23 settembre 2019

Dalla Garfagnana al Triveneto, festival per ascolti da ricordare

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Barga e Portogruaro, festival antichi. Che fanno grande musica nella provincia, forse non facile da raggiungere ma che non si cura delle apparenze. Ancora una volta una questione politica

Festival Internazionale di Musica di Portogruaro
Festival Internazionale di Musica di Portogruaro

Ne avevo già parlato due anni fa: tanti sono, grandi e meno grandi, i festival che d’estate s’incontrano girovagando per l’Italia. In posti che neppur t’immagini, lontani dalla strada maestra del turismo di massa. Discreti, forse di nicchia, a volte antichi. Come ad esempio in Garfagnana il Barga Opera Festival, che dal 27 luglio al 6 agosto scorsi di anni ne ha festeggiati 53. La storia di questo festival varrebbe un racconto a parte. Intanto, fra difficoltà economiche talmente gravi da rischiare di pregiudicarne la realizzazione, il festival ha festeggiato con un’opera di Vivaldi, il Catone in Utica, presentato in forma di concerto da Federico M. Sardelli a capo della sua Orchestra Modo Antiquo. Titolo che inaugurava la prima delle due parti in cartellone, la seconda delle quali era una sorta di festival nel festival. Pianobarga, sei concerti, un progetto affidato dalla direzione artistica a Roberto Prosseda, pianista attivissimo, musicista curioso che ha inventato una serata nell’elegante cornice del loggiato di Villa Oliva a Lucca con un bel colpo d’occhio: la sfilata di sei gran coda Yamaha per altrettanti esecutori, tra cui, oltre allo stesso Prosseda, la “top-player” Valentina Lisitsa.

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Federico Maria Sardelli

Attraente il programma: dopo una versione del concerto per quattro cembali di Bach con riduzione degli archi affidata ai restanti due pianoforti, Six Pianos di Steve Reich, pagina dell’esponente newyorkese del minimalismo musicale che chiede ai suoi interpreti grande concentrazione ma anche capacità non comune di interplay. Per chiudere con la trascrizione sempre “a sei”, ad opera del pianista Sergio Cafaro, del Bolero di Ravel. Serata preziosa anche per la qualità delle esecuzioni.

Oltre ai due pianisti citati, si son fatti apprezzare Alexei Kuznetsoff, Massimo Salotti e le giovanissime Gile Bae e Sarah Giannetti. Essenziale la presenza del direttore Jan Latham Koenig, specie nel lavoro di Reich. Eccellente pianista a sua volta, Koenig ha chiuso un gradito siparietto finale: sette “bis” per ciascuno dei sette pianisti: da Bach a Poulenc, da Gurdjieff e Mozart a un’Ondine dal raveliano Gaspard de la Nuit memorabile nelle mani di Lisitsa.

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Gile Bae

Ma la vera sorpresa della mia due giorni barghigiana è stata proprio una delle due giovani pianiste citate, Gile Bae, coreana ormai radicata in Italia. Talento precocissimo e curriculum di tutto rispetto sono solo premesse per riconoscere una figura musicale singolare, che ha colpito per sicurezza tecnica ma ancor più per intelligenza musicale. Nella sede naturale del festival di Barga, al Teatro dei Differenti, piccolo ma di ottima acustica, Bae, che proprio nel bis della sera prima aveva dato un saggio della sua già matura visione di Bach, ripropone la musica del Kantor in una delle sue pietre miliari, le Variazioni Goldberg, capolavoro sul quale la pianista medita da tempo. Lo si capisce anche dal carattere sperimentale della sua lettura, dal suo immaginare il testo di Bach come una distesa di neve su cui sciare fuori pista. La mano felicissima le consente di governare le asperità contrappuntistiche, regalando un ascolto ricco d’interesse, offerto al pubblico con la simpatica complicità di alcuni encore.

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Festival
Internazionale di Musica di Portogruaro

A Portogruaro, un’ora di treno da Venezia in direzione Trieste, un altro festival storico, e ancora una serata che vale il viaggio per ascoltare nel Teatro Russolo un, anzi, il capolavoro assoluto della musica da camera: il Quintetto per archi di Franz Schubert. Pagina l’ultimo dei quattro movimenti della quale basterebbe a spiegare tutta la musica di Vienna e del suo grande autore; ma ci sono i primi tre, ciascuno dei quali è un “unicum universale” (si perdoni l’ossimoro), qualcosa che va oltre la scrittura, lo stile, la poesia stessa. Si dirà, impossibile affrontarlo senza che agli interpreti tremino vene e polsi. Per chi si sente all’altezza è invece impossibile evitare di farlo. Lo ha fatto una formazione italiana tra le più apprezzate, il quartetto Prometeo, che si distingue per la capacità di affrontare con pari impegno e bontà di risultati il repertorio classico e quello contemporaneo. Preceduto dal Primo Quartetto di Schumann, in Schubert a Giulio Rovighi e Aldo Campagnari, violini, Danusha Waskiewicz, viola, e Francesco Dillon, violoncello, s’è unito Damiano Scarpa, l’altro dei due celli di un organico nel quale questo strumento ad arco è una sorta di secondo carburatore che potenzia il motore della testura quartettistica. Ma la lettura dei cinque musicisti si mantiene sempre entro un perimetro squisitamente cameristico: mai un eccesso espressivo, una forzatura dinamica, in ciò  riuscendo molto bene a esaltare la forza esplosiva, atemporale, eppure così profondamente umana di questa ineguagliabile partitura.

Barga e Portogruaro, festival antichi, ascolti da ricordare. L’Italia è fatta così: ci sono le grandi città, d’arte; ma la grande musica si fa anche nella provincia, forse non facile da raggiungere ma che non si picca di “apparire”. Inutile spiegarlo a chi non vuole capire: una volta di più è una questione politica.

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