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Andrea Appiani «per eccellenza il pittore del Secolo». A Milano la grande mostra
Mostre
Le fonti dell’epoca lo descrivono come un novello Raffaello, ma la fama raggiunta in vita non trova corrispondenze nel grande pubblico dei nostri giorni. Con la mostra Appiani. Il Neoclassicismo a Milano, a cura di Fernando Mazzocca, Francesco Leone e Domenico Piraina, Palazzo Reale tenta di gettare una nuova luce su uno dei più importanti artisti italiani a cavallo tra Settecento o Ottocento, interprete delle trasformazioni politiche e culturali all’epoca dell’ascesa di Napoleone.

Andrea Appiani: un pittore raffinato nella Milano dell’Età dei Lumi
Nato a Milano nel 1754, Andrea Appiani incarna appieno i valori del Secolo dei Lumi, filtrati attraverso una sensibilità e un’eleganza tutte meneghine. Nelle opere dell’artista è infatti facile scorgere oltre al talento di un pittore colto e consapevole, anche la raffinatezza di un uomo cresciuto in un contesto privilegiato per l’Europa di secondo Settecento. Appiani entra in contatto con personalità intellettuali note a livello internazionale, quali Pietro Verri e soprattutto Giuseppe Parini, quando questi era cattedratico a Brera. L’artista lavora per le più raffinate committenze, eseguendo alcuni splendidi ritratti in parte presentati lungo il percorso di mostra. La conoscenza dotta della mitologia e della letteratura antiche lo aiuta inoltre nella resa dei soggetti classici, come ben rappresentato dalle quattro tele con Storie di Venere, un tempo collocate nei sovrapporta del salottino dorato di Palazzo Melzi a Milano.

Dai volti dei personaggi di Appiani non traspare alcuna tensione, nei loro gesti si ritrovano grazia e delicatezza, e nella composizione dominano armonia e proporzione. Il suo linguaggio figurativo, che pur evolve nel corso di una carriera lunga e prestigiosa, rimane coerente con il gusto neoclassico che imperava nell’Europa dell’Illuminismo e che gli valse innumerevoli lodi. Appiani era infatti noto come «il David italiano» (intendiamo Jacques-Louis, quello della Morte di Marat, non il marmo – pur elegante – di Michelangelo), o anche come «il pittore delle Grazie».
Palazzo Reale: il cantiere più importante della Milano asburgica e napoleonica
Sotto il governo di Maria Teresa e Ferdinando d’Asburgo Milano attraversa una fase di grande splendore, nella quale artisti e architetti lavorano alacremente per adeguare al gusto neoclassico i luoghi principali della patinata aristocrazia cittadina. Di questa fase, il cantiere di Palazzo Reale è forse l’esempio più illustre: coordinato da Giuseppe Piermarini, prodigioso allievo del Vanvitelli, il progetto coinvolge numerosi artisti di fama come Albertolli, Traballesi, Levati e lo stesso Appiani. Con l’avvento del Triennio rivoluzionario e il consolidamento del potere di Napoleone, il Palazzo Reale di Milano viene destinato a reggia imperiale ed è in questa fase di transizione che ad Appiani vengono commissionate le decorazioni più importanti. Di questo monumentale cantiere la mostra propone due esempi di rilievo: un grande cartone preparatorio proveniente dalle collezioni del Louvre e raffigurante l’Apoteosi di Napoleone, e un’installazione di forte impatto nella Sala delle Cariatidi con la quale viene ricostruito il fregio dedicato ai Fasti di Napoleone, impresa pittorica condotta da Appiani tra il 1800 e il 1807 e andata distrutta, insieme al resto delle decorazioni della sala, nei bombardamenti del ’43.

Senza dubbio il nostro artista aveva saputo farsi notare da esponenti politici e intellettuali tanto di Ancien Régime quanto dell’Impero, e il suo nome vibrava sulle bocche di cortigiani e mecenati in tutta Europa. Con il mutamento del gusto e la recente scomparsa di alcuni dei suoi più importanti lavori, specie nel Palazzo Reale, la fama di Appiani è purtroppo sbiadita. Oggi Milano, in occasione di una più vasta operazione di valorizzazione del patrimonio locale nell’ambito dei Giochi olimpici invernali Milano-Cortina 2026, vuole rilanciare il suo Settecento, legittimamente visto come uno dei momenti aurei della città.
Milano: importante passo verso la riscoperta di Andrea Appiani e un grande patrimonio
La mostra ci colpisce perché, in un mondo come il nostro, che ci abitua alla tensione, al frastagliamento e alla disgregazione, propone invece un’arte composta, posata ed elegante. Le opere di Appiani sembrano infatti restituirci, anche solo per un momento, la possibilità di ritrovare una dimensione di armonia che abbiamo disimparato a riconoscere.

Eppure, l’esperienza di visita in alcuni passaggi lascia qualche perplessità. Nonostante la prestigiosa curatela, l’attento lavoro di ricerca e la qualità di molte opere in prestito, il percorso espositivo soffre di una certa discontinuità. La prima parte, ospitata nelle stanze dell’antico Appartamento di riserva del principe, appare un po’ timida. Il cammino si snoda poi attraverso diversi ambienti del Palazzo Reale, dove la presenza di Appiani si percepisce ma non viene pienamente valorizzata, specialmente tramite gli apparati didascalici. Il tragitto è spezzato dalla bella Sala del Lucernario, che ospita il centrotavola monumentale (oltre 9 metri di lunghezza!) di Giacomo Raffaelli, facente parte della collezione permanente del Palazzo e che per ovvie ragioni risulta inamovibile. L’opera, pur dialogando benissimo con la mostra, anche perché sta in una sala anticamente decorata da Appiani e anche perché fu acquistata per impreziosire il banchetto organizzato per l’incoronazione di Napoleone, non è una novità né una riscoperta, la sua didascalia si perde nell’ambiente, non sembra essere stata aggiornata per la mostra e il pubblico si ferma incuriosito attorno alla grande teca alla ricerca della mano di Appiani, pensando che sia un prestito d’eccezione.

Il percorso culmina poi nelle grandi sale di rappresentanza del palazzo, ultima tra tutte la Sala delle Cariatidi, sempre splendida nell’ostentare le ferite della guerra. Qui troneggiano prima il grande cartone del Louvre e subito dopo la ricostruzione dei Fasti, ed è qui che la mostra trova il suo apice e, forse, anche il suo vero inizio. Si ha quasi l’impressione che le straordinarie risorse investite in quest’ultima sezione avrebbero potuto dare maggiore slancio anche alle parti precedenti. La mostra a nostro avviso merita senz’altro di essere visitata, oltre a rappresentare un momento importante nel percorso di valorizzazione e narrazione del Neoclassicismo milanese e italiano.












