23 gennaio 2024

Dürer: al Mart di Rovereto le rotte antiche, moderne e contemporanee di Mater e Melancholia

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Con la Madonna con il Bambino di Albrecht Dürer e una serie di sue incisioni, Boccioni, Casorati, de Chirico, Fontana, Segantini, Severini, Sironi, Wildt e tante opere di grandi artisti del XX secolo, prende forma, al Mart di Rovereto e fino al 3 marzo, l’itinerario che corre lungo i binari universali della maternità e della melanconia

Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto

Sono i paradigmi di amore eterno e assoluto della Madonna con il Bambino di Albrecht Dürer e i riferimenti simbolici come la clessidra, la bilancia, il quadrato magico, il compasso e il noto poliedro con due punte troncate della sua Melancholia I, a tracciare la rotta dell’umano e spirituale viaggio che il Mart di Rovereto invita a intraprendere lungo le rotte antiche, moderne e contemporanee che portano il nome dei grandi artisti del XX secolo. 

Da un’idea di Vittorio Sgarbi, con la curatela di Daniela Ferrari e Stefano Roffi, e con l’allestimento firmato dagli architetti Michelangelo Lupo e Giovanni Wegher, la mostra Dürer. Mater et Melancholia affronta le tematiche universali della maternità e della malinconia favorendo il dialogo tra una preziosa raccolta di capolavori del maestro di Norimberga con una selezione di oltre 70 opere di artisti come Boccioni, Casorati, de Chirico, Fontana, Morandi, Segantini, Severini, Sironi e Wildt, per anticiparne alcuni. 

Albrecht Dürer
Madonna col Bambino, (1495-1497). Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto. Courtesy Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo (PR)

Della maternità della Madonna con il Bambino di Dürer – che dà avvio al percorso espositivo insieme a un esemplare omonimo eseguito nella seconda metà del XV secolo da uno scultore trentino e proveniente dal Castello del Buonconsiglio – il sentimento si estende, dominante, nelle opere di Giovanni Segantini (L’angelo della vita (Dea cristiana) e L’angelo della vita che ben esprimono la connessione tra uomo e natura) come anche nell’incisione Gea, dove la figura femminile emerge come madre assoluta in tutta la sua potenza creatrice, di Otto Greimer che, ricorda Daniela Ferrari nel testo in catalogo che accompagna la mostra «Sveva subito fortemente l’influenza dell’opera di Max Klinger». E proprio di Kllinger ritroviamo nel percorso le tre tavole della serie Dramen, intitolate Una madre, che illustrano la vicenda di una madre (sopravvissuta e assolta) che a Berlino, nell’estate del 1881, tentò il suicidio gettandosi in un fiume con il proprio bambino (che invece non si salvò) per sfuggire alla violenza del marito. 

Umberto Boccioni, Nudo di spalle (Controluce), 1909, Mart-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione L.F. On view, Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto

Come Klinger, anche Severini, Casorati e Boccioni hanno raffigurato la maternità nella dimensione reale e quotidiana. La madre di Umberto Boccioni – di cui si ammirano il disegno Mia Madre debitore della lezione di Dürer e Nudo di spalle (Controluce) – è sempre stata la sua modella prediletta, per esempio. Mentre Gino Severini, nel 1916 – anno della scomparsa dell’amico Boccioni – realizzò La Maternità ritraendo la moglie Jeanne che allatta il figlio neonato come una contemporanea Madonna in una dimensione insieme sacra e profana. Ricorre, invece, frequente e costante, il mondo degli affetti materni in Felice Casorati che ha declinato il tema della nascita in composizioni di figure femminili – Sorelle Pontorno è un magnifico esemplare in tal senso – per sondare il mistero del sentimento materno in un trionfo di amore e sintonia con la propria natura. 

Gino Severini, Maternità, 1916, MAEC-Museo dell’Accademia Etrusca della Città di Cortona. On view, Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto

Pur quasi sacra, l’interpretazione di Casorati resta legata al reale per compostezza e semplicità, diversamente da quella di Medardo Rosso e Adolfo Wildt più idealizzata, similmente a Segantini. In Aetas aurea Rosso ritrae, modellandoli, la moglie con il figlio neonato nell’avvolgente forma di un abbraccio in cui il profilo materno si connette a quello del bambino fondendosi con il circostante in un coinvolgimento di luce che fa dimenticare la materia. Wildt invece, agli antipodi per gli esiti plastici, tende alla sintesi ideale nella composizione: in Madre (Madre Ravera) si richiama all’iconografia cristiana con valore più umano, terreno e spirituale e concentra nel volto della Madonna il ritratto della rassegnazione disperata e impotente di fronte alla morte. 

