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Visioni radicali e sperimentazioni artistiche alla Couture Parigi Autunno/Inverno 2025
Moda
Tra addii – quello di Demna da Balenciaga -, ritorni e nuovi debutti, la settimana della Paris Couture rimane il momento che celebra la sperimentazione all’insegna di un linguaggio che unisce, almeno in alcuni casi, attivismo e arte. Non solo abiti di altissima artigianalità ma mise en scene e performance, per immaginare il mondo che verrà e per riflettere sul ruolo della moda oggi.
Maison Margiela Artisanal: la prima prova di Glenn Martens come direttore creativo
Il debutto di Glenn Martens alla direzione creativa della linea Artisanal di Maison Margiela è stato uno degli eventi più attesi della settimana. Lo stilista belga ha portato in scena una collezione intensamente teatrale e struggente, ambientata in un’ex morgue trasformata in spazio post-romantico.
Il risultato è stato un viaggio emozionale attraverso corsetteria barocca, maschere metalliche e silhouette scolpite, in bilico tra mistero e fragilità.
Martens ha saputo tradurre il linguaggio Margiela – decostruzione, citazione, anonimato – in una grammatica profondamente fisica e coraggioso.

Come ha ben commentato Antonio Mancinelli: «Glenn Martens ha fatto ciò che solo pochi osano: è salito sul palcoscenico più temuto della moda, la couture, sapendo di varcare un tempio dove due dèi, Margiela e Galliano, ancora riecheggiano nei corridoi. Il primo, alchimista dell’essenziale, sperimentava e riciclava con quella grazia sobria che rendeva i suoi abiti non solo concettuali, ma anche facili da indossare. Il secondo, invece, maestro della teatralità, ha fatto del brand un’opera barocca mobile.
Martens ha recuperato materie, tecniche e suggestioni con lucidità, spingendo lo stile a indagare l’inquietudine. Le maschere, belle e disturbanti, evocano non l’anonimato discreto di Margiela ma una presenza aliena, intrappolata, come se il volto sia ridotto a superficie di metallo o plastica, come se l’abito non basti più: più totem che accessori, prigioni da volto più che ornamenti, in nome di un patto tra bellezza e angoscia.

Ci sono ripetizioni, pesantezze, enfasi, camminate cerimoniali e un po’ tediose. Ma è un debutto e il debutto, si sa, non si giudica con la bilancia dell’equilibrio. Si accoglie per il rischio, l’intento, il gesto. E in questo gesto, Martens ha riportato Margiela in un discorso contemporaneo, pur allontanandosi dal suo minimalismo funzionale: couture come spazio di tensione, non come comfort. E se a tratti il teatro prende il sopravvento sul guardaroba, va detto che è proprio quello il punto: offrire un primo atto denso, nutrito, potente.
Non tutto convince, ma molto scuote, pur mancando quell’essenzialità vestibile che era il cuore di Margiela. Si esce dallo show un po’ confusi, un po’ divertiti, con la sensazione di aver visto qualcosa di importante. A chi storce il naso, ricordiamolo con un sorriso: era un esordio. E un esordio, più che perfetto, dev’essere indimenticabile».

