30 aprile 2012

Berlino, la Biennale delle polemiche. Uno zoo dell’arte?

 
La settima edizione curata da Artur Zmijewskj suscita reazioni controverse. Di disagio e addirittura di rabbia. Troppi artisti polacchi e troppi Indignados esibiti come animali da circo. Sedi difficili da raggiungere, soldi spesi per soddisfare l’ego del curatore e una politicizzazione che odora di vecchio. “Una Biennale dei perdenti”, mentre le gallerie sfornano il meglio delle loro proposte. Ma per giudicarla definitivamente ci vorrà del tempo [di Paola Tognon]

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Aperta nell’ultimo week end di aprile “Forget Fear” è il titolo della settima biennale di Berlino. Un titolo, così come il suo logo – scritta nera su fondo rosso – di grande effetto e impatto. Ma qui la paura non l’ha dimenticata nessuno, anzi. Nonostante la sollecitazione a dimenticarsela, sembra rafforzarsi come un sentimento quotidiano, comune e contagioso. E questo paradosso veste un po’ tutta la Biennale di Artur Zmijewskj che sta suscitando molte opinioni e polemiche accanto ad un vero e proprio processo di messa al bando.
Nel concreto, la reazione più comune in questi primi giorni è una sorta di disagio che di sede in sede si trasforma in negazione e spesso anche in rabbia: negazione del progetto, negazione dei lavori e soprattutto negazione di una biennale d’arte che non è più d’arte. E poi attacca la leggenda dei 3 milioni di euro spesi per l’ego di Zmijewskj, non per costruire un vero progetto d’arte in tempi di crisi. E poi si parla della presenza dei troppi artisti polacchi che il direttore ha voluto chiamare, e degli Indignados che sembrano degli animali esibiti nello zoo dell’arte.
C’è chi, più pacatamente, descrive questa biennale come la biennale dei perdenti: la messa in mostra di fenomeni e movimenti legati al passato, incapaci oggi come ieri di offrire valide alternative. Chi invece, nel fluido ma acceso contrasto di opinioni, dichiara questa biennale come operazione di totale strumentalizzazione della politica trasformata in un bestiario esibito. C’è infine chi, con tono pragmatico, si limita a dire che gli effetti collaterali di questa mostra sono e saranno limitati, perché le sedi sono poche e difficili da trovare, perché le opere sono poco distinguibili nel loro contesto piuttosto disordinato e soprattutto perché il parallelo e partecipato week end delle gallerie e le importanti mostre nelle istituzioni della città permettono a collezionisti, critici, curatori e ogni altra categoria di visitatori di vedere tanta… arte.

Dunque qualcosa qui a Berlino sta davvero succedendo. Perché tante critiche, tante insofferenze ed esclusioni, tante affermazioni turbate o disturbate, indicano che questa settima biennale rappresenta qualcosa di diverso. 
Diversa è la direzione presa in carico da un artista che si prefigura, come tale, di curare una biennale europea senza lasciarsi incantare dalle sirene della curatela, come nell’edizione super professionale Cattelan/Gioni/Subotnick del 2006. Diverso è l’utilizzo del budget (non i 3 milioni sulle bocche di molti, ma i 2 milioni e 400mila euro del budget previsto per le ultime due edizioni) spesi per appoggiare i progetti, a valenza sociale e politica, invitati a partecipare ed esporre alla Biennale, per rendere gratuita la visita a tutte le sedi della mostra e per stampare un libro di testi ed interviste che sostituisce il classico catalogo illustrato.
E diversa è la presenza di artisti nella biennale: con un sentimento di liberazione si capisce subito la possibilità di visitare le varie sedi senza l’ansia di perdersi il nome dell’artista star o di super tendenza che non si è riconosciuto. Si vedono lavori, progetti, riviste, fotografie e poi anche sculture, video e installazioni, ma ciò che appare subito pregnante e necessario non è la ricerca dell’autorialità del lavoro (che ne spiega l’eventuale significato), ma la comprensione del suo contenuto: il racconto espresso, il messaggio lanciato, l’argomento sviluppato.

Diversa è la partecipazione dei pochi “artisti professionisti” chiamati a esporre che interagiscono con il pubblico e propongono con continuità un coinvolgimento diretto nella manifestazione come nel caso di Pawel Althamer che per 8 ore al giorno dipinge, accanto a tutti coloro che ne abbiano voglia, nella grande sede di St. Elisabeth Kirche. 

Diverso soprattutto è il contenuto, prima ancora del dispositivo di questa settima Biennale, che propone e mette in luce un’arte come soggetto e oggetto di un’azione politica capace di incidere nella società. Non più e non solo un’arte capace di sensibilizzare e interpretare la realtà.
La breve biografia di Artur Zmijewsky nel libro della Biennale sembra sottolineare ancor più questa direzione: «Zmijewsky considera se stesso come un lavoratore culturale non definito che opera tra arte, scienza politica e religione. Desidera introdurre una definizione di politica diversa da quella dominate, basata sull’idea di uno spazio comune nel quale tutti i soggetti abbiano uguali diritti di parlare e dibattere nonostante motivati da differenze fondamentali».

Credo che questa settima biennale fra qualche anno verrà capita e studiata quali che siano i suoi esiti e risultati per la radicalità della sua impostazione, l’apertura verso obiettivi altri, per l’evidente trasparenza dei messaggi e per la distanza dal mercato.
Ma ci vorranno degli anni. Al momento la sensazione è quella di un’utopia leggera, liquida. Quasi melanconica.
 

2 Commenti

  1. Mi unisco alla critica negativa e invito al blog whitehouse per una critica piu’ argomentata. La biennale e’ sintomo dei problemi che vorrebbe risolvere. Lo spazio dell’arte va invece protetto dal “gioco sbagliato” del mondo esterno e della politica. E invece questa biennale cerca di usare strumenti e bisogni del mondo sbagliato che vorrebbe risolvere. Diventa quasi funzionale ai problemi che vuole risolvere mettendo la coscienza a posto senza risolvere nulla. Poi non si capisce quale sia la proposta alternativa degli indignatos…forse partecipare semplicemente al palcoscenico che criticano…

    Mi ricorda una sezione della biennale di Bonami 2003…l’arte non può cambiare il mondo può solo aumentare il grado di consapevolezza..e cambiarlo indirettamente…

    LR
    http://www.kremlino.blogspot.com

  2. lo stile e il sentimento berlinese dimostrano con questa biennale di essere al collasso e di non avere ormai più nulla da proporre.

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