancora non sapevo che quel meccanismo sarebbe scattato molte altre volte ancora. Certamente lo sviluppo della collezione – in particolare i primi anni – è avvenuto grazie anche al rapporto di amicizia con l’avvocato e collezionista Giuseppe Iannaccone, e con la storica gallerista milanese Claudia Gian Ferrari e ai nostri viaggi alla ricerca di giovani artisti in giro per il mondo. Quando decisi con loro di acquistare due sculture dell’artista indiano Praneet Soi, Claudia mi rassicurò dicendo che, se mi fossi stancato di vederle in casa, le avrebbe comprate lei. Capii che avevo scelto bene».

Dettaglio dell’opera di Chiara Camoni, Sister #03, terracotta policroma e ferro, 210x75x80 cm, Ph. Paola Pansini, allestita nello Studio Spada Partners Milano

E poi, come è proseguita? C’è un filo rosso che accomuna tutti i lavori della sua raccolta?
«Sono rimasto fedele, nel tempo, all’idea che l’opera d’arte debba parlare prima ancora di conoscerne la storia. Oggi la mia collezione è caratterizzata anche da una ricerca e da un dialogo con gli artisti. È il caso di una delle mie ultime acquisizioni, una scultura che accoglie chi viene a trovarmi nello studio milanese: Sister, una terracotta policroma di Chiara Camoni che sublima la vita quotidiana, un’arte viva le cui forme si rinnovano ogni volta che la si guarda. E poi lungo le pareti del corridoio che abbracciano gli uffici sono allestite, al fianco di nomi già consolidati nel panorama artistico internazionale, opere di talenti emergenti come Binta Diaw, Emanuele Cantò, Luca De Leva o Shafei Xia – solo per citarne alcuni. Mi sono reso conto che anche la serialità nelle opere mi affascina molto. Ho ad esempio un lavoro formato da 365 sculture di Davide Monaldi in ceramica o ancora un’altra opera formata da 238 fotografie digitali stampate su carta di cotone di Maria Morganti, scattate giorno dopo giorno nello stesso tratto di fondamenta in cui si trova il suo studio a Venezia. Mi piace, di Maria, il suo pensiero, la sua ripetitività anche maniacale».

In generale, preferisce affidarsi al mercato primario o secondario per implementare la sua collezione?
«Nella maggior parte dei casi, vista anche la mia passione per opere di artisti molto giovani, mi affido al mercato primario. Raramente mi è capitato di confrontarmi con il mercato secondario e generalmente, quando è avvenuto, è stato per un motivo ben preciso. Ricordo, ad esempio, quando gli eredi Gian Ferrari misero in asta le opere della collezione di Claudia e decisi che mi sarei aggiudicato alcuni pezzi che amavo molto della sua collezione e che mi avrebbero ricordato anche un’amica».

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Maria Morganti, Serie Acque, 2018, 238 fotografie digitali stampate su carta di cotone ciascuna 30 x 21 cm, Ph. Andrea Rossetti, allestita nello Studio Spada Partners Milano

Personalmente, trova un limite nelle vendite online?
«Difficile che io compri online perché ho bisogno di vederle dal vero, di provare delle emozioni che lo schermo di un pc non riesce a trasmetterti. Spesso non riesci neppure a renderti conto delle dimensioni, figurati provare un’emozione».

A proposito di artisti giovani: ha incluso anche NFT tra le sue opere, dopo il boom dell’ultimo anno?
«No, non è un mercato che al momento mi interessa e a cui guardo, non sono nelle mie corde ma se qualcuno mi farà innamorare anche di questo… Io sono più fisico: nel mio ufficio, per farle un esempio, preferisco essere circondato dai sacchi di Juta di Ibrahim Mahama».

Il pezzo della collezione a cui è più affezionato. 
«Un gruppo di lavori di Charles Avery acquistato molti anni fa. Rimasi estasiato dalla sua mostra a Londra alla Parasol Unit Foundation, se avessi potuto avrei comprato tutto il museo! Ho le sue opere allestite nella mia casa di Milano e non potrei vivere senza».

