13 novembre 2020

Addio ad Aldo Tambellini, leggenda del cinema sperimentale

di

Cineasta sperimentale, mito dell’avanguardia newyorchese, l’artista italoamericano Aldo Tambellini è morto a 90 anni. Famose le sue opere sulla blackness

Videoartista e film-maker, tra i cineasti sperimentali più influenti al mondo, esponente di spicco dell’avanguardia artistica statunitense degli anni ’60 e ’70, Aldo Tambellini è morto il 12 novembre, a 90 anni. Leggenda dell’expanded cinema, nato in una famiglia di origini italiane, Tambellini ha dedicato parte della sua ricerca al racconto dei soprusi subiti dalle minoranze e dalla popolazione afroamericana.  Nel 2015 Tambellini è stato invitato ad esporre nel Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2015, mentre nel 2016 è stata istituita la Tambellini Art Foundation.

La vita di Aldo Tambellini, dall’Italia a Manhattan

Aldo Tambellini nacque a Syracuse, New York, il 29 aprile 1930, secondo figlio di padre italo-brasiliano, John Tambellini, e madre italiana. All’età di 18 mesi, sua madre si separò legalmente dal padre e andò a vivere con il figlio in Italia, in Toscana, dai nonni. Suo nonno materno era un socialista e lavorava in una fonderia, di vagoni ferroviari. Cresciuto parlando italiano, fin da bambino si dimostrò interessato all’arte, disegnando e dipingendo con grande maestria dall’età di tre anni. A cinque anni la madre gli regalò il suo primo proiettore, alimentato a batteria. Studiò al liceo classico ma la Seconda Guerra Mondiale gli impedì di frequentare la scuola, lasciando però una impronta indelebile nel suo percorso artistico. Durante il raid aereo del 6 gennaio 1944, Tambellini riuscì a scampare per poco alla morte.

Alla fine della Guerra, a 16 anni, Tambellini si trasferì a New York con la madre, parlando pochissimo inglese. Iniziò con una serie di lavori saltuari, raccogliendo patate con lavoratori migranti e verniciando serbatoi di benzina. A 17 anni, presentò il suo portfolio a Lee Brown Coye, illustratore di Weird Tales, che lo segnalò ad Anna Holmstead, direttrice del Syracuse Museum, dove fu chiamato a insegnare pittura.

Studiò scultura con Ivan Meštrović all’Università di Notre Dame, nell’Indiana, e si laureò nel 1959. Tambellini si trasferì quindi nel Lower East Side, a Manhattan, affittando uno studio per 56 dollari al mese. Qui entrò in contatto con la vivace scena artistica newyorchese e partecipò alla creazione di diversi movimenti e collettivi artistici.

Nel manifesto del Group Center, un gruppo di controcultura che univa poesia, fotografia, coreografia e cinema, si legge: «Crediamo che la comunità artistica abbia raggiunto una nuova fase di sviluppo. In una società mobile, non è più sufficiente che l’individuo creativo rimanga isolato. Sentiamo la fame di una società persa nel proprio vuoto e sorgiamo con un impegno attivo aperto per trasmettere un nuovo spirito per l’umanità».

Nel Group Center, Tambellini ha iniziato a lavorare con il tema del Black, che avrebbe poi definito la sua espressione artistica, sempre più declinata verso la regia d’avanguardia. Nel 1965 Tambellini iniziò a dipingere direttamente su pellicola, una tecnica di cui fu pioniere, dando così inizio alla sua Black Film Series. Poco dopo, usando una telecamera Bolex di seconda mano, Tambellini girò diversi film sperimentali, uno dei quali, Black TV, vinse il Gran Premio Internazionale al Festival di Oberhausen, nel 1969. Nel 1966, Tambellini fondò il Gate Theatre, nell’East Village di New York. Qui venivano trasmessi, per la prima volta, film sperimentali di registi e artisti come Nam June Paik e Brian de Palma.

Intensi i suoi legami con la comunità intellettuale legata all’attivismo nero, come nel caso delle celeberrima Black Zero, opera che include le poesie e la voce di Calvin C. Hernton, sociologo afroamericano la cui analisi del razzismo alla luce delle tensioni sessuali è ancora oggi studiatissima. Fu proprio attraverso questo filone di ricerca, arte e impegno sociale che Tambellini iniziò a riscuotere successo anche su larga scala. Nel 2009, Performa 09, a New York, ospitò un memorabile reenactement di Black Zero, 34 anni dopo la sua prima assoluta all’Astor Playhouse, nel 1965.

Il riconoscimento tardivo

Sebbene il lavoro di Tambellini sia considerato tra i più influenti nell’ambito dell’arte sperimentale, non è stato ancora ampiamente riconosciuto dai circuiti ufficiali. Almeno fino all’ultimo decennio, quando, si è registrato un rinnovato interesse per la sua ricerca. Nel 2011, il Chelsea Art Museum ha ospitato una reinterpretazione di Black Zero, nell’ambito di una ampia retrospettiva dedicata a Tambellini. Nel 2012 ha quindi esposto alla Tate Modern un programma di proiezioni dei suoi film storici. L’installazione Retracing Black è poi entrata a far parte della collezione permanente del museo londinese.

Nel 2015, Tambellini è stato inviato a partecipare al Padiglione Italia della Biennale d’arte di Venezia. Il suo lavoro, allestito negli spazi delll’Arsenale, era composto da un’opera proiettata su più schermi intitolata Study of Internal Shapes and Outward Manifestations e da una serie di illustrazioni intitolata Memory Atlas.

NNel 2016 fu istituita la Tambellini Art Foundation, dedicata alla promozione delle opere di Tambellini e alla tutela e promozione dell’arte contemporanea. Inoltre, la Fondazione cerca di garantire che le opere di Tambellini siano accessibili a tutti tramite allestimenti permanenti e prestiti in gallerie e musei di tutto il mondo. La fondazione cerca di sostenere gli artisti emergenti in tutte le discipline.

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui