07 marzo 2024

L’arte simbolista di Cleopatria, da scoprire nella nuova Mora Gallery di Roma

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Negli spazi della nuova Mora Gallery di Roma, per scoprire il denso simbolismo di Cleopatria, intriso di rimandi alla grande storia dell'arte, da Piero della Francesca a Giorgio de Chirico

«Catch A Fire è un’indagine sull’impossibilità di evadere dal destino dell’esistenza, sull’intuizione che precede il risveglio delle coscienze e la conseguente ricerca dell’Altro con cui affrontare le sfide di questo mondo», così scrive Stefania Plaza Mora, direttrice di Mora Gallery, nuova galleria che sta sorgendo a Trastevere, proprio dietro Piazza di San Cosimato. Plaza Mora è anche la curatrice della mostra Catch a Fire, prima personale romana di Cleopatria, artista di origini calabresi e brasiliane, cresciuto a Cesano Boscone (Milano).

Stefania Plaza Mora, italo-colombiana, classe 2000, residente a Roma, è curatrice e progettista culturale. Lavora con artisti emergenti internazionali, scoprendo e supportando il loro percorso artistico. Mora Gallery si propone come spazio aperto alla collaborazione con artisti di ogni provenienza. In passato, Plaza Mora ha curato progetti di installazioni site-specific e mostre di fotografia, pittura e scultura, garantendo una ricerca multiforme per esplorare le molteplici sfaccettature dell’arte contemporanea.

Catch A Fire: la mostra da Mora Gallery

Per racchiudere il senso della mostra Catch A Fire viene in mente il titolo di una celebre opera di Gauguin: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?. Come abbiamo visto nella recente mostra Escapism da Andrea Festa, in particolare nell’opera dell’artista finlandese Eetu Sihvonen, l’uovo è foriero di diverse simbologie e non è un caso che Cleopatria lo includa nella sua opera.

Da Piero della Francesca – che nella Pala di Brera fa pendere dalla conchiglia incassata nel soffitto una perla-uovo – a Bosch, fino agli artisti contemporanei, l’elemento “uovo” è stato usato in molteplici opere. Nell’opera La crepa nell’uovo questo soggetto è richiamato: lo troviamo a chiudere una brocca come fosse un tappo, il suo guscio è segnato da una frattura. I personaggi intorno risultano assorti e immersi in una situazione artefatta, le luci non provengono da fonti naturali creando un’atmosfera rarefatta. Una creatura che riconosciamo come il Minotauro impugna delle chiavi, rappresenta il Daimon e la condizione di fuga dalla prigionia umana in vista dell’elevazione spirituale.

Una figura femminile raffigurata di spalle accende una lanterna mentre un giovane sostiene un globo, è Atlante che si sobbarca il peso della conoscenza, è l’unico che rivolge attenzione alla musica suonata dal Minotauro: ha l’attitudine, lo spirito di sacrificio, il coraggio di Prometeo che rubò il fuoco agli dei per condividere questo strumento di affrancamento con gli uomini. Una figura in basso guarda lo spettatore, come nei dipinti rinascimentali: serve a lanciare un monito.

L’uovo-simbolo di vita è rotto ma non perché si stia schiudendo. Anche le lische di pesce sono un cattivo presagio. Al centro, un uomo immerge le mani in una tinozza per purificarsi, aderendo a un rito quotidiano inconsapevole. La ragazza che guarda l’uovo ha un volto assente e disinteressato: non è disposta ad agire per sovvertire la situazione.

Tutte le opere di Cleopatria sono intrise di rimandi simbolici e vanno interpretate in chiave allegorica. La loro estetica non può prescindere dal Picasso figurativo, richiama, inoltre, la Metafisica di De Chirico nella costruzione delle forme e dei valori tonali e un modo di comporre le figure nello spazio di Max Beckham. L’impianto compositivo un po’ “pastiche” ricorda anche soluzioni cinematografiche, o meglio, teatrali.

Ne Il sole dopo tredici lune la volontà di fratellanza e la forza della natura trionfano, gli animali interagiscono con i personaggi e una finestra si apre non si un cortile ma su uno spazio che appare sconfinato, al centro del quale si innalza un grande rogo. Alcuni uomini circondano le fiamme in un girotondo mentre altri portano delle grate di cancelli da ardere, sono nudi in quanto anche la veste avvolge il corpo in una forma di costrizione: è una maschera di civiltà calata dall’alto, se da una parte rispecchia il nostro estro creativo, altre volte è definito dal censo. Alcune figure si rilassano all’ombra di un portico, si intrecciano i capelli vicendevolmente in un gesto di un’autentica premura. Il gatto rappresenta l’oscurità della notte ma anche il lato selvatico dell’uomo, il buio della coscienza che oltrepassa le Colonne d’Ercole dell’ignoto.

Gli orfani è un dipinto maggiormente biografico in quanto rispecchia la situazione dell’artista ma si concentra sulla condizione umana della solitudine. Due creature si trovano sospese e sedute all’interno di gabbie claustrofobiche con sbarre massicce. I loro piedi sono immersi nel mare ma qualcosa li rincuora: la reciproca prossimità, mano nella mano affrontano la cattività insieme. È interessante notare come sia trattata la superficie dell’acqua: una sostanza semiliquida più che completamente fluida.

Lo stile di questi primi tre quadri rievoca Peter Soig e Ken Russell. Di dimensioni minori ma anche differenti a livello tonale risultano gli ultimi due dipinti, anche in ordine di esecuzione. Il gusto della serie, nominata Fontane vive per via dell’elemento dell’acqua e dei corpi marmorei dalle fattezze classicheggianti, vira verso un realismo più spiccato. Siamo nel giardino dell’Eden figure di carne e figure di pietra sono accostate. Una ninfa dal volto che affiora può richiamare l’Ofelia shakesperiana, collegando, per antitesi, l’elemento vitale dell’acqua con un alone mortifero. La fontana, presente solitamente nei chiostri e nei monasteri per suscitare un senso di pace interiore – un’oasi ritagliata rispetto al mondo esterno pestifero – offre un’occasione per meditare sulla particolarità della Città Eterna: la Roma barocca dalle fulgide fontane.

 

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La mostra di Cleopatria sarà visitabile da Mora Gallery, in via Natale del grande 21, Roma, fino al 4 aprile 2024.

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