06 luglio 2012

Gallerie e lavori in corso

 
Da nord a sud, dove vanno, quando non chiudono, gli spazi italiani? Alcuni cambiano, altri ampliano, addirittura qualcun altro apre. Roba da pazzi in tempi di crisi? Forse si. Perché per molti, proprio ora, è il momento di rilanciare. Così diverse gallerie italiane stanno ridisegnando il loro approccio all'arte. Che dev'essere più partecipata. L'abito, lo spazio in questo caso, fa anche il monaco. E prova a dare uno schiaffo alla crisi [di Matteo Bergamini]

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Crisi, da Krìnein, giudicare. Probabilmente è quanto mai azzardato cercare di esprimere un giudizio in un’epoca di crisi, si rischia di non risultare imparziali. Eppure è necessario leggere alcune sintomatologie comuni della transizione anche nel sistema delle gallerie italiane. Che mai come in questi ultimi mesi hanno attuato un cambiamento, mettendo in discussione il proprio operato e la propria identità a partire da un aspetto molto “fisico”: lo spazio espositivo. Al di là delle svariate gallerie che chiudono, c’è chi ha cambiato città, chi ha allargato gli ambienti e si è trasferito in altre location, chi gioca su più fronti. Tutto a dispetto della crisi. Lo dicono chiaro e tondo i galleristi italiani che hanno accettato di raccontarsi e di raccontare i loro progetti di “espansione”. Perché è vero che i tempi sono difficili, ma è altresì vero che la crisi può essere anche apertura, cambiamento, rivoluzione. Anche minima e anche dal basso. E per l’arte di tutti i sistemi, compreso il “sistema Italia”, che a tratti pare decollare e molto più spesso sembra una specie di invertebrato in balia delle correnti, è un momento di vivo fermento.
Nessuno spazio alla tragedia, piuttosto un atteggiamento di cauto ottimismo, consapevole delle difficoltà, ma puntato sull’ottimizzazione dell’arte, che in alcuni casi sembra rientrare in una dimensione più intima, lontanissima dalla “merce” e dal magazzino, realmente più vicina alla cultura, al suo potere di unione collettiva. E proprio da questo punto potremmo partire, con l’esperienza di Roberta Buldini, della Galleria Emmeotto di Roma, che dopo un anno di gestazione intorno all’idea di un trasferimento, ha recentemente lasciato l’ambiente di via Margutta 8 per Palazzo Taverna, ampliando i suoi spazi in tre sale espositive, oltre ad un’ampia cucina e una camera. E che è stata votata come la migliore nuova proposta delle ri-nate gallerie nel sondaggio di Exibart, superando il 50 per cento di preferenze.

«Abbiamo cambiato sede per concepire un nuovo discorso nella fruizione dell’arte, per un suo miglioramento. La dimensione del negozio non ha più senso, soprattutto in una zona di Roma che un tempo era un fascinoso dedalo di botteghe di artigiani e antiquari, ma dove ora hanno preso posto solo store di abbigliamento». Un trasloco dunque che permetterà di prestare all’arte un’attenzione più calma, e la nuova location nel magnifico Palazzo Taverna, al piano rialzato sul cortile, è anche il luogo che permetterà di incontrare addetti ai lavori che potranno rendersi portavoce e creare un dialogo partecipato, in una dimensione dell’arte lontana dalla frenesia.
Da settembre, inoltre, si aprirà anche un progetto speciale di residenze con la “Guest Artist Room”: «All’interno della galleria verrà creata una stanza dove un artista straniero sarà invitato a passare un soggiorno di una settimana. Ovviamente anche questa dimensione avrà un elemento famigliare dato da una cucina che potrà essere utilizzata per qualsiasi necessità conviviale» racconta Buldini, per rimarcare l’approccio della nuova Emmeotto. In più una futura programmazione data anche da serate e performance a tema, per combattere la crisi con qualcosa che possa, nei limiti del possibile, rompere gli schemi con l’istituzionalità rigida della galleria.

