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Bellezza, macerie e surrealismo: la grande mostra di Lee Miller da CAMERA a Torino
Mostre
Lo sguardo ipnotico di Lee Miller (Poughkeepsie, 1907 – East Sussex, 1977) è diventato celebre grazie l’opera dada-surrealista Object to Be Destroyed (1924) del suo amante e maestro Man Ray (Filadelfia, USA, 1890 -Parigi, Francia 1976), di cui sarà prima musa e poi amica per il resto della vita. La nota scultura ready-made, composta dall’assemblaggio della fotografia di un occhio sull’asta di un metronomo funzionante, era stata infatti concepita per ospitare l’occhio della persona amata ed essere poi distrutta, precisamente a martellate, per rinnegare la sofferenza dell’amor perduto. Ma Lee Miller è decisamente molto più di una femme fatale che ha spezzato il cuore di Man Ray, divenendo parte di una delle sue opere più memorabili.

La sua prolifica carriera fotografica è approfondita nella mostra Lee Miller. Opere 1930-1955, a cura di Walter Guadagnini, presso CAMERA. Centro italiano di fotografia fino al 1° febbraio 2026. Oltre 160 immagini provenienti dal Lee Miller Archives, sono accompagnate da riviste d’epoca e materiali d’archivio, raccontando la personalità e la curiosità esplosive di una delle più grandi fotografe del XX secolo. La mostra, sviluppata in ordine cronologico, ripercorre l’intensa attività di Lee Miller tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento. Lee Miller si avvicina alla fotografia iniziando come soggetto attivo, posando innanzitutto come modella. Tra acconciature, abiti e nudi, con il suo corpo statuario e lo sguardo intenso e silenzioso, la fotografa americana sa giocare con la propria sensualità, senza però utilizzarla come un rifugio. Se nel 1942 si mimetizza nella natura per la serie di nudi scattati da David E. Scherman (New York, USA,1916 -1997), l’anno successivo è corrispondente di guerra, indossando l’uniforme militare. Lee Miller non si lascia rinchiudere in nessuna categoria, sceglie di essere modella e protagonista dei suoi scatti ogni volta che lo desidera, arrivando persino a farsi fotografare nella vasca da bagno di Hitler o nel letto di Eva Braun, lasciandoci in eredità immagini che hanno segnato la storia.

Giocando con le luci, le ombre e le inquadrature, Lee Miller sa restituire l’oggettività della realtà attraverso una prospettiva plasmata dalla sua personale sensibilità e dalla sua costante sperimentazione, trovando piena espressione nel movimento surrealista. Seppur la fotografia, a differenza della pittura, parta da una base reale, autori come Lee Miller seppero estraniarsi quanto bastava per costruire narrazioni capaci di esaltare e raccontare aspetti particolari. Anche documentando la guerra, Lee Miller restituisce un punto di vista personale, mettendo in risalto dettagli insoliti. I suoi scatti, pubblicati da Vogue, la celebre rivista di moda, mostrano un palcoscenico della distruzione. Il suo sguardo è totale, e la sua attenzione si posa su un pianoforte tra le macerie, su delle macchine da scrivere fatte a pezzi, su busti di statue distesi come corpi inermi. Fotografa banalità apparenti, come modelle in abiti raffinati tra le case bombardate o crea composizioni con i detriti trovati per la strada. Ma allo stesso tempo immortala i cadaveri dei nazisti suicidi, distesi a terra o rovesciati su un divano come attori e attrici di un teatro surreale. Osserva e fotografa i corpi svuotati degli ebrei nei campi di sterminio, ammassati l’uno sopra l’altro.

Il suo sguardo è glaciale e le sue fotografie non temono la realtà, ma la trasportano in una dimensione scenica che sembra estraniarsi dal reale, come attraverso un velo, un filtro. Negli scatti intitolati Senza Titolo (Seni asportati da un intervento chirurgico radicale su una tavola apparecchiata), (1929) circa, dà subito prova della sua intensità e della sua libertà espressiva. Le immagini, realizzate all’inizio della sua carriera fotografica, mostrano una tovaglia apparecchiata, pulita, ordinata, con dei piatti serviti. Sono in bianco e nero e tutto appare composto, ma suscitano una forte sensazione di disgusto solo quando accompagnate dalla didascalia, perturbando per la disinvoltura con cui sono presentate. Lee Miller è chiaramente a suo agio con la macchina fotografica e sa destreggiarsi abilmente, spaziando da un tema all’altro. Una delle immagini più divertenti è senza dubbio Senza Titolo (Code di ratto), 1930 circa: quattro topi sono ritratti nella stessa buffa posizione, in equilibrio su un’asta.

Fotografare è per lei un’estensione del pensiero: Lee Miller è capace di documentare attimi e dettagli inconsueti, ottenendo il riconoscimento da parte dei surrealisti dell’epoca. Jacqueline Lamba, Man Ray, Pablo Picasso, Max Ernest, Leonora Carrington, Dorothea Thanning, Roland Penrose, Nush e Paul Éluard, Jean Cocteau, sono solo alcuni degli artisti con cui la fotografa costruisce una proficua rete di scambi e amicizia, che durerà sino agli anni del buen retiro nella campagna inglese, insieme al marito Roland Penrose, quando ormai avrà smesso di fotografare. Con questo progetto espositivo, CAMERA celebra i suoi 10 anni, proponendo un programma di iniziative e di educazione all’immagine rivolte a pubblici diversi per età e formazione. Allo stesso tempo rivolge un sentito ringraziamento a Walter Guadagnini, che dopo 9 anni di preziosa direzione artistica lascia la guida al nuovo direttore artistico François Hébel, che entrerà ufficialmente in carica il 1° novembre 2025. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore.












