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Il tempo della scrittura: simboli, ritratti e potere del sapere in mostra a Modena
Mostre
Paidéia è il tema scelto per questa edizione del festival, declinato in una riflessione che mette in luce il ruolo ricoperto dalle immagini nella trasmissione della conoscenza. Nella mostra Il tempo della scrittura. Immagini della conoscenza dal Rinascimento a oggi, curato da Stefania De Vincentis e proveniente da un’idea di Francesca Cappelletti, busti provenienti dalla Galleria Borghese di Roma, dipinti appartenenti al nucleo storico modenese della collezione permanente di BPER, opere contemporanee di Sabrina Mezzaqui e Pietro Ruffo si intrecciano in un percorso circolare, privo di un inizio e di una fine definitivi, concepito come invito a riprendere sempre il filo del discorso per creare nuove connessioni.

Apre l’esposizione Sabrina Mezzaqui, con Segni (2009) e Lettere (2010). In queste opere la scrittura si fa materia e immagine, tessitura di una trama visiva, parola che si scioglie in forme naturali e gesto intimo. La potenza generatrice del libro, così come delle parole stesse, è un tema ricorrente nella pratica dell’artista bolognese e in questo contesto trova nuove risonanze nelle opere secentesche di Guercino e Giacomo Cavedoni. La scrittura, infatti, si manifesta come strumento di verità nel San Girolamo che sigilla una lettera (1618 ca.) proveniente dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini, ma anche come documento ingannevole e fonte di dolore nel Pianto di Giacobbe (1615 ca.) della collezione BPER.

La stessa dinamica di modello e anti-modello ritorna con forza attraverso il genere del ritratto, uno dei nuclei tematici più pregnanti della mostra. La ritrattistica evoca la tradizione degli studioli rinascimentali, spazi privati in cui le élite – da Isabella d’Este a Federico da Montefeltro – si circondavano delle effigi di uomini illustri e antenati come esempi da contemplare ed emulare. Una pratica che rivela come la cultura umanistica si fondasse sì sull’ideale dell’humanitas, ma all’interno di un quadro fortemente selettivo, destinando la trasmissione del sapere a una ristretta classe dirigente. Su questo stesso terreno si collocano I Sei Traditori della Libertà (2009-2010) di Pietro Ruffo, serie di ritratti monumentali nati dallo studio delle conferenze radiofoniche di Isaiah Berlin del 1952. Qui, filosofi come Rousseau, Fichte o Hegel – tradizionalmente considerati teorici della libertà – vengono reinterpretati come figure ambigue, accomunate dall’idea che il popolo non potesse emanciparsi da solo, se non sotto la guida di leader politici o religiosi.

Accanto a questi contrasti più immediati, c’è un aspetto meno evidente ma significativo che attraversa l’intero percorso. Se le figure maschili compaiono nei ritratti come persone reali – filosofi e condottieri – la componente femminile è affidata quasi sempre al piano simbolico. È il caso della Minerva marmorea del XVII secolo, dea della Sapienza e della tessitura; di Clio, musa della Storia raffigurata da Jean Boulanger con il libro in mano; o della Madonna con il Bambino (inizio XVII secolo) di Alessandro Mazzola, modello spirituale e materno. Dettaglio che rende evidente la distanza tra simbolo e realtà: mentre gli uomini diventano exempla concreti, le donne restano allegorie. Come ci insegna Linda Nochlin, non una questione di mancanza di virtù, ma di accesso negato.

Al centro della mostra resta comunque un’idea forte: la conoscenza è libertà. Insegnare a leggere e scrivere, significa donare accesso al sapere e quindi emancipare. Con “Il tempo della scrittura” La Galleria BPER non solo valorizza il proprio patrimonio e gli illustri prestiti, ma invita anche a riflettere su come la conoscenza si sia tramandata e trasformata. Impossibile non interrogarsi su quali saperi siamo oggi disposti ad accettare, e quali voci restano ancora ai margini della storia.














