19 febbraio 2024

Aste: il Codice Santini cerca un museo

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Nel 2012 lo Stato italiano lo riconosceva come patrimonio culturale, a fine mese il manoscritto rinascimentale andrà in vendita al migliore offerente, da Il Ponte Casa d’Aste. Ne abbiamo parlato con il capo dipartimento Stefania Pandakovic

Codice Santini. Courtesy Il Ponte Casa d'Aste

C’è un lotto eccezionale in vendita da Il Ponte Casa d’Aste. D’eccezione, e non tanto per dire, anche lo Stato italiano lo ha riconosciuto ufficialmente come patrimonio culturale nel 2012. Lo chiamano Codice Santini, è un manoscritto urbinate del Quattrocento, il suo autore celebra su pergamena il mondo delle macchine civili e militari – una sorta di Leonardo prima di Leonardo, il che rende questa testimonianza incredibilmente preziosa e rara. Ora sarà la casa meneghina a decretarne il valore sul mercato, con una vendita all’asta in programma il prossimo 27 febbraio, la stima è di € 380.000 – 450.000. Un solo limite: in quanto “tesoro nazionale”, l’opera non può lasciare il territorio italiano; una grande opportunità, di conseguenza: il codice potrebbe trovare posto, ben presto, nelle sale di un museo nostrano. Ne abbiamo parlato con Stefania Pandakovic, capo dipartimento Libri e Manoscritti della maison.

Intervista con Stefania Pandakovic, capo dipartimento Libri e Manoscritti de Il Ponte Casa d’Aste 

La prima domanda è d’obbligo, per la sua contestualizzazione: in quali circostanze nasce il Codice Santini?
«Il Codice Santini viene redatto in un ambiente strettamente connesso alla Corte dei Montefeltro e della Rovere a Urbino, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. Siamo nel pieno fervore del Rinascimento, in un momento in cui geni, idee, arte e tecnologia correvano verso varie parti di Italia e d’Europa, ma partendo perlopiù proprio da Urbino che in quegli anni era il vero fulcro umanistico, artistico e scientifico».

Che cosa racconta, oggi, il Codice Santini? Che cosa contiene?
«Si tratta di una rara testimonianza di ciò che avveniva a livello artistico e tecnologico negli anni in cui Leonardo da Vinci ideava o portava a compimento le sue opere. Personalmente mi ha affascinato molto immergermi in quello che era il mondo Prima di Leonardo (nome della celebre mostra che si è tenuta nel 1991 a Siena, a cura di Paolo Galluzzi) e dunque di arrivare a comprendere l’importanza fondamentale di questi manoscritti di macchine, nella cui cerchia possiamo annoverare i celebri Codicetto e Opusculum de architectura di Francesco di Giorgio Martini (oggi al rispettivamente alla Biblioteca Vaticana e al British Museum) e il Codice Ashburnham 361, che contiene le note manoscritte dello stesso Leonardo (oggi alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze)».

Codice Santini. Courtesy Il Ponte Casa d’Aste

L’autore è ignoto. È possibile che si tratti di una miscellanea di più mani?
«La mano è unica ed è quella di un artista vicino a Francesco di Giorgio Martini. Il paragone con le tavole contenute nell’Opusculum de architectura del British Museum a mio avviso non lascia dubbi, si tratta di una mano molto vicina. All’interno del Codice Santini vi sono poi alcune aggiunte davvero interessanti, probabilmente di mano di un lettore o studioso che in anni molto vicini a quelli di esecuzione ha voluto apportare un suo contributo».

