30 ottobre 2020

D10s c’è: 60 anni della leggenda di Diego Armando Maradona

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Il 30 ottobre 1960 a Lanùs, nasceva Diego Armando Maradona e sessant'anni dopo tutto il mondo celebra la leggenda di D10s

Diego Armando Maradona

Ci sono calciatori fortissimi che giocano tutta la vita su campi in terra battuta, ricavati in quei pochi spazi rimasti liberi appena fuori dalle città, incastrati tra i piloni delle uscite della tangenziale. La fortuna, qualche assurdo disegno del destino, li ha dotati di un equilibrio sconosciuto alle altre persone. Questa forma sferica così sfuggente sembra proprio voler rimanere estranea alle spigolosità del corpo, eppure questi individui benedetti dalla sorte e sconosciuti alla gloria riescono ad adattare il proprio corpo ai rimbalzi più imprevedibili, perché mantenere il pallone incollato al piede non è altro che un atto di fede. Quella del calciatore fortissimo che chissà per quale motivo non ha sfondato e che vedi giocare il mercoledì o il giovedì sera è una figura tipica di chi pratica il calcio della periferia, quello distante da qualunque gratificazione pubblica. Ma contrariamente a ciò che sarebbe facile immaginare, di solito non si tratta di un personaggio triste perché – e chi gioca a pallone lo sa – in fondo, ogni gol, ogni dribbling, ogni contrasto, su qualunque campo, in qualunque competizione, ti dà la stessa, identica sensazione. Nato il 30 ottobre 1960 a Lanús, cresciuto a Villa Fiorito, così distante dal centro di Buenos Aires, Diego Armando Maradona sarebbe potuto diventare uno di quei calciatori fortissimi e sconosciuti. Sulle sue origini umili e sulla sua infanzia difficile sono stati scritti chilometri di articoli che poi, però, prendono una piega luminosa, proprio come se fosse una parabola, perché la storia è andata diversamente e oggi, 30 ottobre 2020, tutto il mondo celebra i 60 anni di D10s. In 60 anni, a Diego Armando Maradona è successo di tutto e tutti conoscono la sua vita, assurta a icona, scorsa in centinaia di fotografie, film, documentari, una presenza trasversale, tra alto e basso, kitsch e pop, nella cultura visiva contemporanea. C’è la storia raccontata migliaia di volte e sempre con qualche sfumatura diversa e incongruente, con incomprensioni e rovesciamenti, prese di posizione e provocazioni, sacrilegi, come del resto si addice alle leggende. C’è il mito di Maradona, destinato a rivivere ogni volta tra le voci di chi l’ha visto al San Paolo e al Camp Nou. E poi, tra i brividi di quelle voci, rimane in sospeso qualcosa che un po’ sfugge al racconto, che evita le parole come fossero difensori di una logica troppo fredda. È qualcosa di simile allo stupore che ritorna sempre come un’onda, come una ola, sempre la stessa sensazione di meraviglia che si ripete, quando rivedi Maradona muoversi sul campo da calcio sempre con la stessa leggerezza nelle gambe, con quella ineluttabile e ferrea volontà negli occhi, quell’espressione di eterna sfida scavata sui suoi zigomi da indio. Potevano essere le partite che valevano i punti per lo scudetto, la finale dei mondiali, gli allenamenti con i compagni di squadra, le fasi riscaldamento, le partite di beneficenza. Qualunque momento in cui c’era da stoppare un pallone in pochi centimetri di spazio, tra gli stinchi voraci dei terzini e dei mediani, e spedirlo esattamente dove non si credeva possibile, per farti esclamare no, non è possibile. Valere tutto o nulla, volere tutto o nulla, non fa poi molta differenza quando sei lì, perché D10s c’è su ogni maledetto campo da calcio.

Diego Armando Maradona

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