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A Milano c’è una mostra da perdere la testa
Mostre
Perdere la testa da BKV Fine Art non è solo il titolo di questo articolo, e della mostra di cui parla, ma è proprio quello che potrebbe accadere varcando le soglie della galleria di via Fontana 16, fino al 20 dicembre. Perdere la testa. Ma perché? Sin da bambini capita spesso di sentire espressioni del tipo «ha proprio una bella testa», a proposito di qualcuno di particolarmente brillante, o «Mario ha sempre la testa fra le nuvole», come l’aristofanico filosofo, o ancora «quello lì è proprio una testa calda», per non parlare poi delle fin troppo note teste di rapa, che sfortunatamente affollano le giornate di tutti. Di nuovo, la testa è il soggetto protagonista di frasi come «tenere la testa sulle spalle» o «finalmente hai messo la testa a posto», ancora «tieni la testa alta»: tutte frasi che alludono, in sostanza, a una sua ricollocazione. E come Gianni Biondillo racconta nel suo saggio breve, istintivamente viene da chiedersi: «Non dovrebbe essere dove è sempre stata, sempre allo stesso posto?». Eppure con gli anni, quasi senza accorgersene, a volte la testa si finisce davvero per perderla. Ed è proprio questa l’intuizione che guida il percorso espositivo lungo le preziose stanze di BKV Fine Art.
Qualcuno che sicuramente la testa l’ha perduta in innumerevoli raffigurazioni è proprio il Giovanni Battista. La sua decapitazione è esposta in numerosi esemplari, e in diverse versioni, a Casa Koelliker. Allestita con diverse opere provenienti proprio dalla collezione di Luigi Koelliker e da varie raccolte private, la mostra si snoda lungo le sale dell’appartamento, un tempo destinato agli ospiti del magnate, oggi sede della galleria. Al piano terra si viene immediatamente circondati da una fitta selezione di dipinti che hanno come punto in comune l’iconografia della vittima – vittima intesa come colei che effettivamente la testa l’ha persa, e in questo caso, si diceva, San Giovanni.
Ed ecco quindi una quindicina di dipinti cinquecenteschi che ritraggono la testa mozzata del santo, affiancati da diciassette tele e tavole di età più barocca che raffigurano, con toni un po’ più gore, il medesimo soggetto. Al centro della stanza due teste mozzate, entrambe in marmo, una sempre raffigurante il Battista, realizzata da uno scultore anonimo del XVII secolo, l’altra dal titolo GorilBattista, del 2011 ad opera del duo di scultori bolognesi Bertozzi & Casoni. Quest’ultima, come il titolo può far intuire, mette sul piatto una questione un po’ meno spirituale, più concreta e sicuramente più attuale; l’estinzione di intere specie animali, come quella dei Gorilla, causata dall’uomo e dalle conseguenze dell’ultraconsumismo sfrenato: è simboleggiata dal cranio della grossa scimmia contornato da una lattina accartocciata e da guanti di plastica.
Sempre all’ingresso, a sinistra, si incontra la scultura Auto da fé (2024) di Andrea Salvatori che, realizzata con oggetti di recupero, ritrae la condizione dell’artista odierno, vittima decollata a sua volta dal mercificante e squilibrato sistema dell’arte contemporanea. A farle compagnia, una grande rappresentazione del Juan Bautista Maino che ritrae la famigerata Salomé con la tanto citata testa del santo, che allo stesso tempo fa da sfondo a sette simulacri del capo sacrificato, comprese due versioni di Domenico Poggino della testa mozza di un piccolo martire cristiano.
Proseguendo per le sale del pian terreno s’incontrano tre stampe su acciaio inox di Arash Nazari, i cui soggetti – tutti decapitati – fanno il verso alla scultura romana acefala protagonista del corridoio, subito prima della scala che prelude al primo piano. Salita quest’ultima,si entra nel vivo nella sezione dedicata ai carnefici, Giuditta, David e Perseo, i taglia teste. Nelle storie di ciascuno di loro c’è una testa mozzata a simboleggiare la vittoria dell’oppresso sul suo oppressore. Oltre ai meravigliosi e caravaggieschi dipinti tematici presenti sul piano, si alternano espressioni più contemporanee come la Giuditta (1932) di Arturo Martini o la foto di Vik Muniz, Medusa, after Caravaggio (Picture of Junk) del 2009, o ancora l’imponente Number 3 (Self-Portrait of Caravaggio as Goliath, Michelangelo Merisi) di Julian Schnabel.
La mostra è accompagnata da un catalogo che riproduce le opere esposte e il loro allestimento negli spazi della galleria, con un testo di Leyre Bozal, storica dell’arte e curatrice spagnola, e un racconto di Gianni Biondillo.