14 novembre 2002

fino al 21.XI.2002 Tappeti di guerra Napoli, Galleria Franco Riccardo

 
Direttamente dai mercati di Peshawar, da chi ha visto la guerra da vicino. Ce ne giunge un’interpretazione singolare da osservare, sentire, calpestare. Uno studioso ha selezionato 27 tappeti. In bilico tra le scienze antropologiche e l’arte sciamanica di Alighiero Boetti…

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Si direbbe che nella guerra non ci sia posto per l’arte. Di questa distruzione –in realtà- l’arte fa rappresentazione e traduzione. I Tappeti di guerra sono stati parte stessa dell’evento bellico ed ora sono in mostra come ready-made storico. L’autore però, non è un artista e non ne ha gli intenti. Si tratta dello studioso Enrico Mascelloni, che ha concentrato il suo interesse sui tappeti afgani, individuandoli come il punto di massima eccellenza tecnica e creativa di una civiltà, la porta stretta in cui la violenza della storia incrocia una potente tradizione, collettiva come poche altre.
I ventisette tappeti in mostra provengono da Peshawar. La città si trova a pochi chilometri dal confine afgano, dove il conflitto si sviluppò nel 1979, con l’invasione dell’Afghanistan da parte delle armate sovietiche e si protrasse fino a poco dopo il 1989, anno della loro ritirata. E dove le bombe sono ritornate a cadere negli ultimi mesi.
Ad otto anni dalla morte di Alighiero Boetti (che a Peshawar abitò ed impiantò il suo studio), ecco ripresentarsi in galleria quella 26012sapienza artigiana alla quale lo stesso artista torinese attingeva per la realizzazione dei suoi kilim, perfetti nella piega e nell’ordito, e rispettosi delle tradizioni folcloristiche.
Riappare nelle opere in mostra un colore proibito: il verde. Rappresentava il divino e, fino ad oggi, era stato inutilizzato. Celato per rispetto. E appare la figura umana, armata, sgomenta, ormai collocata in una realtà che non è più naturale, come quella floreale rappresentata un tempo.
Nell’ultima sala, sono esposti i tappeti geografici; dov’è stata rappresentata l’intera superficie terrestre. L’immagine della famosa Mappa di Boetti del 1973 torna alla mente inevitabilmente, ma qui l’Italia appare molto meno ben delineata. I nomi delle regioni dell’Afghanistan sono scritti in Pasto , la lingua nazionale, altri in arabo, russo o inglese.
Un tempo Peshawar si chiamava Gandhara ma, di quella civiltà buddista, che ebbe la sua più alta espressione nella costruzione dei giganti di Bamiyan , non resta quasi nulla: è stata distrutta dai Taleban. Lo splendore di questi tappeti sta proprio nel loro documentare dall’interno questo genere di distruzione.

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Peshawar

genny capitelli


Tappeti di Guerra. Franco Riccardo Arti Visive. Via Santa Teresa al Museo, 8 (nei pressi del Museo Archeologico Nazionale). Napoli. Tel. e fax 081544300. e-mail: riccardoartivisive@libero.it

[exibart]

1 commento

  1. Splendid! Il sito di Peshawar credo sia una visita d’obbligo per chi voglia approfondire la storia artigianale di questi tappeti.

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