03 maggio 2024

Louise Nevelson da Phillips: oltre alla vendita, c’è di più

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Nata nel 1899, eppure attualissima, eternamente contemporanea. Margherita Solaini (Specialist, Associated Director del dipartimento Modern & Contemporary Art di Phillips) racconta a exibart le ragioni della nuova selling exhibition, tutta dedicata alla pioniera della scultura

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Louise Nevelson, Studio Marconi, Milan, 1973. © Enrico Cattaneo

Milano, via Lanzone. Casa Phillips, proprio nel cuore delle 5Vie. C’è la mostra dedicata a Louise Nevelson (1899-1988) nella nuovissima sede della maison internazionale, una selling exhibition che mette in dialogo le sue sculture monocromatiche, il suo amore per il legno, per la vernice, che indaga il suo personaggio fuori tempo, eccezionale «in ogni modo possibile». In giro per il mondo, quegli assemblaggi di nero, bianco e oro sono stati acquisiti dalle più importanti collezioni, dalla Tate Gallery di Londra al Museum of Modern Art di New York. All’asta, il suo record è di $ 1,4 milioni – «non è molto» se il confronto è con la controparte maschile. Ne abbiamo parlato con Margherita Solaini, Specialist, Associated Director, Modern & Contemporary Art, Phillips.

Intervista con Margherita Solaini, Specialist, Associated Director, Modern & Contemporary Art, Phillips

Iniziamo dalle origini. Come è nata l’idea di questa selling exhibition?
«Pensavamo da tempo a una mostra monografica, dedicata a un unico artista. Una mostra con una certa gravitas, che ci permettesse di indagare un nome a fondo, e magari di metterlo in relazione con il mondo contemporaneo e i grandi temi del presente. L’occasione è arrivata con questo nucleo di bellissimi lavori di Louise Nevelson. È un’artista affascinante e complessa – davvero, davvero attualissima. Meritava di occupare il nostro intero spazio espositivo al numero 2 di via Lanzone».

In che modo è «attualissima», come l’hai definita?
«In ogni modo possibile. Louise Nevelson è una perenne straniera, perfettamente in linea con il tema della 60esima Biennale di Venezia, che ha appena inaugurato. È nata a Kiev da una famiglia ebrea, e per questo, in una nazione profondamente cattolica, già nei primi anni di vita si sente sempre esclusa. Emigrata presto in America e stabilitasi nel Maine, inizialmente non conosce una parola di inglese, quindi eccola di nuovo “straniera”. La sua famiglia parlava yiddish a casa e si vestiva in modo diverso dagli altri, che sicuramente non aiutava. È in questo contesto che, quasi per trovare conforto alla solitudine forzata, inizia a giocare con il legno. Da un semplice gesto, la rivelazione che la contraddistinguerà̀ per tutta la vita: lei vuole fare l’artista. Lo sa e lo dice fin da bambina».

Installation View. Louise Nevelson. Beyond the Surface, Milan Exhibition. 11 April – 30 June 2024. Photo Credit: Alessandro Zambianchi. Courtesy of Phillips

Una donna artista e fuori dagli schemi.
«Eccome. E non un’artista “romantica”, con olio e cavalletto, ma un’artista con chiodi e martello in mano. Carla Lonzi scrive che la sua è “un’ambiguità̀ tutta al femminile”, non si è mai arresa perché “le è capitato di essere una donna”. Dall’inizio alla fine è focalizzata solo e soltanto sull’arte, tutto il resto – l’amore, la famiglia – sono subordinati a questa esigenza viscerale. All’inizio degli anni ’30 lascia il marito, il broker Charles Nevelson che l’aveva portata a vivere a New York, la città che amava più di ogni altra, per viaggiare da sola attraverso l’Europa e frequentare la scuola di Hans Hofmann a Monaco. Un percorso piuttosto anticonvenzionale per una donna cresciuta nella rigida società di inizio Novecento, non trovi?».

Hai accennato anche alla religione, all’inizio. Ha avuto un peso nelle sue opere?
«Questa è una domanda molto significativa, se si parla di Louise Nevelson. Trasformerei la parola “religione” in “spiritualità” e ti direi che, sì, la spiritualità ha avuto un ruolo importante nel suo lavoro. Mi piace pensare al suo processo creativo come a un rituale, simile a quelli radicati nella tradizione sudamericana che, anche grazie al suo maestro Diego Rivera, Nevelson conosce benissimo. Con il colore nero distrugge la vita vecchia (lei ama profondamente il nero: “Include tutti i colori, è il più aristocratico di tutti i colori, e quello che più perdona”, dice); con il bianco, che scopre nel 1959, attua una sorta di purificazione; infine c’è l’oro, introdotto nei primi anni ’60, che rappresenta la rinascita. Insomma, non si tratta semplicemente di raccogliere legno e materiale per strada e assemblarlo insieme. C’è molto di più».