Adolfo Wildt, Madre (Madre Ravera), 1929, Padova, Collezione privata, Courtesy Galleria Gomiero Milano – Padova. On view, Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto

Passando, anche, per la Maternità di Lucio Fontana, la Maternità di Giannetto Foschi, Bildstöckl di Hubert Kostner (che si è appropriato di un modello di Madonna in trono con Bambino in stile tardogotico ma prodotto in serie ed è intervenuto creando al suo interno una nicchia dipinta di colore rosso) e Maternité au chat di Jean-Pierre Velly, a fare da tramite nell’incontro tra la sezione della maternità e quella della malinconia è Andrea Mastrovito, che ha realizzato con l’occasione della mostra l’opera site specific Mia madre mi disse. Mastrovito, che già fu autore di un collage su tavola intitolato Melancholia III, omaggio all’incisione di Albrecht Dürer che aprì anche la sua mostra personale At the end of the line (GAMeC, Bergamo, 2014), per Rovereto ha dato vita a un portale sullo sfondo del quale domina la Melancholia I di Durer, riprodotta con la tecnica del frottage, calata nel dramma della nostra contemporaneità. In primo piano si sovrappone l’immagine di una figura femminile, ripresa dalla fotografia di una donna incinta scattata nell’ancora attuale conflitto tra Russa e Ucraina, che ricorda la Morte della Vergine del Caravaggio. Con una sintesi personale e intima, ma insieme coinvolgente e carica di emozione per tutti, Mastrovito pone il segno di ricerca di un inizio nuovo là dove sembrava essere giunto alla fine di un precedente racconto, rigenerando e rinnovando – davanti allo sguardo – tutto ciò che resta sospeso nella suggestione evocativa delle sue intense immagini. 

Andrea Mastrovito, Mia madre mi disse, 2023, Courtesy l’artista. On view, Dürer. Mater et Melancholia, Mart, Rovereto

Giunti così nella sezione della malinconia – che nei secoli ha avuto varie interpretazioni – la nota incisione di Dürer è messa in relazione con l’opera di Giovanni Benedetto Castiglione (il Grechetto) e con i lavori di Umberto Boccioni, Achille Funi, Mario Sironi, Giorgio de Chirico, per il quale era una condizione esistenziale, una sensazione che si interseca con il sentimento della nostalgia e con la fascinazione del mistero al cospetto dell’infinito, Giovanni Colacicchi e Arturo Martini. Questo stato d’animo, che nell’Autoritratto con il fratello di de Chirico emerge con tutta la sua intensità nello sguardo perso nel profondo, nell’espressione assorta, nelle labbra imbronciate e nel rimuginare dei pensieri, è indagato attraverso i volti e anche attraverso i luoghi (nella sezione Malinconie della stanza e della partenza). Alla partenza associa la nostalgia Arturo Martini, che modella la figlia nella scultura Nena, mentre essa abita la casa, pesando come un macigno, in L’Attesa di Felice Casorati e Il Solitario di Emanuele Cavalli. 

Giorgio de Chirico
Autoritratto con il fratello, 1924
Mart, Collezione VAF-Stiftung. On view, Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto

La malinconia è spesso appartenuta agli artisti, nei termini di umore saturnino o di infelicità. La sua complementarietà al genio è evidente in alcune opere di Fabrizio Clerici (Troppo visto, troppo sentito, La grande fame, I cipressi, la pialla, il compasso), di Lino Fongia, di Stanislao Lepri, di Carlo Maria Mariani (Senza titolo, Malinconia del pittore), e di Carlo Guarienti: nel suo San Gerolamo l’influenza del maestro di Norimberga è forte al punto che lui stesso afferma «Vuoi che non guardassi a Dürer, alle sue incisioni, sin da giovane? Mi sono nutrito di quello, come un eremita». Il percorso si avvia alla chiusura con una sezione che prende il nome di Opere al nero, in cui sono raccolti un importante nucleo di incisioni di Dürer (collezionate negli anni da Luigi Magnani) tra cui figurano Melancholia I e San Gerolamo in cella, Il dottor Faust (che ispirò Goethe) e Nudo femminile disteso (La negra sdraiata) di Rembrandt e due magistrali incisioni di Giorgio Morandi, Natura morta con pane e limone e l’opera al nero per eccellenza Grande natura morta scura. 

Giorgio Morandi, Natura morta con pane e limone, 1921. Courtesy Museo Morandi. On view, Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto

Il percorso si conclude con L’annunciazione del nuovo verbo di Segantini (disegnata come allegoria per illustrare la prima edizione italiana di Così parlò Zarathustra), Chiaro di luna di Gaetano Previati, giocato sui toni madrepelarcei che illuminano la notte, e Vertigine di Michele Parisi, che ferma sulla tela quel momento in cui la notte sconfina nel giorno o il giorno cede all’imbrunire facendo esplodere, in un istante, l’ora blu. Per rotte antiche, moderne e contemporanee si compie dunque quel viaggio in cui l’anima parla attraverso i corpi e il loro movimento, perfetto o slogato, il loro tendere avanti e rimanere indietro, il mascherarsi e lo svelarsi, rievocando anche e sempre una regione interiore e anteriore ossessionata dal binomio vita e morte. 

Michele Parisi, Vertigine, 2023. Dürer. Mater et Melancholia, MART, Rovereto. Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery

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