11 aprile 2016

Media Art O New Media Art?

 
Valentino Catricalà, direttore artistico BNL Media Art Festival, racconta come sarà il focus sul mondo digitale che si apre tra due giorni a Roma

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Il 13 aprile al MAXXI di Roma inaugura il BNL Media Art Festival, l’iniziativa promossa dalla Fondazione Mondo Digitale in co-produzione con BNL Gruppo BNP Paribas per esplorare nuove frontiere della cultura e dell’arte. Fino al 17 aprile, la presentazione di installazioni e performance di più di cinquanta artisti nazionali e internazionali, lecture, convegni, masterclass e laboratori per i più giovani, si estenderanno dal MAXXI a varie sedi prestigiose della città, nell’idea di un “festival diffuso”: Palestra dell’Innovazione, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), Rome University of Fine Arts (Rufa), Quasar Design University, Goethe Institut, Accademia di Spagna e Ambasciata del Cile. Nel ricco programma di eventi intervengono figure di rilevanza mondiale, come Gerfried Stocker, managing director Ars Electronica Linz, Siegfried Zielinski, Founding Rector Academy of Arts & Media Cologne e Rector University of Arts & Design Karlsruhe, Antoni Muntadas, media artist e professore di Arte visiva allo Iuav di Venezia. Obiettivo del Festival, tra gli altri: “costruire un ponte tra scuole, musei, centri culturali, università e aziende per avvicinare le giovani generazioni all’arte e a un nuovo modo di concepire e usare la tecnologia”.
Abbiamo intervistato Valentino Catricalà, direttore artistico, che ci racconta di come è nato il Festival lo scorso anno con Fondazione Mondo Digitale, di come si è evoluto nell’attuale BNL Media Art Festival, e quali basi si intendono costruire attraverso questo evento nella proiezione di progetti futuri. 
Alessandro Cherico
Come è nata l’idea del Festival di Media Art che quest’anno è alla sua seconda edizione e come si fonde con la missione di Fondazione Mondo Digitale?
«L’idea è nata durante i miei studi dottorali, perché sempre di più mi interessava il rapporto tra arte e tecnologia. Mi resi conto che se volevo continuare a occuparmi di questi temi avrei dovuto passare la maggior parte del mio tempo all’estero, cosa che feci, perché in Italia mancavano punti di riferimento. L’incontro con la Fondazione Mondo Digitale mi ha permesso di dare forma al progetto che è diventato molto più ampio e prosegue anche al di là del Festival. Grazie alle tecnologie avanzate presenti nella Palestra dell’Innovazione, stiamo attivando progetti con diversi artisti e siamo riusciti a costruire partnership importanti. La figura chiave di questo lavoro, che è anche di ricerca, è quella del direttore scientifico Alfonso Molina. Dall’edizione pilota dello scorso anno il progetto del format si è consolidato e ampliato. Dietro al BNL Media Art Festival c’è un network forte di sostenitori e otto location di rilevanza internazionale. Coinvolge realtà istituzionali importanti e diversificate, a partire dal patrocinio del MiBACT. Crescono in modo esponenziale gli artisti che provengono da oltre venti paesi del mondo e abbiamo i contributi di figure di altissimo prestigio come l’artista Antoni Muntadas e il teorico Siegfried Zielinski». 
Mi sembra un progetto che scaturisce da una ricerca ben precisa. Ci può raccontare come è nata e quale direzione sta prendendo? 
«L’obiettivo è quello di creare un punto di riferimento stabile, di portare in Italia le eccellenze estere e di portare all’estero le eccellenze italiane. Troppo spesso, all’estero, mi sono sentito dire: “In Italia avete molti registi e artisti importanti ma quali nomi per le Media Art?” Le eccellenze ci sono e vanno valorizzate, questo è il nostro obiettivo. E l’unico modo è quello di promuovere una ricerca continua sugli artisti, sui teorici e gli esperti del settore. Siamo molto orgogliosi di portare in Italia una figura importantissima come Zielinski, direttori artistici come Stocker o Krajewski, e artisti del calibro di Muntadas. Un tentativo di networking che supera i confini italiani. Per fare questo avevamo bisogno di prestigiose location culturali come il MAXXI, il Goethe Institut Rom, l’Accademia di Spagna, location istituzionali come il MiBACT, l’Ambasciata del Cile, la Fondazione Mondo Digitale, e location che coinvolgano i giovani come la RUFA e il Quasar. Strategico è stato proprio il networking sul territorio che abbiamo sviluppato per rendere il più internazionale possibile il festival».
