31 luglio 2000

Intervista immaginaria e metacronica ai critici di Sassu

 
Si doveva scrivere il tributo ad un grande artista scomparso di recente, Aligi Sassu. Non è facile farlo e forse neppure giusto, se si accetta che l’artista viva una doppia vita, quella consueta, dell’uomo, degli affetti familiari e degli amici, che ci può toccare emozionalmente ma non competere, e quella dell’arte, che alla morte sopravvive

di

Alla morte dell’uomo opponiamo perciò il nostro silenzio, alla vita della sua arte tributiamo invece questo omaggio un po’ insolito: abbiamo selezionato alcuni pensieri dai contributi dei critici che, nel corso di tanti anni, hanno scritto dell’opera di Sassu, li abbiamo messi in ordine cronologico e vi abbiamo premesso delle finte domande; un po’ perché il lettore sia agevolato nella lettura, forse soprattutto per far rivivere un uomo nelle parole che sono state ispirate dalla sua arte.

Exibart: La pittura dei rossi di Sassu: da dove viene l’energia sorgiva che sgorga dalle tele e cosa rende allo spettatore?
1932

Raffaello Giolli:
Questa pittura rossa di Sassu è soltanto lo scherzo di un vetro colorato o l’autentica ossessione di una sensibilità? Questo rosso incendiario e amaro, che non canta, non squilla, non scalda, ma brucia e stupisce, è davvero per noi qualcosa di vivo, una nota dell’anima, una ricerca di profondità. E può essere tuttavia acerba, nel grido, ma quella voce portata tutta su quel fuoco, in una totale tensione, è qualcosa che vive.

Raffaello Giolli, sul ciclo degli “Uomini Rossi”, 1932

Exibart: La materia pittorica di Sassu è solo una questione estetica?
1934

Carlo Carrà:
Del Sassu ci piace soprattutto segnalare i “Ciclisti”, dal quale si può vedere che per l’autore il quadro non è soltanto materia più o meno gradevole all’occhio versata su di un tessuto accidentale, ma ricerca di un’unità spirituale. Per questo la pittura di Aligi Sassu presenta un interesse che supera il concetto di superficie, per quanto la densità e la preziosità della colorazione abbia spesso ufficio di far peso su una materia omogenea e salda.

Carlo Carrà: Mostra Sindacale Lombarda, 1934
Aligi Sassu
Exibart: Quale ruolo ha avuto Sassu nello sviluppo dell’arte italiana del ‘900?
1936

Giuseppe Marchiori:
Nella pittura di Sassu sono anche più evidenti i primi e sicuri anticipi di quel linguaggio figurativo che domani sarà comune nell’arte italiana. Sassu ha ben capito la lezione dei francesi italianisants: essi rappresentano la vera tradizione, da noi rinnegata o dimenticata dell’Ottocento. Sassu è riuscito ad adattare quei caratteri formali e coloristici alla sua personalità di moderno, con sicura intuizione del loro valore e della loro vitalità. Sassu dallo spirito ardente e riflessivo, ad un tempo, è tra i primi a proporre una soluzione alla polemica trentennale dell’avanguardismo e del tradizionalismo in un senso esclusivamente “pittorico” e tipicamente italiano.

Giuseppe Marchiori: Emporium, Rivista d’arte e di cultura, Bergamo, settembre 1936

Exibart: L’arte di Sassu sembra esprimere tutto l’animo latino del mediterraneo.
1941

Raffaele Carrieri:
E’ sardo, ma potrebbe essere benissimo spagnolo, uno spagnolo barocco e rissoso, di quelli che odorano di sangue bruciato e impiegano due tori per spaccare un filo di seta. Taciturno e olivastro non si direbbe certo l’autore di cruente battaglie, quelle battaglie da teatro anatomico che Sassu va dipingendo da dieci anni con attentissimo furore mischiando nella carneficina uomini e quadrupedi, selve, sangue, nuvole, raccontando ampio e sviluppando nel racconto densi spartiti di colore filamentoso portati al massimo dell’espressione. Ci sono delle vene capillari che si rompono e infocano le sue composizioni foltissime e intricate di personaggi, dei vasi sanguigni che scoppiano simili a petardi in mezzo a paesaggi omerici: e tutto questo scandito da un disegno anatomico e grasso, seguito colore per colore, tono per tono, senza perdere mai di vista il racconto e nel racconto la pittura.

