01 maggio 2021

iRaiser Benchmark 2020, la donazione media per la cultura supera tutte le altre

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Cultura e fundraising digitale, buone notizie dall’ultimo report. Intervista a Francesca Arbitani, Country Manager Italia di iRaiser

Il Parco Archeologico di Pompei è tra le 10 organizzazioni culturali italiane che raccolgono fondi grazie alle piattaforme di iRaiser.

Via libera ai luoghi della cultura nelle zone gialle d’Italia. Ripartono musei, parchi archeologici, cinema, teatri, tutti si preparano al fantomatico turismo estivo. Ma chi – e in che modo – è arrivato fino a questo punto? Chi è sopravvissuto alla crisi di un settore che, nel nostro Paese, vale il 6% del PIL ed è costituito in gran parte da strutture non profit? In un anno che ha reso impossibili altri metodi di coinvolgimento, una risposta forte e chiara è arrivata dal digital fundraising.

iRaiser – piattaforma per le donazioni digitali – ha fotografato l’andamento di questa strategia in diversi stati europei. I risultati dell’Italia? Senz’altro considerevoli: un totale di 1,8 milioni di euro raccolti, l’11% dei fondi destinati al settore culturale e la donazione media per la cultura pari a 120 € – la cifra più alta tra la media di tutte le donazioni italiane (56 €). Ne abbiamo parlato con Francesca Arbitani, Country Manager Italia di iRaiser.

Intervista a Francesca Arbitani, Country Manager Italia di iRaiser

Fundraising digitale e Italia. Come si è evoluto questo binomio dopo lo scoppio della pandemia?
«Come per la stragrande maggioranza dei settori, la pandemia ha dato una forte spinta alla digitalizzazione del fundraising. All’inizio di marzo 2020 molte delle forme tradizionali di fundraising sono state bloccate: gli eventi sono stati annullati, e addirittura il sistema postale si è fermato per qualche settimana o comunque ha subito importanti ritardi. Il digitale è quindi diventato in un attimo l’unico modo per raccogliere fondi e la realtà è che gran parte delle organizzazioni non era realmente pronta. Molte sono riuscite ad affrontare il cambiamento velocemente e hanno raccolto fondi durante l’emergenza, altre invece si sono completamente fermate, incapaci di adattarsi al cambiamento, e chiaramente le attività e i budget ne hanno risentito».

Dal Museo Egizio di Torino al Parco Archeologico di Pompei. Ad oggi, sono 10 le organizzazioni culturali italiane che raccolgono fondi grazie ad iRaiser. Qual è stata per voi la sfida più difficile nel comunicare questa nuova strategia? I vantaggi del digital fundraising per la cultura sono apparsi subito chiari ai potenziali beneficiari?
«Siamo un Paese con un patrimonio culturale immenso, ma non siamo abituati a sostenerlo con piccole donazioni da privati. Il problema iniziale non è stata la sfida digitale, una scelta in realtà più in linea con il carattere internazionale delle organizzazioni culturali, ma soprattutto veicolare la possibilità che fare fundraising potesse essere una via per affrontare questa crisi. Soprattutto nella prima fase dell’emergenza le organizzazioni non volevano fare fundraising perché ritenevano la loro causa meno importante di tutte le altre emergenze in corso».

Dall’ultimo iRaiser Benchmark emerge che l’11% dei fondi raccolti nel 2020 sia stato destinato alla cultura – con un’offerta online media ben superiore agli standard italiani. Chi sono quindi i benefattori di questo settore? Possiamo tentare un identikit?
«La pandemia ha colpito tanti settori in modo trasversale, ma non possiamo negare che i più colpiti siano stati quelli considerati più poveri. Dopo oltre un anno sappiamo però che, fortunatamente, tante persone hanno conservato il posto di lavoro e anzi, si sono trovate paradossalmente in una posizione di maggiore possibilità di risparmio. Possiamo poi di sicuro ipotizzare che i sostenitori delle organizzazioni culturali siano in primis appassionati: le persone che andavano a teatro, a vedere una mostra o a un museo e ne hanno sentito la mancanza. In molti casi (lasciatemi dire purtroppo) in Italia questo identikit viene completato da una situazione sociale più agiata. È normale, siamo all’inizio: ma il fundraising può essere un altro tassello utile nel processo di democratizzazione della cultura. Quello che abbiamo visto nell’ultimo anno è che nonostante prima del 2020 veramente poche organizzazioni culturali facessero fundraising – e praticamente nessuna digital fundraising – i primi esperimenti hanno ricevuto una buona risposta. Questo fa ben sperare per una evoluzione futura».

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Galleria Borghese è tra le 10 organizzazioni culturali italiane che raccolgono fondi grazie alle piattaforme di iRaiser. Ph. L. Romano

Soffermiamoci allora sul rapporto con la community, con gli interlocutori del progetto. Esiste una regola d’oro per avvicinare e, soprattutto, per “fidelizzare” il pubblico alla propria mission?
«Come diciamo spesso qui ad iRaiser, non esistono regole particolari per il settore culturale diverse dalle tradizionali regole di fundraising. La prima regola è sempre chiedere: sembra banale ma non lo è. Se non chiedi gli altri non possono sapere che hai bisogno e questo vale anche per la cultura. E non ci si deve vergognare: lo si fa per coinvolgere e costruire progetti di valore. La seconda regola è sicuramente chiedere alle persone più vicine e legate all’organizzazione: visitatori e spettatori in primis. Fidelizzare arriva per ultimo nel processo, ma non per questo ha meno importanza: il fundraising è relazione, è fatto di persone ed è centrale creare una connessione speciale con chi decide di sostenere una causa. Ringraziare e ringraziare bene è fondamentale, ma anche e soprattutto aggiornare, rendicontare e ricoinvolgere fa parte dello stesso processo. Una strategia di fundraising che punta solo ai soldi (magari una volta sola e poi basta) non può funzionare».

In generale, quali sono i punti essenziali per la riuscita di un progetto di digital fundraising destinato alla cultura?
«Come non esiste un fundraising speciale per la cultura, non c’è una formula magica di fundraising digitale. Chiaramente ogni organizzazione ha le sue specificità e la sua storia: bisogna seguire poche regole e saperle personalizzare e declinare per il proprio pubblico. Un esempio? La maggioranza dei visitatori del Louvre è giapponese, e per questo per la sua campagna di raccolta fondi ha creato una pagina di donazione in giapponese con valuta in Yen: un modo per andare incontro alle persone che gli sono vicine. Il settore cultura può trarre un grande vantaggio dal digitale dato che permette ad esempio di raggiungere il proprio pubblico in tutto il mondo, varcando ogni confine territoriale e di lingua».

I due casi più emblematici di raccolta fondi per la cultura a cui abbiate assistito negli ultimi mesi.
«Se ne devo citare solo due allora scelgo il Museo Egizio di Torino e Mare culturale urbano di Milano: la prima un’organizzazione abbastanza grande e riconosciuta a livello mondiale, la seconda una piccola realtà milanese. Il Museo Egizio nel 2020 ha creato una trasformazione digitale dei suoi servizi e della sua comunicazione che ha dello straordinario e alla fine dell’anno ne ha raccolto i frutti sperimentando la prima campagna di Natale. Mare culturale urbano invece si è trovato ad affrontare un momento di grande difficoltà ed è riuscito a trasformarlo in un’occasione di partecipazione e coinvolgimento».

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