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Quando la pittura crea incontri che la vita non concede: accade a Palermo
Mostre
Palermo è sempre stata una coordinata di incontri per popoli e culture diversificate. Ancora oggi non è improbabile ritrovare casualmente un amico lontano tra i vicoli di un mercato o fare amicizia in una piazza con chi viene dall’altra parte del mondo. Si potrebbe dire analogo l’incontro avvenuto nel 2019 a Palermo tra Andrés Aparicio (1989), artista originario di Villarrasa, piccolo comune dell’Andalusia e Andrea Di Marco (1970) pittore palermitano della Scuola di Palermo, prematuramente scomparso nel 2012.
L’incontro tra i due artisti – seppur apparentemente impossibile – avviene su un piano differente dell’esistenza, in cui il tempo cessa il suo scorrimento in un preciso istante di eternità e diventa condizione di possibilità. Si tratta di un piano pittorico per niente ideale, che definisce un rapporto di sensibilità e interessi tra i due artisti, oltre a delineare il perimetro del loro incontro, nonché uno spazio di attenzioni e di eventualità urbane e quotidiane, che lega l’indagine di ciascun pittore.

Luogo comune, il titolo della mostra che mette in dialogo le opere di Aparicio e di Di Marco, curata da Fulvio Di Piazza e accompagnata dal testo di Alessandro Pinto all’interno dell’Instituto Cervantes nella Chiesa di Sant’Eulalia dei Catalani di Palermo, stabilisce un sodalizio quasi spirituale tra i due artisti, legati da un interesse comune e viscerale nei confronti del palinsesto di segni ed elementi che ritraggono le strade e i vicoli della città, uniformando un luogo attraverso attenzioni sensibili di cui la pittura si fa testimone.

L’allestimento della grande mostra (resa possibile grazie a una cooperazione sinergica tra l’Archivio Andrea Di Marco, l’Accademia di Belle Arti di Palermo, la Galleria Giovanni Bonelli, l’Ayuntamiento de Sevilla, l’Ayuntamiento de Villarasa, CISCUS-Universidad de Sevilla, la Facultad de Bellas Artes, Diputación provincial de Huelva, ed Elenk’art) è principalmente guidato dal progetto installativo con cui Aparicio accompagna ormai da anni la propria ricerca pittorica, articolando lo spazio con una serie di muri, vicoli e vedute, che suggeriscono il diversificarsi degli ambienti urbani e che diventano pretesti per rimodulare la spazialità della città attraverso frammenti raccolti dalla pittura.

Aparicio formalizza un luogo di incontro tangibile, uno scenario di vite e movimenti fatto di scritte prelevate da muri e saracinesche, di volantini instabili al passaggio delle persone e di insegne che hanno caratterizzato la sua permanenza a Palermo. Ma si tratta principalmente di un luogo di incontro con un amico mai realmente incontrato, eppure così vicino.

Le opere di Andrea di Marco, infatti, diventano parte imprescindibile di un display espositivo che alterna l’impetuosità del movimento della città alla poetica della sua immobilità, dei suoi scorci immutabili e impenetrabili dal tempo. Qui la pittura dei due artisti, lontani, ma vicini nella sensibilità riservata alle atmosfere di questo luogo, si configura come dispositivo dilatato di indagine e ripensamento dello spazio, un’opportunità per generare frammenti eterni di un modo di vivere comune e inevitabilmente guidato dalle necessità tensive del pittore.

Ciò che ne emerge è una razionalità frontale, che è quella con cui Aparicio e Di Marco si pongono nei confronti della pittura e nella contemplazione di ciò che li circonda, dichiarando una posizione e una relazione esistenziale verso ciò che diventa invisibile, che viene ignorato seppur sempre presente nei luoghi di incontro.