C’è qualche tavola, in particolare, su cui vi siete soffermati?
«Come spiegato dallo studioso Sergio Bettini – a riprova del fatto che il Codice Santini sia stato eseguito da mano esperta – abbiamo confrontato la tavola dell’Opusculum del codice martiniano del British Museum, che riproduce l’acquedotto di Toledo, con la stessa immagine riportata in copie cinquecentesche di altri manoscritti. La città è posta su un monte, con l’acqua del fiume che scorre a valle e un sistema di aspirazione dell’acqua costituito da un’enorme ruota munita di pale, azionata dalla corrente del fiume, che muovendo tre pignoni successivi aziona due lunghe pompe di aspirazione. Il Santini è l’unico fra i codici che, illustrando lo stesso soggetto, riporta ben visibile sulla porta della città l’indicazione topografica e che ne riproduce il sistema a doppia pompa con massima precisione. Nella copia conservata alla Biblioteca di Firenze, per esempio, la macchina non potrebbe funzionare: le pale sono rappresentate nel verso sbagliato, il pignone inferiore è impreciso e anche il sistema alternato che aziona le pompe è stato frainteso».

Codice Santini. Courtesy Il Ponte Casa d’Aste

Che cosa sappiamo della discendenza del Codice, dei mecenati e dei collezionisti a cui è appartenuto?
«L’ingresso del Codice Santini nella collezione dei Duchi di Urbino è posteriore al 1498, in quanto non è registrato nel primo inventario della Biblioteca – il cosiddetto “Indice vecchio” dove sono invece per esempio registrate due opere di Francesco di Giorgio. Sappiamo però che è appartenuto con sicurezza alla biblioteca dei Duchi Montefeltro e Della Rovere di Urbino, dal momento che è presente nell’ultimo inventario della biblioteca, redatto da Francesco Scudacchi nel 1632. Come riportato dalla Dottoressa Marcella Peruzzi, in quest’inventario la voce del Codice è affiancata dalla parola “manca”; l’inventario fu evidentemente redatto copiandone la prima parte da un precedente inventario e andando a verificare materialmente a scaffale la presenza dei volumi. L’estensore avrà così rilevato la mancanza del Codice Santini e avrà depennato la registrazione, inserendo appunto la nota “manca”. Il Codice fu tramandato per successione ereditaria fra famiglie della nobiltà pesarese e urbinate ed è giunto agli attuali proprietari dalla famiglia De Pretis di Urbino, a loro volta imparentati con i Gavardini e con gli Antaldi». 

CODICE SANTINI
Codice Santini. Courtesy Il Ponte Casa d’Aste

Un retroscena che mi incuriosisce sempre molto: come è avvenuta la stima di un’opera così eccezionale? Quali sono stati i metri di paragone?
«Non è facile stimare un tesoro così. Siamo in quella sfera di oggetti che vengono spesso descritti con la formula “valore inestimabile”. La stima di partenza è stata pensata sulla base di alcune vendite avvenute negli anni, per esempio un codice di macchine su carta (dunque non su pergamena!) del Cinquecento, comprato dal Getty in America negli anni ’80 per circa £ 100.000. È importante tenere a mente che gli unici manoscritti comparabili si trovano nei più importanti musei e biblioteche del mondo. Questo è l’unico in mano privata e non vi saranno altre occasioni per comprarlo in futuro».

Notifica che diventa opportunità. È questo il caso? O si tratta più di un vincolo, a livello di burocrazie?
«Il giorno che abbiamo lanciato la notizia del Codice Santini, i telefoni qui al Ponte hanno iniziato a squillare con telefonate da tutto il mondo per conoscere la stima e per sapere se il bene potesse essere esportato. La notifica è sicuramente un’opportunità per chi ha la possibilità di tenere in Italia un manoscritto talmente prezioso che all’estero sarebbe stato venduto per milioni di euro».

Domanda direttissima: dove lo vedrebbe esposto, un domani? In altre parole, chi sarebbe l’acquirente ideale?
«La speranza sarebbe certamente quella di saperlo in uno dei nostri celebri musei o biblioteche – non faccio nomi per non fare favoritismi, ma siamo in contatto con molti di questi. Personalmente sarebbe bello che un mecenate o una grande azienda potessero donarlo a una di queste istituzioni. E perchè no, la persona che lo compra non deve necessariamente essere italiana, potrebbe trattarsi anche di un amante dell’arte e del nostro Paese che dall’estero decida di fare questo gesto».

codice santini
Codice Santini. Courtesy Il Ponte Casa d’Aste

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