10 agosto 2025

Arrivano a Gualdo Tadino i giganti della pittura: dieci artisti in mostra

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Quando la pittura e il disegno diventano giganti non ti guardano soltanto: avvolgono, interrogano e costringono a dimenticare la fretta. nella Chiesa di San Francesco, a Gualdo Tadino, opere della collezione The Bank

Santiago Ydáñez, S.T., 2019

La scala di un’opera non è mai un semplice dato tecnico: è un atto culturale, un gesto capace di alterare la percezione e trasformare il rapporto tra immagine e spettatore. È su questa consapevolezza che si fonda Giganti. Dipinti e disegni di grande formato dalla Collezione della Fondazione THE BANK, che fino al 16 novembre 2025 animerà la Chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino. Promossa dal Polo Museale di Gualdo Tadino con il patrocinio del Comune e curata da Cesare Biasini Selvaggi, la mostra riunisce dieci artisti che, attraverso il linguaggio del grande formato, restituiscono alla pittura la sua funzione primaria: non illustrare, ma resistere, non decorare, ma costruire spazi di pensiero.

Il titolo “Giganti” non è solo una dichiarazione di dimensioni, ma di ambizione: queste opere reclamano uno sguardo che non si accontenti, invitano a varcare la soglia della contemplazione distratta e a ritrovare un contatto fisico con la pittura. La monumentalità non si limita ad amplificare l’immagine: è uno strumento di concentrazione, una pausa imposta all’occhio, un antidoto alla superficialità visiva della nostra epoca digitale.

Nicola Verlato, Take the road to nowhere, 2012.

Il percorso ideato da Biasini Selvaggi è un continuum di corrispondenze. Nicola Verlato apre la sequenza con la precisione ferrea del disegno e l’eco della prospettiva rinascimentale che, anziché rifugiarsi nel passato, entra in collisione con i linguaggi del presente: il cinema, il fumetto, la cultura popolare. Le sue tele funzionano come architetture concettuali che sostengono una mitologia attuale, fatta di tensioni irrisolte e immagini che oscillano tra classicità e cronaca.

Da questo ordine geometrico lo sguardo si immerge nei mondi di Fulvio Di Piazza, dove la pittura diventa organismo vivente. I suoi paesaggi sono teatri di proliferazione continua, brulicanti di forme ibride che confondono il confine tra naturale e artificiale. Qui la monumentalità non è un espediente scenografico, ma una necessità biologica: solo una scala espansa può accogliere un immaginario che cresce senza argini.

Fulvio Di Piazza, Pacific, 2014

Poi il ritmo si spezza. Con Emanuele Giuffrida, il vuoto acquista centralità: ambienti rarefatti, interni deserti, luci crudeli che trasformano l’assenza in materia visiva. Le sue tele sospendono il tempo e costringono lo spettatore a un confronto silenzioso con lo spazio e la luce, restituendo alla pittura una dimensione meditativa. Di segno opposto, ma complementare, Ariel Cabrera Montejo affronta la storia come un archivio da dissacrare e reinventare: l’iconografia patriottica cubana viene ricomposta in scene ambigue, dove erotismo e memoria si fondono in un linguaggio che trasforma il passato in un campo di tensione critica.

Ruth Beraha, Love me tender, 2020

Le masse indistinte di Ruth Beraha si presentano come un esercizio di spersonalizzazione: volti ripetuti fino alla perdita d’identità, un coro visivo che riflette sul potere e sulle sue forme invisibili. Chiara Calore, invece, si muove nelle zone di confine tra umano e inumano: le sue figure ibride, sospese tra animale, vegetale e spirituale, sembrano evocare un’iconografia arcaica e insieme ultramoderna, una pittura che parla di metamorfosi più che di rappresentazione.

Andrea Mastrovito rilegge il gesto infantile del frottage per costruire atlanti concettuali in cui economia e memoria diventano materia pittorica, mentre Pete Wheeler gioca con collisioni e dissonanze tra figurazione e astrazione, spingendo l’immagine verso la soglia della sua dissoluzione. Santiago Ydáñez affronta il volto umano come campo di tensione estrema: deformato, ingigantito, reso icona di una condizione universale di fragilità. Chiude il percorso Federico Guida, con una pittura sospesa, abitata da figure silenziose e dense di una drammaticità che non urla ma persiste, come un’eco antica.

Pete Wheeler, Skin for skin, 2011

In questo intreccio non c’è gerarchia: le opere non si dispongono in serie, ma si rispondono, generando un tessuto di risonanze che attraversa lo spazio. L’allestimento, volutamente essenziale, amplifica questa coralità: la Chiesa monumentale di San Francesco diventa un luogo di concentrazione, dove la pittura non è oggetto, ma esperienza, un dispositivo che costringe a riconsiderare la postura dello sguardo.

La mostra nasce dalla collezione della Fondazione THE BANK ETS – Istituto per gli Studi sulla Pittura Contemporanea, fondata da Antonio Menon nel 2023. Con oltre 1.300 opere, la Fondazione è un osservatorio dedicato alla pittura figurativa, un archivio critico che promuove progetti espositivi e pubblicazioni capaci di restituire alla pittura il ruolo di linguaggio ancora radicalmente necessario.

Dal 9 agosto, Giganti si configura come un dispositivo capace di sospendere ogni automatismo dello sguardo. Non si tratta di vedere di più, ma di vedere diversamente: di accettare la pittura come campo di esperienza, come struttura che costringe a un confronto diretto e intransigente.

In questo spazio, l’immagine non si limita a esistere: agisce. E nell’attrito che instaura con chi guarda, restituisce alla visione il suo compito critico più radicale.

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