In tema di nuove aperture a Roma negli scorsi giorni ha visto la luce anche lo spazio Rossmut, che si pone su un piano “poliglotta” rispetto ai linguaggi dell’arte, e che ha trovato casa a Trastevere, in via dei Vascellari. Nato dall’idea e dalle esperienze di Gilda Lavia e Loretta Di Tuccio, provenienti dal mondo cinematografico e televisivo, Rossmut si pone come una location dove l’arte non sarà disgiunta dalla moda, dal design e dalla creatività in genere, ma sottolineerà i percorsi culturali contemporanei a 360 gradi, sotto un aspetto di “unicità creativa”. E il pezzo unico sarà la filosofia centrale del nuovo concept store romano.
Ha cambiato spazio anche Giacomo Guidi, dopo che a febbraio scorso z2o di Sara Zanin aveva traslocato in uno spazio più grande a via della Vetrina, ex sede di VM21, che invece ha chiuso. Guidi ha inaugurato una mega galleria a piazza Sforza Cesarini, con una personale di Alfredo Pirri. «Quando si determina una crisi come questa, tutto il tessuto economico-sociale si irrigidisce determinando solo due possibilità: mollare tutto ed aspettare o provare ad aumentare gettata e peso in momenti in cui altri arretrano» dichiara il gallerista, che in sei anni, da quando ha aperto la galleria nella capitale, ha cambiato tre spazi: «non per noia, ma perché il lavoro cambia, si amplia e quindi anche il contenitore deve essere sempre più adeguato alla tua proposta». Un pensiero vola anche ai prezzi (anche degli affitti), non più folli come qualche tempo fa, e al mercato: «la crisi è un momento rilevatore in cui ciò che è troppo artificioso crolla inesorabilmente, mentre la qualità vera trova spazio e prende metri», conclude Guidi.

Sulla stessa scia Guido Cabib, che da Napoli la settimana scorsa ha aperto un nuovo spazio a Milano. Si chiama “The Format” e ha la sua base in via Pestalozzi, piena zona del Naviglio Grande, vicino a NABA e ad altri spazi come Radio. Lontano da via Ventura o Porta Venezia, dalle zone “in” dell’arte meneghina. Senza motivi troppo precisi, ma perché non è di certo male trovare uno spazio bellissimo ad un affitto umano in una delle zone più caratteristiche di Milano. Per un nuovo assetto strategico nella fruizione dell’arte, come raccontato dallo stesso Cabib, ex patron della Changing Role: «C’è bisogno di ricostruire un approccio culturale “polisemico” delle arti. Le gallerie devono essere luoghi di scambio anche tra discipline differenti, e soprattutto anche tra gli addetti ai lavori e il pubblico». La programmazione è cominciata con Seba Kurtis, giovane argentino con il quale il gallerista ha già collaborato in occasione dell’ultima edizione di Fotografia Europea, dove ha allestito la mostra Thicker Than Water alla Galleria Parmeggiani.
Ma c’è dell’altro nel progetto di The Format. Si tratta della ricostruzione di un rapporto diretto tra artista e collezionista, che avverrà alla luce del sole, anzi, della notte: il loft di via Pestalozzi 10 è infatti corredato da una “The Format Collector’s Suite”, dove un collezionista, un artista o un critico sono via via invitati a passare una notte in galleria. Per poter anche in questo caso riappropriasi dell’arte, di un pensiero. Per avere la possibilità di interagire da vicino una dimensione intima dell’opera che, nel caso dei collezionisti, possa aiutare a riscrivere un dialogo con i vari creativi in scena in galleria, dei quali si potrà supportare i progetti a partire dalle fasi iniziali.