Raffaele Carrieri: dal catalogo alla mostra “Aligi Sassu”, Galleria Genova, Genova, dall’1 al 15 febbraio 1941 – XXIX
Aligi Sassu
Exibart: Da dove viene la pittura di Sassu? Istinto o cultura?
1941

Giuseppe Gorgerino:
In verità, tutto un manipolo di giovani oggi sente la sua influenza come quella già di un maestro: la sua esperienza è stata comune a molti, senza che si possa dire, di lui, che abbia sentito l’influenza, scoperta, di qualcuno. Istinto, cultura? Tra gli artisti più colti del nostro tempo, cioè di quelli che la sanno assai lunga sul fatto dell’arte, Sassu per me è pittore soprattutto d’istinto. Con questo di notevole e di apparentemente contraddittorio: che l’opera sua è stata tutta di riflessione, esemplata su grande arte. Adesso, il suo nome è scoppiato nell’orto conchiuso della nostra arte come una bomba, chè tutti l’hanno sentito; Sassu ha al suo attivo, netto, la controversia di quest’ultimo tempo sull’arte moderna, ma le improvvisate non sono ancora finite. Sassu, nel suo lavoro e nella sua ispirazione abbastanza composita, è dei pochi, dei pochissimi, che mira assai in alto.

Giuseppe Gorgerino: dal catalogo alla mostra “Aligi Sassu”, Galleria Genova, Genova, dall’1 al 15 febbraio 1941 – XXIX

Exibart: Nell’epoca delle avanguardie Sassu scelse di dipingere l’uomo.
1948

Orio Vergani:
… Aligi Sassu può essere indicato come uno dei primi che, nato in mezzo al contrasto fra l’ultimo cubismo e il neoclassicismo del Novecento lombardo, si è messo decisamente sulla via che doveva portarlo al ritrovamento delle dimenticate razze umane, delle dimenticate famiglie umane, del dimenticato dramma e della dimenticata epica umana. Su questa via, che mi pare essenziale per l’arte di domani, egli è in cammino da tempo: e la sua opera volge ormai alla prima delimitazione del mondo di una sua particolare e vitale categoria di personaggi, e dunque di sentimenti. Esprimendo questi esprime se stesso, come istinto e come pensiero, come pura sensibilità pittorica e come assorta meditazione umana. I vari elementi non possono essere scissi, a meno di rinunciare a una parte della vitalità della nostra arte, e dunque di noi stessi. … Quante soluzioni facili e ormai bene accette, quante possibilità di placido compromesso, di accademico avanguardismo, a volontà nel menù del post-impressionismo sfatto, o del neo-cubismo! E invece quanti rischi a voler affrontare a tu per tu l’uomo, il personaggio, l’urlo, il pianto, la desolazione, la disperazione degli interpreti di una nostra vita senza precisa cronaca ma con tanto immanente dramma. … Tutta l’opera di Sassu nasceva sotto il segno dell’annuncio. E quanto più poteva sembrare che la pittura avesse dimenticato il personaggio accentratore di elegia e di tragedia, tanto più la prima opera di questo giovane ancora oscuro portava l’annuncio di un pellegrinaggio alla ricerca delle ormai perdute cattedrali del sentimento. Nel neo-paganesimo della così detta pittura pura, celebratrice di imbarbariti e infantilizzati istinti, sembrava che Sassu andasse praticando entro i cunicoli di misteriose catacombe di una nuova fede, alla ricerca degli uomini. La sua pittura illuminava le prospettive di un panorama di carni rosee e di violenti belletti, attraverso luoghi notturni di silenziosa allucinazione. Era il tempo in cui, sotto la sigla comune dei “caffè” e dei “postriboli” egli viaggiava nella folla di una umanità ai limiti del disfacimento e della bestialità. Era la pittura di una notte illuminata da chiarori senza precise sorgenti: la pittura di un mondo avvolto, dietro ai suoi fondali, nella cupa notte dell’ignoranza del proprio cammino. Ed era il tempo, per reazione, delle fughe in una realtà che diventa leggenda, laghi ariosteschi, cavalli mitologici, alberi radicati entro lo stesso mistero integrale del cielo. Alta anche in questi visioni parlava la presenza di un invisibile personaggio mitico: che è l’uomo stesso, spettatore di lontani prodigi marini, tra scogliere e boschi, come un ulisside che approdi dopo un naufragio.

