01 novembre 2022

A tu per tu con Massimiliano Finazzer Flory, drammaturgo, regista e attore italiano

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Intervista a Massimiliano Finazzer Flory, tra "Verdi legge Verdi", "Un coach come padre. L’incredibile storia di Sandro Gamba" e "Altri Comizi d’Amore", omaggio a Pier Paolo Pasolini

Massimiliano Finazzer Flory

Tanti sono i lavori che portano il nome di Massimiliano Finazzer Flory in questo periodo, cinematogratofici e teatrali. Lo scorso 29 ottobre è andato in scena all’Auditorium di Milano Verdi legge Verdi, uno spettacolo di musica e prosa, non dissimile da un romanzo in prima persona, che ha raccontato la vita di Giuseppe Verdi con le sue parole, le sue lettere e l’accompagnamento delle sue più celebri musiche, dalla Traviata all’Aida, dal Nabucco al Falstaff, eseguite al pianoforte dal Maestro Stefano Celeghin e dalle arie con il mezzosoprano Victoria Pitts. Prossimi alla presentazione sono Un coach come padre – L’incredibile storia di Sandro Gamba e Altri Comizi d’Amore, omaggio a Pier Paolo Pasolini nel centenario della sua nascita. L’uno è un film emozionale, dedicato al basket, ispirato dalla figura di Sandro Gambra, l’altro è un documentario che riprende “il metodo Pasolini” dando voce alla società civile. 

Di queste opere, del momento attuale che l’opera lirica sta vivendo oggi, e delle possibilità per i giovani nel mondo della lirica, del film, del teatro, ne abbiamo parlato con lui, Massimiliano Finazzer Flory.

Massimiliano Finazzer FLory

Con Verdi legge Verdi, che è andato in scena all’Auditorium di Milano lo scorso sabato, il pubblico ha avuto la possibilità di ritrovarsi vis-à-vis con un Giuseppe Verdi in carne ed ossa. Lei che l’ha personificato, che cosa ha raccontato dell’uomo oltre che dell’operista italiano?

«Contadino a Sant’Agata, falegname a Genova, Maestro di musica dappertutto. L’uomo Verdi ha più colori ma lo stesso calore, ovvero un filosofo di campagna che sa di sentimenti. E quindi di Italia quella vera a cui dobbiamo tornare, clamorosamente trascurata in nome di una globalizzazione mistificata. La nostra cultura è universale come ben chiarito per sempre da Dante ma anche “il naturale amore per la propria loquela” ovvero l’identità».

Che età sta vivendo l’opera lirica oggi? Come si relaziona al nostro tempo, tendenzialmente sempre più veloce? 

«L’opera affronta un paradigma opposto a quello della sua origine nata democratica rischia la fine aristocratica. Una ghigliottina mediatica dato che i suoi tempi non sono televisivi o peggio social… ma è paradossale il permanere del suo “brand”, la sua credibilità che è intatta grazie anche ai teatri d’opera, veri luoghi di culto, architetture “turistiche” che ci conducono in viaggi della mente. Allora bisognerebbe tornare a educare con format disruptive… Che cosa è la lirica? Proviamo ad iniziare a rispondere giocando anche sui suoi elementi performativi. Se porti una cantante lirica a scuola alle medie magari qualche studente si scopre innamorato del canto e capisce che stiamo trattando della nostra anima, dell’umano più profondo. No?».

Massimiliano Finazzer Flory in Verdi legge Verdi

Lo scorso anno il Comune di Macerata ha celebrato i cento anni dalla prima rappresentazione lirica allo Sferisterio di Macerata con, anche, un progetto che coniugava l’opera lirica e l’arte contemporanea. Che rapporto esiste tra lirica e arte contemporanea? Quali strade potrebbero essere percorse perché queste due voci possano unirsi coralmente?

«La regia se è tale gioca sempre su memoria e immaginazione dove passato presente e futuro possono a volte coesistere ma sempre si inseguono e sovrappongono con ritmi e rappresentazioni non solo estetiche. Dunque, necessario cogliere dalle arti il meglio che esse hanno sulle spalle o in grembo. Certo non si tratta di consegnare un telefonino a Violetta perché canti “sempre libera” ma su costumi, luci, scenografia, movimenti del palco, istallazioni e soprattutto in prospettiva la ricerca di una nuova esperienza sensoriale. Perché non introdurre per alcune opere liriche ciò che già facciamo nel cinema il surround? Inoltre, voglio essere chiaro: non mi piacciono le commistioni quasi sempre confuse o le contaminazioni, termine che lascerei sul terreno del Covid. Preferisco strade diverse che portino a una stessa piazza con la possibilità anche di tornare indietro. In fondo parafrasando Borges il bivio è sempre spettacolare».

Massimiliano Finazzer FLory, Un coach come padre

In questo periodo è stato presentato anche Un coach come padre. L’incredibile storia di Sandro Gamba, mentre a dicembre sarà il momento di Altri comizi d’amore. Entrambi hanno due grandi figure d’ispirazione e omaggio, Sandro Gamba e Pier Paolo Pasolini. Che genere di film sono? Come sono nati e qual è il valore che li contraddistingue. 

«Prime di tutto il rispetto per i maestri. Per chi ha voglia di vincere e non accetta compromessi. Storie vere che hanno fatto delle proprie sofferenze i nostri miti. Ciò che accomuna questi film è che “solo nella tradizione, è il mio amore”. Un certo ritorno al sacro dove il vecchio sa ancora di vero e unisce le due opere. Ma il vero punto in comune dei due film è la mia ricerca artistica sul rapporto tra padri e figli dove è facile denunciare l’abdicazione all’insegnamento, alla responsabilità dell’educazione ma più interessante offrire dei modelli che Gamba e Pasolini hanno diversamente interpretato. Lo sport è antropologia e sociologia e in particolare il basket offre l’esperienza del tempo che scorre inesorabilmente. Tutto questo è anche il vissuto di Pasolini che amava l’agonistico e la squadra come dimensione fraterna, fisica. Due film, il primo in collaborazione con FIP e l’altro con RAI Cinema e il sostegno di IGT, certo diversi ma che tendono al bisogno di palazzetti con il tifo e sale cinematografiche con il buio senza le quali non siamo corpo, non siamo emozioni».

Come possono oggi i giovani trovare spazio nel mondo della lirica, del film, del teatro?

«Guardi io desidero davvero avere i giovani al mio fianco. Ma prima di tutto ne abbiamo bisogno per alimentarci energeticamente. Devono tuttavia offrirsi, domandare e pronunciare dei “sì!” a cui noi dobbiamo rispondere con lavoro, lavoro, lavoro, direbbe il mio Verdi. Ma attenzione non a distanza al PC ma insieme fisicamente. Se si potesse avere una sorta di obbligo piacevole, di avere fiscalmente, finanziariamente, sostegno totale ad assumere un giovane che creda nelle arti come figlio adottivo per chi è produttore, regista o autore, le assicuro che in sei mesi occupiamo decine e decine di migliaia di giovani che integrando la nostra esperienza renderanno sé stessi ma soprattutto l’Italia un Paese migliore. Magari il Ministro Sangiuliano è d’accordo e ripensiamo il nostro stato sociale in chiave liberale partendo dalla cultura».

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