Simone Pappalardo, Edizione 2015
Di media art (e new media art) se ne discute ormai da moltissimo tempo; la letteratura ha ormai consolidato la sua radice avanguardistica nelle sperimentazioni almeno delle prime avanguardie del Novecento. Nonostante ciò il termine “Media Art” è stato, ed è ancora, al centro di numerosi dibattiti scaturiti, tra le altre cose, dalla predominanza del mezzo (media) che il termine sembra assegnare rispetto al suo contenuto. Possiamo oggi ancora utilizzare il termine di Media Art rispetto alle produzioni contemporanee? Se sì, entro quali limiti e con quali premesse?
«Come ho scritto in un libro sulla storia e il presente delle Media Art, di prossima pubblicazione per Mimesis Editore, il concetto è molto problematico. Sia a livello linguistico – per gli anglosassoni tutta l’arte è Media Art, per questo loro preferiscono la specifica “New Media Art” – sia a livello concettuale. Possiamo ancora parlare di medium oggi? E quali opere coinvolge questo termine ombrello visto che molte opere d’arte contemporanea e del cinema oggi si avvicinano e sfumano verso le Media Art? Per quanto riguarda il Festival abbiamo preferito un nome che riuscisse a essere comunicativo ancorandosi anche ai circuiti internazionali. Se negli anni Novanta il rapporto arte-tecnologia diveniva sempre più intenso, facendo emergere la necessità di trovare un termine ombrello più ampio e puntando, così, su “New Media Art”, oggi ci sembra che proprio il lavoro degli artisti con le tecnologie abbia messo in crisi questa idea di “new”. In questo modo rompendo anche l’idea deterministica di sviluppo tecnologico. Per questo abbiamo scelto di eliminare il “new”, di non usare termini troppo basati sulla tecnologia come “digital art”, e di lasciare un termine più generico e ampio come “media art”, ma ancora utile a denotare questo insieme complesso». 
Aye Aye, Edizione 2015
L’applicazione della tecnologia alle scuole è una missione di Fondazione Mondo Digitale. Dallo scorso anno avete coinvolto una serie di artisti per entrare in dialogo con le scuole estese sul territorio nazionale. Ci può raccontare come è orchestrata questa parte del programma e come prosegue prima e dopo il Festival? Come si relazionano gli artisti con gli studenti? 
«La dimensione educational del Festival è una delle più stimolanti e ne rappresenta il vero valore aggiunto. La Fondazione Mondo Digitale ha una rete di scuole ampissima, costruita in anni di attività e di lavoro sul territorio. In questa edizione abbiamo più che triplicato i progetti con le scuole: 13 artisti in 12 scuole di Roma, Milano e Napoli hanno incontrato gli studenti che, annullando l’idea di lezione frontale, come in una bottega del Quattrocento, hanno lavorato in team con l’artista, creando in gruppo e costringendo l’artista “a scendere dal piedistallo” e ad apprendere con loro. È stato molto bello vedere i ragazzi impegnati in questo progetto, io stesso ho imparato molto. In più, gli studenti hanno la possibilità di essere esposti al MAXXI, di essere valutati da una giuria e di vincere un premio! Se fossi studente sarei stato veramente felice di scoprire l’arte in questo modo». 
Lo scorso anno il Festival era di dimensioni molto piccole. Tuttavia l’evento ha consolidato nel tempo il suo interesse scientifico con una pubblicazione uscita per Gli Ori Editore che ha allargato lo sguardo alla produzione dell’arte nell’era tecnologica con interventi nazionali e internazionali (Media Art. Towards a New Definition of Art in the Age of Technology). Prevedete un’operazione simile anche quest’anno?
«Quest’anno l’evento è veramente grande. Abbiamo una esposizione in due sale del MAXXI, più otto location per un programma densissimo dalla mattina alla sera. Abbiamo come partner ambasciate, accademie, università, più di 60 artisti, ospiti, scuole che lavorano da gennaio… Abbiamo pensato di concentrarci di più su tutto questo piuttosto che sulla pubblicazione, sulla quale avevamo già puntato l’anno scorso. Il prossimo anno però ci piacerebbe riprendere il percorso intrapreso con una nuova pubblicazione».

Elena Giulia Rossi

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