Orio Vergani: nella presentazione della mostra “Le donne e i cavalli di Aligi Sassu. Quadri e ceramiche a gran fuoco”, Galleria de L’Illustrazione Italiana, dal 29 aprile al 16 maggio 1948.

Exibart: Esiste, per Sassu, un processo di sintesi dell’immagine naturale?
1953

Guido Ballo:
Ricercava una nuova misura interiore, nel colloquio con l’immagine naturale; non per aderire al vero, in un ritorno al naturalismo: l’esaltazione cromatica dei Fauves, che lo aveva fatto tendere alla ceramica, l’intensità deformante dell’espressionismo, di cui erano chiari gli stimoli nella serie dei Caffè, della Maison Tellier, delle Ragazze dai capelli rossi, o la dinamica di certo linguaggio futurista, di cui era un’eco negli stessi Ciclisti, per non dire dell’accensione romantica di Delacroix, evidente nei Cavalli impennati, gli avevano dato da tempo una coscienza culturale antinaturalistica, che non poteva essere dimenticata da un giorno all’altro.
… Sassu soprattutto ha ottenuto una semplificazione pittorica, una maggiore chiarezza. Con una materia sottilmente elaborata in varie stesure, con velature di smalti, egli sembra orientarsi verso una visione impressionista della luce…

Guido Ballo: dal catalogo alla mostra “Aligi Sassu”, Galleria La Colonna, Milano, dal 28 ottobre all’11 novembre 1953
Aligi Sassu
Exibart: Simbolismo e romanticismo, come si conciliano nell’opera di Sassu?
1963

Salvatore Quasimodo:
Ho incontrato Aligi Sassu per la prima volta, a Milano, nel 1937. Era il periodo di preparazione della Rivista “Corrente”, cioè quella della lotta – non proprio sotterranea – più impegnata contro il regime fascista e la sua politica culturale. … Il simbolismo di Sassu è inteso come bellezza, ma di ordine etico, non formale; il suo romanticismo è affettivo evoca gli oggetti del ricordo, dei luoghi. Nel mondo mentale – per dire costruito senza unità di categorie di spazio e di tempo – l’angoscia del pittore per non travolgere il reale, nel nome delle anatomie metafisiche o futuriste delle rivoluzioni di inizio secolo, coinvolge i sorrisi, la tristezza, l’indifferenza di volti a lui noti, amici.

