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Etèreo, la pittura in bilico di Olga Lepri al Museo Archeologico di Calatia
Mostre
Olga Lepri (Mosca 1997) è un artista che ha conseguito nel 2021 una laurea in Pittura e Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 2017 ha vinto il Premio Mascha Starec delle Giornate Animate di Venezia con VISITOR e nel 2018 ha partecipato alla mostra ATELIER 12 curata da Luca Reffo in occasione di Art Night di Venezia e in collaborazione con l’Università di Ca’Foscari.
Nel 2022 ha esposto nella mostra Arcipelago Aperto presso i Magazzini del Sale a Venezia e nel 2023 è stata selezionata come finalista per il Premio Combat esponendo al Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. Nello stesso anno è stata chiamata insieme altri otto artisti ad esporre alcuni lavori presso la sede di E.A.H. – Eataly Art House di Verona per la mostra collettiva Première a cura di Luca Beatrice, inaugurata in occasione della fiera ArtVerona. Nel 2024 è stata protagonista della personale Risvegli presso Giovanni Remoli Art Gallery a cura di Valeria Cirone e nello stesso anno è stata invitata alla Galleria Giovanni Bonelli a realizzare delle opere per Le Diable au Corps curata da Daniele Capra e Massimo Mattioli. A settembre 2024 l’artista ha partecipato alla mostra Aere in occasione della rassegna Isola Prossima presso il Museo della Penna di Perugia a cura di Massimo Mattioli.
La pratica pittorica di Olga Lepri rivela suggestioni derivanti dalla pittura fiamminga e quella lagunare cinquecentesca attingendo al repertorio figurativo della pittura di genere.
La mostra Etèreo, visitabile fino al 5 ottobre, propone un itinerario alla scoperta di un luogo altro narrato da dipinti di diverse serie: Mercati (2018-2019), Corpi onirici (2019), Cecità o Essere senza vedere (dal 2018), Etèreo (2022), Marina (2022), Caduta (2024) e i disegni (dal 2018). Le opere dell’artista dialogano armoniosamente con gli spazi del Museo Archeologico di Calatia, che ha sede nel Casino di Starza Penta, una delle più significative testimonianze storiche e monumentali di Maddaloni ed una delle residenze principali della famiglia Carafa della Stadera che ebbe in feudo Maddaloni dal 1465. Le atmosfere richiamate da Olga Lepri nei suoi lavori, il cui rimando è alla pittura manierista e barocca, si legano efficacemente alla magniloquenza degli stucchi e alla preziosità degli apparati decorativi un tempo presenti nelle sale della residenza.
Etèreo si configura come una riflessione sul dualismo tra tangibilità e astrazione, una ricerca sulla natura stessa dell’esistenza che emerge dalla presenza di figure antropomorfe dai tratti eterogenei, delineando un immaginario onirico. Le opere delle serie Cecità e Marina riflettono una dimensione che trascende il visibile, restituendo una visione inedita della rappresentazione del corpo e del paesaggio, intesi come fenomeni in costante evoluzione. Questa tensione tra il visibile e l’invisibile viene narrata da una serie di opere che sembrano emergere da una zona liminale, dove le figure appaiono frammenti di un linguaggio interiore. Olga Lepri gioca con l’ambiguità, tessendo una narrazione che evoca suggestioni e silenzi, in cui il processo creativo si rivela come un atto di scoperta continua alla ricerca di ciò che rimane celato dietro la superficie di ciò che ci circonda.
L’intervista alla curatrice e all’artista consente di cogliere con puntualità importanti aspetti dell’originale e articolato progetto ideativo della mostra.
Etèreo, cosa racconta questo titolo? In che modo raccorda le opere di Olga Lepri esposte in mostra?
Maria Giuseppa De Filippo: «Il termine “Etèreo” vuole riassumere in sé tutto il procedimento progressivo che Lepri impiega nel realizzare l’opera pittorica: è un termine che vuole restituire un’immagine vibrante, dove corpo e paesaggio si mescolano in un’apparizione non definita e al contempo fortemente contrastata. Nella scelta di questo termine, dall’accezione di volatilità a quella di un’energia extra-corporea, si è tentato di restituire il carattere astratto e inafferrabile delle immagini che Olga Lepri produce e che ben fotografano quella che è la realtà sospesa in cui intende proiettare il pubblico. In questa dimensione è il concetto stesso di umano ad essere rielaborato, e con esso il corpo e le sue limitazioni.
