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Per Andrea Ferrero la memoria ha il sapore della cioccolata e dell’acciaio
Mostre
Siamo da Chezplinio, nel quartiere industriale di Corvetto a Milano, in uno spazio espositivo dove coraggio e stravaganza non mancano mai. I fondatori amano definirsi ironicamente «Un progetto fallimentare, nato senza soldi e destinato a fallire presto». Il nome, ispirato all’iconico film Brutti, sporchi e cattivi (1976) di Ettore Scola, suggerisce fin da subito il loro approccio provocatorio.
Nel loro ultimo progetto, Nunca supe si estaba sognando, l’artista Andrea Ferrero (Lima, 1991) — per la prima volta in mostra Italia — costruisce un universo onirico sospeso tra forme ludiche e grottesche, in cui il piacere fisico si incontra e si scontra con la rigidità e l’inquietudine di forme architettoniche e sistemi di controllo.

A un primo sguardo, l’installazione sembra evocare un playground infantile, con tanto di altalena, scivolo e un’atmosfera da parco giochi, ma l’impressione ingenua si incrina immediatamente. La monumentale struttura in acciaio è, in realtà, fredda e inquietante, punteggiata di spuntoni, con uno scivolo ripidissimo e catene che reggono l’altalena evocando uno scenario quasi minaccioso.
L’artista introduce elementi decorativi che tentano di addolcire la rigidità formale della struttura, pur lasciando affiorare un’inquietudine di fondo. L’insieme rimanda a un luogo di potere, una chiesa o un castello medievale, con doccioni che richiamano i gargoyle e decorazioni floreali, tutto realizzato in cioccolato marmorizzato, profumato di pepe nero, cannella, paprika e cacao.

L’incontro tra questi materiali genera un cortocircuito sensoriale e concettuale: la durezza del metallo si oppone alla dolcezza del cioccolato, l’artificiale si intreccia con il naturale, l’inscalfibile con il deperibile. Il cacao richiama, inoltre, l’origine sudamericana dell’artista e i luoghi in cui la storia racconta traffici, esotizzazioni e trasformazioni di questo alimento, che diviene così simbolo delle dinamiche coloniali e degli scambi globali. Il metallo fa da controaltare e, allo stesso tempo, rimanda a un’idea di industria, modernità e controllo.

L’installazione ricorda l’estetica surreale alla David Lynch, fatta di immagini oniriche, narrazioni non lineari, simbolismi complessi che creano atmosfere misteriose, affascinanti e lievemente maliziose. Le opere di Ferrero sfumano i confini tra sogno e realtà, esplorando l’inconscio e rievocando un “giardino segreto” di bellezza velenosa, custodita e proibita, che invita a vivere l’arte come esperienza sensoriale totalizzante.
L’opera invita infatti il pubblico a toccare, giocare, leccare, assaggiare e attraversare lo spazio, rievocando le pratiche relazionali degli anni Novanta, in cui l’arte era concepita come partecipazione, condivisione di un evento e co-costruzione di significati. Anche il momento inaugurale è diventato una vera e propria festa collettiva che si è estesa sotto il porticato, oltre lo spazio espositivo, con un barbecue a disposizione di tutti.

Rimane da chiedersi che cosa resti dopo l’esperienza. Il giorno successivo all’inaugurazione, i ragazzi di Chezplinio mi hanno detto semplicemente: «Si sono mangiati tutto». Letteralmente.

In questo gesto di consumo e sparizione, l’operazione di Ferrero si arricchisce di un ulteriore livello di senso, le rovine di quello che resta dell’installazione diventano un’indagine sul nostro rapporto con la memoria personale e collettiva, con i luoghi che abitiamo e quelli che percepiamo come lontani, con le forme di potere e i simboli delle nostre culture.

È proprio questa trasformazione continua, questo oscillare tra ciò che resta e ciò che scompare, che richiama il pensiero di Andrea Pinotti nel suo saggio Nonumento del 2023. Secondo il filosofo, infatti, nessun ricordo e nessun monumento restituisce una verità oggettiva, poiché ogni forma di memoria è sempre una costruzione culturale. Conservare significa selezionare, interpretare, deformare. Tramandare implica inevitabilmente un tradimento, ciò che sopravvive lo fa perché è stato ricreato e riorganizzato. In questa prospettiva, l’opera di Ferrero, che si lascia letteralmente mangiare, toccare, consumare, rende visibile quanto ogni memoria sia un processo vivo, fragile e continuamente ricostruito.

Nunca supe si estaba sognando mette in scena un’architettura frammentata come un promemoria rassicurante del fatto che tutti gli imperi, prima o poi, crollano.














