09 giugno 2014

L’intervista/ Juan A. Gaitán Vi racconto la mia Biennale. E dove va il mondo dell’arte

 
Dopo la Biennale di Berlino? C’è Art Basel! Lo dice Juan A. Gaitán, direttore dell’ultima rassegna tedesca. Su cui torniamo, non per parlare di opere e artisti, ma per indagare la sua metodologia. Ecco un particolare ritratto del curatore canadese-colombiano, con esperienze in mezzo mondo, dalla California alla Norvegia. E che ha scelto come proprie residenze due poli opposti: il Messico e Berlino

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Haus am Waldsee Artist's works: Michael Sailstorfer, Wohnen mit Verkehrsanbindung (Großkatzbach), 2001 (left) and Wilhelm Mundt, Trashstone 306, 2006 (right) © Haus am Waldsee Photo: Berndt Borchardt
L’ottava Biennale di Berlino é strutturata in tre approcci speculativi sulla città: il suo rapporto con l’ ambiente costruito, quello con la cittadinanza, e con il lavoro. Un ulteriore focus analizza il legame con la Berlino del 18esimo e 19esimo secolo inserendola nel nostro paesaggio culturale. Come descrivi l’ottava Biennale di Berlino? C’è qualcosa di specifico che ti interessa della città, che ti ha particolarmente influenzato nella scelta curatoriale? 
«La Biennale di Berlino è il risultato di una profonda interazione con gli artisti. Ho costruito un quadro con angolazioni e prospettive diverse proponendo una cronologia storica non scontata di Berlino e della Germania.  Suggerisco una linea del tempo strettamente legata alle mie osservazioni facendo rivivere l’architettura, di Berlino, del 18esimo e del 19esimo secolo che è stata sapientemente recuperata.  Questo  è particolarmente riscontrabile nel centro della città, Mitte, che ha una cultura di divisione;  l’ altro che è altamente simbolico e inclinato verso l’eredità del 19esimo secolo dei Lumi, e l’ultimo che funge da palcoscenico per i turisti».
Danh Vo & Xiu Xiu New Collaboration, 2014 Eröffnungsperformance, 28.5.2014, Museen Dahlem / Opening Performance, 28.5.2014, Museen Dahlem Foto/Photo: Tova Rudin-Lundell © 8. Berlin Biennale für zeitgenössische Kunst

Come definiresti la tua “firma curatoriale”, o quale è un tuo interesse ricorrente nei  progetti curatoriali? Qual è stata la tua più grande sfida, finora, come curatore?
«Si potrebbe dire che la mia “firma curatoriale” sia l’approccio discorsivo intrapreso verso il lavoro degli artisti. Sulla base del quadro delineato precedentemente, mi sono impegnato con gli artisti in un discorso intellettuale, e ognuno di loro ha risposto offrendo modi che sfidano e continuamente definiscono questo ultimo. Quindi, con questo approccio corale, preparare la mostra non è stato particolarmente impegnativo, anzi ha offerto un continuo processo di scambio intellettuale e di arricchimento del discorso stesso del concetto».
Tacita Dean 10 to the 21, 2014 Installationsansicht / Installation view Courtesy Tacita Dean; Frith Street Gallery, London; Marian Goodman Gallery, New York/Paris Foto / Photo: Anders Sune Berg

Guardi verso un rinnovato approccio critico della distribuzione globale contemporanea del lavoro dal punto di vista delle arti e dei mestieri. Parlamene. 
«Ti  riferisci alla mostra “Material information” che ho curato l’anno scorso a Bergen. Ero interessato a come le arti e le fiere di mestiere siano nel 21esimo secolo diverse o simili a quelle di  un centinaio di anni precedenti, la cui  popolarità era consolidata nel movimento Arts and Crafts all’indomani della rivoluzione industriale. Nel periodo di William Morris, gli operai erano essenziali per la vita quotidiana della città moderna. Oggi, tuttavia, le condizioni di lavoro e parte dei lavoratori sono per lo più invisibili in Occidente. In altre parole, l’immagini delle arti e dei mestieri attuale è priva di documentazione, trovare quale sia l’immagine del lavoro era una sfida affascinante. Con “Material Information” ero molto interessato a impegnarmi con i concetti storici delle arti e dei mestieri, mettendo in discussione l’idea originaria dell’artigianato che non sia cambiato molto dalla Rivoluzione industriale, costatando, come il lavoro industriale e le condizioni dell’ immagine stessa del lavoro sia notevolmente cambiata, soprattutto in peggio». 
Mario García Torres Installationsansicht / Installation view Courtesy Mario García Torres; Proyectos Monclova, Mexico City; Jan Mot, Brussels; neugerriemschneider, Berlin Foto / Photo: Anders Sune Berg

Come hai scelto il tuo team di lavoro? 
«Il team di consulenza artistica è composto da: Tarek Atoui, Natasha Ginwala, Catalina Lozano, Mariana Munguìa, Olaf Nivolai e Danh Vo. Era per me basilare avere degli artisti nel comitato degli advisory, perché reputo sia simbiotico il rapporto tra curatore ed artista; in quanto entrambi dovrebbero imparare, scoprire e crescere attraverso continui dialoghi.  Quindi, in questo senso, era importante avessi una stimolante conversazione continua, con tutti loro, durante lo sviluppo della Biennale». 
Andreas Angelidakis: Study for Crash Pad, 2013 Courtesy: Andreas Angelidakis and The Breeder, Athens/Monaco

Dove si sta dirigendo il sistema dell’ arte contemporanea? 
«Dopo la Biennale di Berlino, il sistema internazionale dell’ arte contemporanea si dirigerà a Basel, per Art Basel». 

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