23 ottobre 2025

Il mito dello stadio: viaggio dentro l’architettura del desiderio collettivo

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Tra Nervi, Le Corbusier e Ancarani, la mostra Stadi. Architettura e mito al MAXXI di Roma esplora la doppia natura dello stadio come macchina urbana e specchio sociale

stadio maxxi
Archea Associati, Nuovo Stadio Nazionale dell’Albania, Tirana 2019. Courtesy Archea Associati. Photo Pietro Savorelli e Associati

Difficile attribuire agli stadi un ruolo preciso nell’immaginario collettivo. La loro eccezionalità ingegneristica giganteggia nel tessuto urbano, trasparente agli occhi di chi conosce i misteri che custodisce, ma del tutto opaca ai non iniziati alla fede identitaria del tifo, al mito della partita di calcio, al culto dell’eroe sportivo. La mostra Stadi. Architettura e mito, allestita al MAXXI fino al 7 novembre e curata da Manuel Orazi, Fabio Salomoni e Moira Valeri, si propone di esplorare i diversi livelli di lettura dello stadio. L’allestimento si sviluppa come un’unica grande curva, articolata però in quattro linee tematiche intrecciate tra loro. L’obiettivo è cogliere lo stadio nelle sue molteplici dimensioni: come architettura, come luogo di esperienza collettiva, come soggetto artistico e fotografico, e come spazio capace di lasciare tracce misurabili nella storia e nei dati. Le quattro sezioni culminano nella semicupola dedicata alle proiezioni video, in cui gli stadi diventano scenari di corpi e conflitti: in San Siro di Yuri Ancarani (2014) emerge in modo netto la funzione dello stadio come teatro delle tensioni sociali e politiche che il calcio trasforma in spettacolo. Il dietro le quinte del calcio appare così come lo svelamento di una reale esperienza esistenziale che il match sportivo, d’altro canto, presenta come surrogato sostenibile.

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Pier Luigi Nervi, Stadio Flaminio, Roma 1959. Courtesy Fondazione MAXXI, Roma, Collezione Architettura e Design contemporaneo, Archivio Pier Luigi Nervi

Il percorso espositivo si apre con Zidane. A 21st Century Portrait (2006) di Douglas Gordon e Philippe Parreno. L’opera mostra il campione francese come una divinità terrena: ogni suo gesto, esitazione e attesa durante la partita tra Real Madrid e Villareal del 2005 è documentato da 17 telecamere. Ne scaturisce una proiezione monumentale che diventa un omaggio al calcio e alla sua capacità di riflettere l’immagine del nostro tempo. In questo ritratto in movimento i boati delle tifoserie, la velocità delle azioni, la fatica e persino il sospetto rivelano la fragilità del mito dell’eroe, costantemente minato dall’incertezza. È, in fondo, un’apologia del caso e del suo peso nei destini umani.

Dal punto di vista architettonico, lo stadio si rivela come la sopravvivenza di forme antiche, greche e romane, rielaborate in funzione dell’epoca industriale e post-industriale. Con l’architetto scozzese Archibald Leitch (1865-1939), infatti, lo stadio moderno assume i tratti tipici dell’architettura industriale di fine Ottocento, configurandosi come uno spazio separato dalla città e al tempo stesso duplice: teatro di gioco e luogo di esperienza collettiva separato dal luogo di vita e di lavoro.

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Archea Associati, Dacia Arena, Udine 2016. Courtesy Archea Associati. Photo Pietro Savorelli e Associati

Nel corso del Novecento, grazie alle innovazioni costruttive, lo stadio conquista una collocazione stabile e monumentale all’interno della città. Questa trasformazione ne sottolinea anche il valore simbolico e politico: sotto i regimi autoritari lo stadio diventa strumento di propaganda, mentre nelle democrazie moderne può assumere il ruolo di dispositivo pedagogico. È in mostra, ad esempio, il progetto per la realizzazione dell’Olympiapark di Monaco di Baviera, il complesso che avrebbe mostrato, a 35 anni di distanza dai giochi olimpici berlinesi di Hitler, la moderna tensione democratica della Repubblica Federale tedesca.

Per scarti successivi lo stadio non è più soltanto un contenitore funzionale, ma un’opera architettonica e ingegneristica compiuta, capace di affermarsi anche per i suoi valori estetici (emblematico il Flaminio di Pierluigi e Antonio Nervi), mentre col tempo i confini dello stadio si fanno sempre più permeabili, integrando il contesto urbano circostante o creando, con la loro stessa presenza radiale, un paesaggio del tutto nuovo come nel progetto dello Stadio 100.000 posti di Le Corbusier (1936), o nello Stadio di Brada (Portogallo) di Eduardo Souto de Moura (2000-2003).

Allestimento di Stadi. Architettura e mito ph. Pasqualini-Fucilla_MUSA

L’allestimento della mostra, immerso nella luce diffusa della galleria KME, trasforma metaforicamente gli spalti in una linea continua su cui si dispongono plastici, didascalie, memorabilia, dati, disegni, gadget, locandine, grafiche, rilievi, dipinti e fotografie. Il racconto che ne scaturisce mantiene il necessario distacco critico, ma al tempo stesso restituisce la forza di un fenomeno che va oltre lo sport. Le due campagne fotografiche commissionate dal MAXXI per l’occasione, hanno interessato sei stadi in quattro città italiane. Filippo Romano (Milano 1968) e Stefano Graziani (Bologna 1971) hanno fotografato gli impianti di Messina, di Udine, di Trieste (il Grezar del 1932 e il Nereo Rocco costruito per i mondiali di Italia 90), di Napoli, a rendere evidenti le distorsioni sociali e culturali che queste città condensano nella forma simbolica dei loro stadi. Sono centrate su questo tema, e in particolare alle pratiche del pubblico calcistico, le cinque isole antropologiche che accompagnano nella direzione della sezione dedicata al XXI secolo, quando lo stadio si propone come complessa macchina capace di trasformarsi per inglobare eventi diversi. Il plastico dell’Atlantique di Bordeaux, ad esempio, o dello Stadio Olimpico di Londra, ci proiettano nell’epoca degli stadi “trasformer”, organismi tecnologici totali e autosufficienti, contenitori di strategie di marketing e catalizzatori di esperienze.

Allestimento di Stadi. Architettura e mito ph. Pasqualini-Fucilla_MUSA

Come nella stereoscopia di Thomas Ruff in esposizione, Stadi è una mostra in cui i livelli percettivi, di attribuzione di senso e di giudizio dello spettatore sono costantemente messi in dubbio. L’ineleganza goffa con cui lo stadio, il più delle volte, si presenta nell’esperienza di vita quotidiana delle città viene così riscattata dal desiderio di comprendere le dinamiche simboliche e culturali che si articolano dentro ai progetti, ai cantieri, alle demolizioni, agli investimenti, alle tecnologie che ruotano intorno allo stadio. In questo senso la mostra è una stanza delle meraviglie che dà modo di indagare, rispetto all’eccezionalità dei singoli reperti, il significato degli eventi collettivi che lo stadio rende accessibili, con un possibile affondo su ciò che veramente i riti collettivi da stadio ritualizzano o rafforzano sul piano ideologico.

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