Il suo ultimissimo acquisto, invece? 
«A Bologna, nello stand di Francesca Minini, ho acquistato due lavori di Jacopo Benassi. Il suo modo di raccontare, attraverso il focus di dettagli, delle storie intime mi incuriosisce così come l’idea di crearci un mondo intorno composto di cornici fatte in casa e di vetri tagliati. Questi lavori mi sembrano quasi delle sculture».

Ibrahim Mahama, Jsira – Sos, 2015, sacchi di carbone, sacchi tinti con marcature e serigrafia, dimensione variabile, Ph.Andrea Rossetti, allestita nello Studio Spada Partners Milano

Quest’anno, alla Biennale di Venezia, ha sostenuto il progetto di Gian Maria Tosatti. Ci racconta qualche dettaglio?  
«Con il nostro studio di professionisti, quest’anno – e come è già accaduto nelle precedenti edizioni – sosteniamo il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia. Credo sia un dovere di chi ama l’arte contribuire a sostenere, anche economicamente i progetti che ci riguardano da vicino. Peraltro, sono rimasto affascinato dall’opera di Gian Maria Tosatti diversi anni fa quando acquistai per la mia collezione Histoire et destin – New Man’s land (Rainbow). Così, quando ho saputo della sua partecipazione alla Biennale di Venezia come unico artista nel Padiglione Italia, non potevo non sostenerlo».

In che modo, secondo lei, questa edizione della Biennale influenzerà gli investimenti dei collezionisti?
«La Biennale serve a far conoscere l’arte del nostro tempo e le tendenze più interessanti. Questa in particolare è caratterizzata da una vasta presenza femminile a partire anche dai due Leoni d’Oro alla carriera. Immagino quindi che gli investimenti di alcuni collezionisti stiano andando in questa direzione come pure verso l’arte non necessariamente occidentale».

Passiamo al lato fiscale. Quali sono gli aspetti su cui i collezionisti richiedono maggior supporto, in questo senso? 
«Il diritto di seguito, la notifica sull’arte contemporanea e anche la questione fiscale legata a quelle persone che vorrebbero donare le proprie collezioni o darle in comodato a musei e istituzioni. So anche, per la professione che svolgo, di persone che hanno tentato di donare collezioni e di renderle fruibili al pubblico e hanno incontrato ostacoli insormontabili».

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Dettaglio opera di Davide Monaldi, 365, 2015,ceramica smaltata, dimensioni variabili, Ph. Andrea Rossetti, allestita nello Studio Spada Partners Milano

A che punto siamo rispetto agli altri Paesi europei? 
«Dal punto di vista pubblico abbiamo ancora molta strada da fare. Pensiamo al turismo d’arte e a quanta gente va a farne all’estero. In Italia dovremmo cercare di creare un sistema pubblico come quello di Fondazione Prada o Hangar Bicocca, per citarne un paio che attraggono turisti, e poi dovremmo intervenire anche per agevolare la vendita di opere – e quindi il legislatore dovrebbe interrogarsi sull’IVA che in Italia oggi al 22%, già alta di per sé, lo è ancora di più se si considera che è un’imposta che colpisce le persone fisiche, in quanto “consumatori finali” del bene e che in altri Paesi è molto più bassa».

Perché investire in arte – rispetto, ad esempio, ai titoli finanziari? Quali sono i vantaggi? E i rischi? 
«Premesso che non mi interessa l’investimento in arte, credo che oggi in particolare alcuni giovani siano molto attratti dall’investimento che dia loro risultati immediati. Acquistano opere in società con la speranza nel giro di poco tempo di ottenere rilevanti plusvalenze. Per fare questo devi avere anzitutto buone disponibilità economiche e conoscere molto bene il sistema dell’arte perché diversamente, se non hai un professionista al tuo fianco, rischi, come in borsa, che si trasformi in un fiasco, perdendo anche molti soldi».

Per concludere: un consiglio a un giovane che volesse iniziare la propria collezione. 
«Comprare per passione, solo opere che piacciono e di grande qualità».

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