Nel percorso espositivo è presente un lavoro che dà il titolo alla mostra, esplicando efficacemente quello che è il fine ultimo di Lepri: “Etèreo” (2022). Rielaborando la composizione grafica della prima opera della serie delle cecità realizzata dall’artista, l’opera propone delle figure intente ad esplorare/sorreggere lo spazio in modo affannoso, sovrastate da una nuvola che sembra assumere una densità surreale dal sapore antifrastico. La tela può essere intesa come una delle molteplici sfumature del concetto di cecità e più in generale del ragionamento che collega molte opere in mostra, ovvero l’idea non tanto di una limitazione, bensì di un’occasione per ripensare al rapporto con lo spazio e la natura attraverso una percezione riscoperta, corale, interiore.
Vi è quindi in quest’opera, e di conseguenza nel titolo dell’esposizione, una sintesi di quelle che sono le istanze creative perseguite dall’artista in tutta la sua produzione: corpo, vista e sogno assumono connotati comprensibili solo nella dimensione dell’ascolto e dell’immaginazione in cui Lepri ci dà occasione di immergerci attraverso questo squarcio sul suo mondo».
Olga Lepri: «A proposito della ricerca sul concetto della cecità: si tratta una riflessione ispirata da numerose opere e testimonianze frammentate nel tempo, la ricerca sul concetto di cecità è un modo alternativo per studiare e riscoprire il corpo e la visione; per interrogare le sfumature del non vedere umano e il significato contemporaneo dell’immagine pittorica. Per comprendere questo complesso tema trovo necessario esplorare la cecità da differenti angolazioni: storica, iconologica e iconografica, filosofica e letteraria. Considerato spesso metafora universale delle condizioni dell’uomo, che non vede e non prevede il suo stesso cammino, il concetto di cecità è ripreso come soggetto e strumento di studi filosofici, si arricchisce di significati passando per la testimonianza diretta degli stessi non vedenti o per le riletture concettuali di artisti che nel corso della storia dell’arte hanno attinto dall’esperienza di sospensione del senso visivo a favore una percezione interiorizzata».
Che dialogo si è instaurato tra le opere dell’artista e gli spazi del Museo Archeologico di Calatia?
MGDF: «La produzione di Olga Lepri è risultata, sia dal punto di vista estetico che contenutistico, perfettamente integrabile all’interno del Museo Archeologico di Calatia. La pittura di Lepri, specie quella appartenente al biennio 2018-2019, si ispira alla pittura manierista, in particolare quella fiamminga, e alla successiva barocca, i cui caratteri sono riscontrabili negli affreschi e negli stucchi risalenti dal XVII e XVIII secolo, presenti nel museo maddalonese.
Avendo studiato le vicissitudini di Calatia e le vicende artistiche che l’hanno interessata soprattutto sotto l’egemonia dei Carafa, diversi soggetti della produzione su carta di Olga Lepri mi hanno ricordato le figure dai tratti bestiali che nel Settecento popolavano il giardino del museo (ex casino di caccia della famiglia napoletana) su cui affaccia proprio la sala che ospita la mostra; ci è sembrato opportuno rendere omaggio alla tradizione artistica del territorio, al fine di alimentare un dialogo proficuo e stimolante con la contemporaneità».
OL: «Alcune opere presenti in mostra, di cui soggetto sono scene di condivisione sociale dello spazio e di mescolanza tra uomo e natura, vengono raccolte sotto il nucleo tematico dei “Mercati”. Elementi come utensili e stoffe, volti fugaci e gesti dal sapore antico richiamanti il commercio e la pesca, instaurano una sottile continuità con i reperti archeologici presenti nel Museo, testimoni di maestranze e mescolanze multiculturali passate. La pittura fiamminga la considero nella sua processualità a partire dalla luce, mettendola in contrasto con una metodologia opposta più mediterranea che tende invece a ricercare la luce dall’oscurità.
Sono considerazioni queste sulla luce nella pittura storica che mi pongo ripensando alla mia personale esperienza di vissuto sia in Belgio che in Italia. Particolare anche attenzione alla maniera orientale di El Greco, alla multiprospettiva, all’idea di movimento e di unità della forma complessiva partendo da forme plurime. Penso che un museo archeologico in grado di osare l’allineamento tra antico e presente attraverso uno sguardo perpendicolare sul tempo, rappresenti l’occasione per l’arte di riaffermare una continuità espressiva e culturale tra le generazioni; per l’artista, di lavorare trasversalmente rispetto al comune intento della valorizzazione e della riscoperta».
