21 maggio 2000

Discorso quasi apologetico sul Ministro Melandri (Perché non è il tempo del giudizio)

 
G. Melandri, che di recente è stata riconfermata nell’incarico di Ministro per i Beni e le Attività Culturali nel nuovo Governo, continua a riscuotere, con il suo lavoro, diffusi consensi. Nella sua riconferma si manifesta la fiducia della maggioranza nei risultati concreti ottenuti e nei progetti messi in campo ma non è da sottovalutare anche la decisione con cui il Ministro stesso ha espresso il desiderio di continuare nel suo cammino, dimostrando di confidare molto di essere sulla strada giusta. Ho letto diverse cose su quanto sta facendo il nostro Ministro e credo di poter dire che, alla somma dei conti, ne esce una strategia pagata dall’approvazione complessiva di molti dei soggetti impegnati nel mondo dell’arte. Di lei si dice che, partendo dalle basi gettate da Veltroni, è riuscita a concretizzarne i programmi di massima e a stabilire nuovi e significativi piani di lavoro. Che si può dire, d’altro canto, di un Ministro che è riuscito a mettere mano alla riorganizzazione del Ministero (trasformato in un Dicastero),
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di Alfredo Sigolo

di

… a promuovere la revisione della vecchia legge 1089 (con l’ampliamento del concetto di Bene Culturale e l’introduzione dei concetti di “valorizzazione” e “promozione” che vanno ad associarsi a quelli di “tutela” e “conservazione”), a lanciare progetti significativi come i Nuovi Uffizi, la Grande Brera o a patrocinare la innovativa gestione del sito pompeiano (per citare i più eclatanti)? E poi ancora l’avvio della discussione col Ministro della pubblica istruzione per inaugurare una collaborazione fattiva che favorisca l’educazione scolare alla conoscenza del patrimonio culturale e incentivi la creazione di nuove professionalità?
Tali colloqui hanno già dato alcuni risultati indiretti, con il successo di iniziative come “Bambini al Museo”, gli sconti per i giovani visitatori dei musei pubblici fino a 25 anni e l’introduzione di collaboratori nei musei pubblici con contratti part-time per studenti o neo-laureati che consentono di prolungare gli orari di apertura. Si pensi che la Melandri è riuscita a strappare consensi perfino dalla categoria degli antiquari: snellendo, parzialmente, le pratiche burocratiche per i trasferimenti e le transazioni delle opere d’arte, si è avviato un processo di allineamento agli standard internazionali che sembra aver placato l’annoso rancore covato dalla categoria nei confronti delle istituzioni pubbliche. I progetti futuri del Ministro, d’altro canto, sono ancora ambiziosi, con l’impegno per la promozione dell’arte delle nuove generazioni e la tutela dell’architettura contemporanea, il rilancio di grandi manifestazioni come la triennale di Milano e la Quadriennale romana, e soprattutto quella volontà di concretizzare maggiormente le autonomie regionali e provinciali, che si realizzino su basi organizzative e strutturali indipendenti, ma nello stesso tempo, inclini a sviluppare progetti comuni, condotti in reciproca collaborazione (il Ministro stesso ha parlato di lavoro in “rete”).
Ci sarebbe molto da dire sulla promozione delle collaborazioni tra gli enti pubblici, quelli privati e le fondazioni (società miste), sulla cessione a privati dei BB.CC. degli enti pubblici, sulla programmazione delle Soprintendenze, sulla struttura stessa del nuovo Dicastero, ecc. e tuttavia ognuno ha la possibilità di documentarsi su tali aspetti. Ciò che preme sottolineare è che, nel suo complesso, il lavoro di G. Melandri sembra svolgersi in un clima di moderato ottimismo generale; ciò si deve senza dubbio a due fattori che sono un po’ l’humus del terreno su cui si muove il Ministero: da un lato la sempre crescente consapevolezza, nei cittadini che sono i fruitori principali del patrimonio del nostro paese, che l’arte è una risorsa, anche economica, per l’Italia, e dall’altro, ma connesso al primo, che, dato lo stato di arretratezza nella tutela dei BB.CC. in cui versava (e versa, intendiamoci) l’Italia, questo impegno entusiastico (e perché non definirlo anche così?) dimostrato dalla Melandri non può che essere visto con favore, perché si ha la sensazione di aver rimesso in moto una macchina che sembrava ormai destinata a vivere solo di sterili polemiche o disarmanti trascuratezze.
Detto ciò, vorrei fare cenno a due aspetti che, pur essendo oggetto di dibattito, segnano un po’ il passo nei programmi del Ministero. Innanzitutto la complessa questione della catalogazione del patrimonio artistico italiano. La Melandri ha già avuto occasione di manifestare la proprie difficoltà a sciogliere la matassa relativa a questo problema perché l’opera di censimento del patrimonio, avviata da anni, era stata strutturata in maniera troppo complessa per garantire risultati soddisfacenti in tempi brevi; di fatto, nonostante i propositi per rimeditare e convertire quel progetto in un sistema più duttile e celere (limitando ai dati essenziali quelli richiesti per la schedatura degli oggetti e restringendo il campo dei beni sottoposti a tutela) non si è ancora pervenuti a risultati concreti e la realizzazione di un censimento completo è di là da venire. Dev’essere chiaro invece che non è possibile mai prescindere da tale strumento perché solo da lì si possono avviare una reale politica globale di tutela e conservazione, unita ad un ordinato controllo sui movimenti delle opere e ad una forte prevenzione contro le illecite transazioni all’estero e i furti. In questo contesto mi sembra più che mai urgente un dialogo ed un accordo con la Chiesa che, di quel famoso 60% del patrimonio artistico mondiale attribuito all’Italia dalla nota relazione dell’Unesco, conserva una percentuale considerevole, non avendo fondi, capacità operative e personale, adeguati per una moderna politica di tutela, specie in riferimento ai beni conservati nei centri periferici che sono, notoriamente, i luoghi maggiormente esposti a furti e sparizioni (e qui viene spontaneo un riconoscimento alle forze dell’ordine, il Generale Conforti e il suo nucleo operativo in prima linea, che combattono una guerra quotidiana che richiederebbe quanto meno un impiego di uomini superiore). Come si è riuscito, di recente, a giungere a degli accordi per quanto concerne la tutela e il censimento degli archivi della Chiesa, si auspica perciò anche un eguale dialogo sui beni artistici, problema quanto mai delicato (in un oggetto sacro, infatti, al valore storico-artistico si unisce un valore devozionale dal quale non è possibile prescindere).
Altra questione è quella relativa all’istruzione, con particolare riferimento allo spinoso problema della preparazione universitaria connesso all’aggiornamento delle programmazioni didattiche che, notoriamente, trascurano almeno i due aspetti della preparazione pratica e dell’avviamento al mondo del lavoro. Ci auguriamo che il dialogo in corso, tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e quello dell’Istruzione, sia foriero di esiti positivi e solleciti in questo campo. Zeri ne sarebbe felice.

Alfredo Sigolo

[exibart]

1 commento

  1. Se esiste un dicastero che tutela i beni culturali perche non farene un altro che tuteli quel bene culturale che è la nostra MINISTRA che è la donna più bella della politica italiana?

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