Margherita Solaini. © Maria Moratti

Ti chiedo: i collezionisti conoscono tutta questa storia? E di conseguenza, comprendono la sua attualità?
«Sinceramente credo ci sia ancora molto da approfondire. Si tende ad accostare Louise Nevelson alla nostra Arte Povera, qua in Italia, o al Ready-Made, specialmente all’estero. Ma manca la conoscenza del “meccanismo eterno”, di questa sorta di nuova vita, che è il significato più profondo di tutte le sue opere. Secondo me Nevelson è stata incredibile e unica in ogni cosa che ha fatto – perfino nel vestire, amava gli abiti lunghi in velluto, le ciglia finte, i foulard di seta, creava da sé i suoi gioielli. E poi è rimasta sempre fedele a se stessa, ha avuto successo negli anni ’60, ma era dagli anni ’30 che scolpiva il legno e dagli anni ’50 che raccoglieva, assemblava, ridava anima e colore alle cose. E continuò a farlo fino alla fine, imperterrita, al di là di qualsiasi moda o convenzione».

E qui entra in gioco il senso “educativo” delle selling exhibitions. Oltre alla vendita c’è molto di più, giusto?
«Esatto. Per noi di Phillips è l’occasione perfetta per mettere in risalto una figura che ha un significato profondo ancora oggi. E la nostra nuova sede milanese, che ha inaugurato lo scorso settembre nel cuore delle 5Vie, si presta moltissimo in questo senso. Il nostro spazio è intimo e sofisticato, con i pavimenti di Caccia Dominioni, sembra quasi un ambiente domestico. Penso che sia interessante per i collezionisti vedere le opere esposte qui, li invitiamo a immaginare questi pezzi all’interno di un contesto che ricorda una casa. La mostra offre così una visione nuova e promuove il dialogo, l’analisi e la comprensione più profonda della pratica di Nevelson».

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Installation View. Louise Nevelson. Beyond the Surface, Milan Exhibition. 11 April – 30 June 2024. Photo Credit: Alessandro Zambianchi. Courtesy of Phillips

In questo modo, tra l’altro, si svecchia quell’idea di casa d’aste come luogo polveroso e senz’anima, legato esclusivamente alla vendita…
«È bello che sia così. La sede di via Lanzone è nata proprio con l’obiettivo di rafforzare il rapporto con i collezionisti esistenti e creare legami nuovi. Stavamo allestendo una delle nostre mostre temporanee qualche tempo fa e una coppia di collezionisti ci ha visti dalla finestra e ha deciso di entrare per dare un’occhiata. Non avevano mai avuto contatti con Phillips, prima di allora. È nato tutto in questo modo».

Di fatto, l’obiettivo finale resta la vendita. Puoi dirmi quanto costano le opere che avete esposto a Milano?
«Il range di prezzo è fra i 200.000 e i 300.000 euro per le sculture grandi. Ti direi che non è molto, specialmente se il confronto è con le quotazioni dei “contemporanei maschi” di Nevelson. È importante tenere presente che si tratta di un’artista storicizzata che ha attraversato quasi l’intero arco del secolo scorso. Nel corso della sua carriera ha esposto alla mostra curata da Dorothy Miller nel 1959 al MoMa di New York, 16 Americans, con Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Frank Stella e gli altri, ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1962, Celant l’ha inclusa nella sua Biennale nel 1976…».

Qual è allora il “freno” della sua affermazione sul mercato, secondo te? Perché, rispetto a tanti suoi contemporanei, non ha ancora spiccato il volo?
«È un discorso complesso e sfaccettato. Sicuramente al momento c’è una forte tendenza verso la pittura e l’arte figurativa, la Biennale appena inaugurata ne ha dato un’ulteriore conferma. Nevelson è lontana da questo trend, al contrario delle pittrici Espressioniste Astratte che, dopo decenni di svalutazione anche di mercato, negli ultimi anni hanno finalmente ricevuto il meritato riconoscimento. Lei è a sé stante, resiste alla classificazione all’interno di un movimento, l’unicità è ciò che la contraddistingue. La sua natura eternamente “straniera” la rendeva fuori dal tempo anche quando era in vita e per questo Louise Nevelson, così come ogni sua opera, sarà sempre e per sempre contemporanea. Adesso è ancora un ottimo momento per rendersene conto».

Installation View. Louise Nevelson. Beyond the Surface, Milan Exhibition. 11 April – 30 June 2024. Photo Credit: Alessandro Zambianchi. Courtesy of Phillips

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