Come viene rielaborata la figura umana nella ricerca dell’artista?
MGDF: «Il corpo è forse la tematica alla base della ricerca di Olga Lepri, venendo però al contempo indagato mediante soggetti che ne consentano una declinazione sempre differente; uno di questi è il cieco, dal cui studio dei movimenti Lepri immagina un’evoluzione dei gesti e della propriocezione del corpo umano alla luce di questa condizione. Quest’analisi diviene l’occasione per riflettere sulle grandi lezioni che il non vedente può insegnare come l’esercizio all’ascolto, la capacità di orientamento e l’introspezione. Altra tematica proposta da Lepri è quella del volo, ripensando alla gestualità umana in relazione all’aria, mentre negli ultimi lavori si è iniziato a guardare all’acqua e al movimento ampio ed energetico che il corpo produce rispetto a questa.
È sempre quindi il movimento ad ispirare l’artista, in quanto è espressione potenziale dell’esperienza umana, ciò che consente all’individuo di relazionarsi con lo spazio e di sperimentare, risultando altrettanto interessante come elemento di riflessione nel momento in cui subisce delle limitazioni. Certamente, il punto di partenza per queste analisi è lo studio anatomico che esplica nel disegno, il quale, una volta rielaborato si lega concetti più ampi e complessi».
OL: «Nella mia ricerca visiva esploro la complessità della natura umana, spesso eccessiva oppure trascurata. Vado a fondere nella stessa opera il disegno anatomico del corpo umano ed espressione pittorica, stratifica e policentrica. Prediligo il disegno e la pittura per il loro carattere organico, trasformativo e plastico; la struttura processuale e stratificata che ne deriva la trovo così strettamente simile a quella di un corpo. Anche la riflessione sull’incerta relazione tra l’umano e il reale formicola nel mio lavoro. Nelle opere esposte in mostra si può intuire la ricerca perpetua di fuga o il superamento del senso di limite che spesso innescano una trasfigurazione espressiva del corpo umano verso nuove dimensioni.
Temi come l’impossibilità di volare o la cecità possono quindi acquisire la valenza di immagini e diventare soggetti pittorici. Sento infine il bisogno di interrogare l’umano nel segno di una rinnovata propriocezione, dell’ambiente, dell’onirico, del sentimento o della trasfigurazione – per ritrovare una forma dalle forme, come da una pareidolia al rovescio: siamo forme che si autointerpretano, senza mai veramente cogliere il significato complessivo in esse contenuto».
Il percorso della mostra ci guida alla scoperta di un luogo altro, in che realtà ci conducono queste opere?
OL: «Possono essere diversi i luoghi che traspaiano e si articolano nella mostra, poiché è perlopiù uno spazio mentale ad essere messo in moto dalle opere esposte. Il luogo onirico, collocabile tra corpo e immagine, è la realtà più razionalmente inafferrabile e pertanto vicina al titolo della mostra. Esso traspare nella serie dei “Corpi Onirici” (2019) dall’espressività gestuale grafico e dalle potenzialità della sovrapposizione pittorica, dalla transizione tra essere corpo e essere nella mente che immagina e sogna, che vede con luce propria. I già citati “Mercati” (2018-2019) si raccontano come teatro di scambio e di condivisione sociale. Da scene di pesca alla colazione in veranda, fino al mercato dei tappetti – il luogo esplorato in questi lavori è frammentario e multiprospettico, il colore trasparente e le forme liquefatte.
Il luogo della cecità è presentato dalle omonime opere come luogo di un risveglio possibile di un mondo interiore, da interrogare e da cui ascoltare. La cecità, da concetto astratto e tragico, si riscopre come forma plastica, viene a rappresentare un nuovo stato d’essere tutt’altro che buia, se ne esplora un’iconografia rinnovata.
Le opere più recenti come “Caduta” (2024), sulla scia di queste riflessioni, coniugano forme del corpo e forme naturali, ricercano un’unita d’intenti e di espressioni della complessità umana e dei suoi moti interiori. Qui l’ambiente è madreperlaceo, caotico e generativo allo stesso tempo. Infine, la sezione dei disegni espone in mostra una selezione di 32 lavori su carta che vanno a formare un’installazione bidimensionale richiamante il titolo della mostra e il termine seicentesco della quadreria. Una nuvola di figure, studi e spazi vuoti si presentano allo spettatore nella loro frammentarietà a sottolineare il lavoro polifonico che procede a pari passo della produzione su tela».