24 aprile 2007

ALBERTO GRIFI, O L’INDIGENZA SPERIMENTALE

 
Si è spento a Roma lo scorso 22 aprile il regista Alberto Grifi, maestro del nostro cinema sperimentale. E non solo. La sua opera libertaria, sempre sincera e controcorrente, ha influenzato il cinema ma anche l’arte e la critica più avvertita. Ma Grifi si è spento nell’indigenza e nell’indifferenza. Ora è il tempo degli omaggi…

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E la lista dei morti si allunga. In questo caso, l’occasione è ancora più toccante, perché Alberto Grifi (Roma, 29 maggio 1938 – 22 aprile 2007), padre del cinema sperimentale e della videoarte in Italia, si è spento nell’indigenza e nell’indifferenza delle istituzioni. Negli ultimi anni si erano moltiplicati gli appelli per un sostegno economico e sanitario all’autore, invano. Il nostro è proprio uno strano Paese: mentre piovono finanziamenti, pubblici e privati, su cantanti e registucoli da quattro soldi per realizzare infimi ed insulsi lavoretti, ad un quasi-genio, autore di opere seminali come La verifica incerta (1964), e Anna (1972), viene negata finanche la sussistenza.
Grifi aveva respirato la tecnica cinematografica sin dalla prima infanzia, ed in gioventù, come altri importanti autori della sua generazione, aveva frequentato Cesare Zavattini, assorbendo da quel maestro straordinario l’amore per il cinema. Il “debutto in società”, leggendario, avviene nel 1964 con Gianfranco Baruchello in una sala cinematografica di Parigi, alla presenza di gente del calibro di Marcel Duchamp, Man Ray e Max Ernst. I due presentano La verifica incerta, montaggio di found footage hollywoodiano sulla scia dei lavori cinematografici di Joseph Cornell, ottenuto saccheggiando un camion di pellicole destinate al macero. Non è escluso che alla proiezione abbia assistito anche Guy Debord, già autore di Hurlements en faveur de Sade (1952), Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps (1959) e Critique de la séparation (1961), e che nel 1973 presenterà il suo La société du spectacle.
Lungo tutti gli anni Sessanta e Settanta, la ricerca di Grifi -sempre personale ed innovativa- si muove in consonanza con il New American Cinema che, sull’altra sponda dell’oceano, si raggruppa intorno all’American Film Archive di Jonas Mekas, influenzando profondamente anche elementi teoricamente estranei al cinema sperimentale, come il lavoro di Richard Serra, Ed Ruscha e Rosalind Krauss.
La verifica incerta - Baruchello & Grifi - Marcel Duchamp
L’opera di Grifi dialoga quindi, in maniera creativa e costruttiva, con quella di registi come Stan Brakhage, Michael Snow, Kenneth Anger e Andy Warhol.
Il successivo In viaggio con Patrizia (1965) è un viaggio in auto ed insieme nella poesia fonetica di Patrizia Vicinelli, accompagnato dalla musica di Paolo Fresu.
Nei primi anni Settanta Grifi è il vero pioniere della videoarte in Italia; inventa addirittura il “vidigrafo” che nel ’72 servì per trascrivere su pellicola Anna (in co-regia con Massimo Sarchielli), girato con il primo videoregistratore portatile “open reel” da un quarto di pollice arrivato in Italia. Il film, uscito nel 1975, rimase in cartellone al Filmstudio di Roma per qualche mese: sicuramente anche Nanni Moretti -assiduo frequentatore, in età giovanile, di quel cinema- e il suo Io sono un autarchico (1976) devono qualcosa al Grifi libertario degli anni Settanta.
Dopo Il manicomio – Lia (1977) e il dittico sulla condizione degli esclusi composto da Michele alla ricerca della felicità e Dinni e la Normalina, ovvero la videopolizia psichiatrica contro i sedicenti nuclei di follìa militante (1978), entrambi rifiutati dalla Rai, negli anni Ottanta Grifi lavora per la Rai (Mixer) e per compagnie di industria civile negli USA, in America Latina, Africa, Australia Un ritratto fotografico di Alberto Grifi e Sud Est Asiatico. Realizza anche numerose trasmissioni radiofoniche sul funzionamento parallelo dei mattatoi e dei mass media.
Mentre festival e musei gli dedicano ampie retrospettive, inizia la sua parabola discendente. Sporadici e occasionali i suoi nuovi incontri con il cinema, legati soprattutto al genere del documentario: La prima volta che Zavattini provò a usare un videotape (1993), Leoncavallo, i giorni dello sgombero (1994), realizzato con il collettivo Video del Centro Sociale e Paola Pannicelli, e soprattutto Addo’ sta Rossellini? (1997), film su Alifonso, protagonista del terzo episodio di Paisà (lo scugnizzo che ruba le scarpe al soldato americano). La riflessione finale di Grifi sul neorealismo, girata con Michele Schiavino e Maria Paola Fadda, vinse il premio speciale Sony video al Festival di Locarno.

link correlati
Sito web del regista
Un recente videomessaggio di Alberto Grifi

christian caliandro

[exibart]

2 Commenti

  1. consiglio caldamente la visione del videomessaggio: un documento profondo, toccante e totalmente umano, di un vero artista d’avanguardia.

  2. Un grande artista se nè andato, dimenticato nell’indifferenza totale e nell’indigenza, un’altro ancora, quanti sono oramai? Ed ora è il tempo degli omaggi?
    Bisogna proprio aspettare che si muoia quindi per essere ricordati? Bisogna aspettare di invecchiare e morire perchè qualcuno si ricordi del tuo lavoro, di quel lavoro che da molti anni più nessuno si voleva ricordare, nessuno ti voleva permettere di fare? E’ancora questo il mondo contemporaneo dell’arte glogale?

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