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Parigi-Venezia: tre gallerie, due città e un orizzonte contemporaneo
Mostre
Non è più solo la Biennale ad attrarre gallerie internazionali a Venezia. Negli ultimi anni, alcune delle realtà più dinamiche della scena parigina hanno scelto di aprire sedi stabili lungo i canali della Serenissima, non come appendici temporanee, ma come nuovi centri di sperimentazione e visione. Galerie Negropontes, Alberta Pane e 193 Gallery, pur diversissime per storia, linguaggio e posizionamento, condividono oggi un’intuizione comune: Venezia è un luogo fertile dove l’arte può essere non solo mostrata, ma pensata, abitata, trasformata. A fare la differenza non è solo il contesto architettonico o il prestigio storico, ma un pubblico internazionale, colto, curioso, che in laguna trova una dimensione d’ascolto più lenta, più profonda. “Venezia è una città dove il passato e il futuro si incontrano”, afferma Sophie Negropontes. “Per me è il simbolo perfetto dell’equilibrio tra memoria e innovazione”.
Galleria Alberta Pane: tra installazione e osmosi
Il caso di Alberta Pane è quello di una galleria che, dopo anni di attività a Parigi, decide di tornare alle origini. Nel 2017 apre uno spazio a Venezia, la sua città natale, in una ex falegnameria nel sestiere di Dorsoduro. Il motivo? Dare respiro a progetti più ambiziosi, installativi, che necessitano di una relazione più fluida con lo spazio. A differenza della sede parigina, caratterizzata da white cubes con vetrine sulla strada, lo spazio veneziano si presta a esposizioni immersive, pensate ad hoc. Qui il dialogo tra le due città è continuo: le mostre si rispecchiano, si completano, si contaminano. L’ultima personale ospitata a Venezia, Architetture Terrone di Romina De Novellis, è un esempio emblematico: un progetto che attraversa linguaggi (performance, fotografia, installazione) e territori simbolici (il Sud, il corpo, il femminismo), pensato in continuità con le ricerche già sviluppate dall’artista in Francia. Venezia diventa dunque un laboratorio espanso, in cui l’identità transnazionale della galleria prende forma concreta.

Galerie Negropontes: tra architettura e trasmissione
Fondata a Parigi da Sophie Negropontes, la galleria si distingue per un progetto curatoriale ibrido tra arti visive, design e architettura, con un’attenzione particolare per la materialità e la memoria. Nel 2024, apre una seconda sede nella Palazzina Masieri, edificio affacciato sul Canal Grande e già segnato dai progetti – mai realizzati – di Frank Lloyd Wright e dalla radicale riprogettazione interna di Carlo Scarpa. Non è un caso che Negropontes, spinta da un legame personale con la città (il padre espose alla Biennale del 1983), scelga proprio questo spazio per dar vita a un programma culturale che intende valorizzare non solo le opere, ma il contesto in cui si inseriscono. “Non voglio che le due sedi siano entità separate – spiega Negropontes – ma due volti dello stesso progetto, capaci di rispecchiarsi e nutrirsi a vicenda. A Venezia ci concentreremo maggiormente sull’architettura, a Parigi sull’arte, ma ci saranno mostre speculari, dialoghi, risonanze. Vogliamo creare esperienze artistiche parallele ma profondamente connesse”. Il risultato è un dispositivo espositivo che agisce come piattaforma di ricerca e trasmissione, dove Parigi e Venezia diventano due poli di uno stesso pensiero curatoriale.

193 Gallery: ponti tra Sud globale e laguna
A questa triangolazione si unisce anche 193 Gallery, realtà nata a Parigi con una vocazione spiccatamente internazionale e post-coloniale. La sede veneziana, aperta in occasione della Biennale Arte 2024, è il tassello più recente di un progetto che vuole portare le voci del Global South nei luoghi simbolici del contemporaneo. La mostra in corso, Bricks and Grids, a cura di Miriam Bettin, mette in dialogo le opere di Zoila Andrea Coc-Chang e Modou Dieng Yacine, tra narrazioni diasporiche e riflessioni sull’architettura come spazio politico. Non è un caso che 193 Gallery abbia scelto proprio Venezia, crocevia di memorie e transiti, per installare questo nuovo presidio. Una delle fondatrici ha vissuto a lungo in città, sviluppando relazioni culturali che oggi tornano in forma di progetto curatoriale. “Venezia è una piattaforma d’ascolto,” dichiarano, “capace di accogliere e amplificare sguardi che spesso restano ai margini.”

Due città, una visione
Parigi e Venezia non sono solo coordinate geografiche, ma idee, atmosfere, visioni culturali. Due città che da secoli modellano l’immaginario europeo e oggi si incontrano nei percorsi delle gallerie più attente alla qualità, al dialogo e alla narrazione. In entrambe, il pubblico non cerca solo novità ma significato: collezionisti, curatori, amatori dell’arte e studenti si muovono tra le due sponde attratti da linguaggi che superano il tempo e lo spazio. Venezia, in particolare, permette un’esperienza più lenta e densa, dove l’opera si contempla, si vive, si ascolta. Qui l’arte diventa parte della città, si intreccia ai suoi silenzi, alla sua luce, alle sue geometrie liquide.
In questo scenario, le gallerie non portano solo artisti, ma interi mondi. E Venezia non è più il semplice sfondo, ma l’interlocutore. Da città-museo a città-matrice, Venezia si propone sempre più come uno dei fulcri attivi del contemporaneo: non cornice, ma contenuto. Un luogo che restituisce senso, profondità e possibilità. Un punto di partenza, più che d’arrivo.