Salvatore Quasimodo, “Incontro con Aligi Sassu”, da “Opera grafica” di Aligi Sassu, edito da Luigi De Tullio, 1963

Exibart: Qual è l’essenza dell’operare artistico di Sassu, quale ruolo hanno l’uomo e il colore?
1965

Mario De Micheli:
Mi sono domandato più volte quale sia la sorgente segreta di questo ardore che diventa irradiazione, veemenza, e talvolta flutto impetuoso. Forse la sorgente è una sola ed è quello che gli antichi chiamavano “amor vitae”: un amore che ha il ritmo del sangue, calmo o concitato, ma che al tempo stesso coinvolge tutte le potenze spirituali e intellettuali, tutte le passioni morali dell’uomo. …Sogno e realtà, cronaca, storia, amore e morte: non c’è motivo, tema, argomento che Sassu non abbia trattato sospinto dal suo fervore, dal lievito della sua immaginazione. Così sono usciti dallo stesso petto le creature mitiche e i personaggi reali, le sfrenate battaglie equestri e le fucilazioni, i concili e le tauromachie. La realtà si è fatta mitica, il mito si è fatto realtà. … Ma in tutti i quadri, in tutte le opere, vive lo stesso ardore, agisce la stessa immaginazione, ed è ciò, appunto, che costituisce quel flusso di continuità unitaria in un’opera che altrimenti potrebbe apparire eterogenea. E’, questa, la “costante” di Sassu.
L’uomo sta al centro dei suoi interessi: un uomo libero da ogni oppressione, un uomo cresciuto d’epoca in epoca fino a noi, dal mito alla realtà, dalla realtà che è già mito, al futuro che sta per divenire, figlio di Prometeo e di Giasone, e figlio di una dimensione spaziale: un uomo col suo appassionato peso carnale, con la forza di un erotismo che si fa energia della natura, con la tristezza e la gioia, con la responsabilità e la grandezza della coscienza di fronte alla verità della vita. … Le influenze che egli, dalla sua giovinezza al periodo della maturità, ha dimostrato di accogliere, si dichiarano di volta in volta con evidenza: i primitivi, gli impressionisti, il Picasso blu e rosa, Dalcroix … Ogni influenza però è risolta in lui senza forzature, direi naturalmente, alimentando la sicura predisposizione ad un linguaggio libero, romantico e realistico insieme, eloquente o sensuale, elegiaco o tragico, ora pieno di echi, di risonanze, ora diretto, incalzante: il linguaggio, appunto, come dicevo, dell’immaginazione e dell’ardore, del fervore verso la vita e la verità dell’uomo.
… Nel carattere di questo linguaggio immune dalle formule precostituite, il colore ha una funzione determinante. In Sassu dunque il colore si manifesta come puro traslato lirico, bruciando di luce propria, pur attingendo stimoli ed eccitazioni dalla passione fantastica dell’artista e al tempo stesso dalla pressione ideale della verità, dall’adesione senza riserve alle vicende che l’uomo vive nel contrasto della sua esistenza. Verdi come alghe, rossi come ferite ardenti, azzurri come acque marine profonde. E spesso i suoi colori sono intrisi di ansia, di ineffabile inquietudine, di una strana, sottile agitazione …

Mario De Micheli: “Ardore e immaginazione nell’arte di Sassu”, dal catalogo della Mostra antologica di opere grafiche, Galleria Civica, Monza, 2-30 giugno 1965


Ricapitolazione

Nel mistero che ci circonda, nei visi delle donne e degli uomini, nelle ombre delle sere tristi e viola dell’umanità, siamo finalmente evasi dalla preistoria del colore e dell’espressione per un mistero più vivo che, come la notte inerte, si illumina lentamente dell’alba… I miei maestri sono gli uomini del sangue, dello spirito nella materia che fermenta di colore sanguigno, che trascolora nella porpora e nell’oro, dei verdi tristi della pace e della morte, della realtà bianca dei Caffè, il sangue pallido e le luci rosa carne dei postriboli e dei bar dove la vita si trascina e ribolle, morbida vita che si finge realtà. …Il mistero intorno a noi: un colore che si svela solitario: allora il rosso è rosso, un colore non ambiguo né enigmatico come a volte il verde, perciò appare di sangue e raggrumato nell’occhio di più viva realtà.” (Sassu, 1940)

Alfredo Sigolo

[exibart]

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