Schiaparelli by Daniel Roseberry
Questa stagione Daniel Roseberry guarda al passato per una riflessione sul futuro, prendendo come punto di partenza quel giorno di giugno del 1940, in cui Elsa Schiaparelli lasciò la sua amata Parigi per New York per sfuggire ai pericoli dell’invasione nazista della Francia. Nel creare questa collezione di alta moda, il designer statunitense ha voluto porre l’attenzione sulla tensione che esisteva in un momento segnato dai cambiamenti senza precedenti legati alla guerra.
Al centro della sfilata, non solo l’omaggio all’eredità di Elsa Schiaparelli, ma un’intensa riflessione su cosa significhi oggi parlare di moda. Il designer ha immaginato una moda “post-futura” – la collezione si chiama Back to the Future – dove la filosofia che guida è la sottrazione del colore, scelta simbolica che rafforza il concetto di purezza visiva e mentale. Il bianco e nero diventano così linguaggio narrativo, evocando un’epoca sull’orlo della trasformazione con qualche accento di rosso e argento.
Come racconta lo stesso Roseberry: «Ci siamo allontanati dai bustier, che sono diventati una sorta di linguaggio per noi, per esplorare maggiormente i tagli sbiechi, i volumi flute e altre aree della couture che sono state meno esplorate nelle ultime stagioni, ma che ci permettono comunque di ottenere un risultato forte e soddisfacente. Eliminando tutto ciò che è strettamente moderno, spero che la collezione possa essere parte di un movimento verso il futuro, piuttosto che cadere in qualcosa di retrò o nostalgico».
La maison ha inoltre annunciato che da marzo 2026 aprirà la prima grande mostra Schiaparelli: Fashion becomes Art al Victoria & Albert Museum di Londra, che ripercorre un percorso che inizia con la fondazione della maison negli anni Venti alla sua rinascita contemporanea sotto la guida di Daniel Roseberry.
Iris van Herpen: l’abito come organismo vivente
Il ritorno di Iris van Herpen ha portato la couture in un’altra dimensione. La collezione Sympoiesis è un’ode alla coesistenza tra uomo e natura. L’abito simbolo è costruito con 125 milioni di microalghe bioluminescenti, che reagiscono a luce e temperatura, rendendo il tessuto “vivo”. Ma non è solo estetica futurista: ogni look è costruito su tecnologie sostenibili, materiali biodegradabili e un design ispirato a forme acquatiche, coralli, meduse, strutture cellulari.
La couture di Van Herpen è poetica biomimetica: una moda che respira, che evolve, che immagina nuovi habitat. È couture come ecosistema vivente, in cui ogni gesto è consapevolezza, e ogni abito una nuova specie. Guidata dalla teoria di James Lovelock, Iris van Herpen guarda all’oceano non come un ecosistema isolato, ma come parte integrante di una coscienza biosferica più ampia. «Oceano, atmosfera e clima sono tutti connessi. Non sono sistemi indipendenti, ma strettamente intrecciati in un tessuto autoregolante», rifletteva Lovelock.
È su questa visione che si fonda la collezione: un’esplorazione della profonda interconnessione tra il corpo umano e l’oceano, il più vasto e cruciale ecosistema del nostro pianeta, responsabile di oltre la metà dell’ossigeno che respiriamo. Van Herpen non si limita a evocare lo stato di pericolo in cui versano i mari, ma ne celebra anche la bellezza intrinseca, attingendo al linguaggio corporeo della pioniera della danza Loie Fuller per restituire l’intero spettro delle forme oceaniche — dalla potenza delle maree agli organismi amorfi e cangianti che lo abitano.
Germanier – Les Joueuses: l’ironia sostenibile
Tra gli show più discussi è stato quello di Kevin Germanier che ha firmato lo show più provocatorio della settimana. In Les Joueuses, la couture si gonfia letteralmente: abiti-scultura fatti di palloni rosa shocking, materiali plastici recuperati e volumi volutamente grotteschi. In un mondo appesantito da crisi e incertezze, Germanier sceglie lo slancio del gioco come punto di partenza, scuotendo i codici con colori e forme iper colorati. Le stampe – pois maliziosi, righe infuocate, leopardo dipinto o serpente stilizzato – si scontrano in una sinfonia visiva dove volumi stravaganti e colori accesi si abbracciano in continuo dialogo. Ma dietro questa leggerezza si nasconde un rigore: quello dell’artigianalità senza compromessi, fedele all’essenza stessa dell’haute couture.

È una dichiarazione pop, queer, post-kitsch – ma profondamente responsabile: ogni tessuto è frutto di riciclo, ogni look è stato realizzato attraverso processi etici e inclusivi. «If it pops, it pops», ha dichiarato Germanier con ironia. Ma sotto l’apparenza ludica si cela un messaggio forte: la sostenibilità può essere radicale, colorata e non noiosa. La couture diventa playground consapevole e un manifesto culturale.
Jordan Roth, Radical Acts of Unrelenting Beauty
Chiude simbolicamente la settimana la performance site specific di Jordan Roth, nella Cour Marly del Louvre. Jordan Roth è un performer, collezionista, imprenditore culturale e figura iconica nel panorama della moda e del teatro contemporaneo. Conosciuto per la sua estetica audace e per la capacità di trasformare il proprio corpo in un mezzo espressivo, Roth fonde arte performativa, costume e identità in una pratica che sfida le convenzioni e celebra la metamorfosi. Il suo lavoro, al confine tra performance, moda e attivismo queer, esplora il potere della narrazione visiva e dell’auto-rappresentazione come strumenti di liberazione personale e collettiva.

Nel cuore del Louvre ha presentato un rito visivo in tre atti – Red, Wings, Pyramid – che ha trasformato il suo corpo in una scultura vivente tra luce, movimento e proiezioni. I suoi abiti si trasformano, si animano, diventano architetture mobili che dialogano con lo spazio e la storia dell’arte.
La scena finale, in cui il performer diventa una piramide luminosa è un atto di trasformazione totale: la couture come esperienza immersiva, spirituale e rituale. Un gesto potente, che ridefinisce i confini tra moda, corpo e tempo.
«Questa performance di moda narrativa rappresenta una pratica artistica che sintetizza gran parte della mia vita professionale, creativa ed emotiva fino ad ora», ha spiegato lo stesso Roth. Con il supporto di sei ballerini e la musica di Thomas Roussel, il suo lavoro è stato parte della più ampia programmazione de La Nuit de la Mode, una serata che segna l’ultima celebrazione della mostra di successo Louvre Couture.