01 luglio 2022

Cristiano Carotti, Se l’occhio non fosse solare, come potremmo vedere la luce? – White Noise

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Lo sguardo solare di Cristiano Carotti torna alla White Noise di Roma e ci interroga sul rapporto con la natura, in un viaggio spirituale oltre che artistico

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“Se l’occhio non fosse solare, come potremmo vedere la luce?”. È questa la domanda che pone al mondo dell’arte e all’individuo più in generale, l’artista Cristiano Carotti, con la sua terza mostra personale alla galleria White Noise di Roma. Provando a esplorare le varie risposte che l’arte può offrire e dimostrare, aiutandoci a risolvere la “La teoria dei colori” di Goethe, da cui trae spunto il titolo della mostra, che si contrappone alle teorie positiviste che osservano la natura solo da un punto di vista scientifico.

Un progetto con il quale l’artista, oltre a lasciarsi suggestionare dalla natura in tutta la sua forza e immensità, ritorna a dedicarsi alla pittura dopo anni dedicati quasi esclusivamente alla ceramica. Anche se la scultura non è affatto abbandonata. Anzi, nella stessa mostra trovano spazio diverse ceramiche che consentono a quella stessa natura di prendere quasi “vita”, attraverso il movimento di serpi reso stabile nella forma in alcune opere.

Ma il lavoro dell’artista come ceramista si ritrova in qualche modo anche nella sua pittura, dove gli innesti materici sembrano permearsi di elementi ceramici. In una serie di tele dove si percepisce una sorta di ibridazione degli elementi, per una quadratura del cerchio di esperienze maturate in questi anni. Da qui il titolo che rimanda alla teoria dei colori di Goethe, in contrapposizione al positivismo che pone la natura come mero oggetto di studio: protoni ed elettroni che si muovono su un geoide microscopico in una galassia infinitesimale di un universo impossibile da immaginare per la mente umana.

Ma la ricerca dell’artista, negli ultimi lavori, è racchiusa anche nelle immagini e nei soggetti, con Carotti che sceglie una simbologia scarna e selvatica, immersa in paesaggi dalle cromie potenti e acide. Riportandoci a guardare la terra con la stoica resistenza dei cardi, con branchi di animali allo stato brado e la poetica oscurità del cielo notturno a fare da sfondo. Lasciando intravedere una forte spiritualità. Del resto, la capacità di percepire negli elementi naturali il divino (concetto che ha tante definizioni e sfumature quanti sono gli esseri umani) è una nostra prerogativa ed il cardine di una spiritualità che lungo la strada abbiamo perso, come scrivono i curatori, Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti.

La domanda centrale del progetto che ha riportato l’artista alla pittura dopo anni di monogamia verso la ceramica è stato il fatto di chiedersi quando abbiamo abbandonato la consapevolezza e il privilegio di essere l’unica entità in grado di percepire il divino. L’occhio è stato progettato per accogliere la luce e tradurla in immagine, quando abbiamo smesso di considerarlo un miracolo? «Tra i cardi e gli animali erranti di Carotti c’è la vita e la morte, gli steccati da ridipingere e la perseveranza del giorno e della notte», scrive Aloise. Nei suoi serpenti in ceramica, invece, c’è il timore e la bellezza della rinascita. A completare il percorso e rendere l’atmosfera ancor più suggestiva, infatti, è un’installazione di vipere in ceramica, avvolte dalle musiche originali di Rodrigo D’Erasmo e Mario Conte, composte dagli stessi colori e incrinature delle tele, divenendo una sorta di voce narrante che accompagna lo spettatore fino alla fine dell’esposizione. Offrendo l’ultimo atto di un percorso che va dall’alba al tramonto, attraverso dei mitologici di vita e morte, che chiudono il cerchio regalandoci il timore e la speranza della rinascita.

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