Antonella Spano e Michele Spinelli hanno invece inaugurato a Bari Doppelgaenger, nei primi giorni dello scorso giugno. Spano proviene da una lunga esperienza alla Galleria Bonomo, Spinelli da anni di collezionismo contemporaneo. Scopo principale, anche in questo caso, un ampliamento di orizzonte, soprattutto in relazione alla città. «Doppelgaenger – spiega Vittorio Parisi, giovane critico interno alla galleria – è stata concepita sin da subito come una galleria-residenza. L’idea è di poter, poco alla volta, ospitare gli artisti per consentire un dialogo più lungo e ponderato con la dimensione urbana di Bari, che coinvolge in un solo tempo elementi di storia e tradizione, uno spaccato sociologico di sicuro interesse e un fortissimo legame con il mare. Xenìa -questo il nome del progetto di residenza- è reso possibile dallo spazio su cui nasce Doppelgaenger, che è effettivamente molto grande. In questo senso l’allargamento non è quello di una galleria già esistente, ma di un’intera città che avverte sempre più la necessità di conoscere l’arte contemporanea, e da essa lasciarsi indagare». E molto consapevolmente, anche in relazione a un mercato che non è possibile tenere imbrigliato in redini precise, si potrebbe riprendere anche per Doppelgaenger il finale tracciato da Giacomo Guidi: «Alla crisi contiamo di rispondere, a modo nostro, proponendo al pubblico e agli acquirenti, siano essi privati cittadini, fondazioni o istituzioni pubbliche e private, un percorso di qualità, costruito sulla passione, sulla serietà e sulla conoscenza» spiega ancora Parisi.

Tornando a Milano ci sono ancora diverse novità sul panorama cittadino: la prima viene da Raffaella Cortese, che di nuovo in via Stradella ha aperto un secondo spazio, inaugurato in occasione della personale di Zoe Leonard. Ed è la stessa gallerista a raccontare che anche in questo caso il passo è stato dato dalla necessità di una sperimentazione costante e agguerrita, nonostante ormai Raffaella Cortese possa considerarsi una galleria “storica”, aggettivo che però lei tende a minimizzare: «Il passato è solo un trampolino di lancio, perché questo lavoro è così vitale, e nonostante gli anni, sempre “precario”. Una parte di me si sente sempre alle prime armi, sebbene con gli affermati artisti della galleria il passato sia solido, come fortunatamente lo è anche il presente, poiché continuo a lavorare con loro a nuovi progetti. Il compito di una galleria è culturale e sociale e, in Italia, anche educativo». Sotto la Madonnina anche il nuovo spazio Upside Down, due stanze seminterrate e visibili su appuntamento in via Eustachi, che come primo progetto, in collaborazione con la galleria Bianconi, hanno presentato una collettiva per lasciare una traccia dei primi due step di Click or Clash? Strategie di collaborazione, il progetto a lungo termine ideato da Julia Draganovic in collaborazione con LaRete Art projects.

La storia di Francesco Pantaleone, gallerista palermitano, differisce un po’ da tutte le precedenti, per lo meno in un punto: da un lato c’è il cambiamento dello spazio espositivo attuale, che si trasferirà al primo piano di Palazzo Di Napoli, ai Quattro Canti di Palermo, iniziando l’attività espositiva a settembre con una collettiva curata da Laura Barreca e dallo stesso Pantaleone, riassunto dei primi sette anni di attività di galleria, mentre l’altra novità è “BAD NEW BUSINESS” la “galleria” milanese, «una sorta di Pantaleone OFF» come dichiara lui stesso, che per quattro anni seguirà la programmazione di questo spazio in piena zona Brera, in via Formentini, ancora oggi sede di un ufficio stampa di prodotti medicali. La seconda inaugurazione è stata mercoledì sera, 4 luglio, con un progetto di Stefania Galegati Shines intitolato Milano Marittima. Pantaleone racconta così BAD: «Un spazio raccolto che non è una vera e propria galleria, da gestire con flessibilità e leggerezza, nel quale porterò gli artisti che già rappresento». Una decisione tutto sommato molto calibrata, che ha richiesto un po’ di tempo di sedimentazione, ma che ha trovato terreno fertile sotto la Madonnina anche grazie al parterre di artisti con cui lavora la galleria palermitana che ad oggi è l’unica in Italia a rappresentare il lavoro di Liliana Moro, artista milanese per eccellenza. Ancora a Milano, lo scorso martedì, 3 luglio, ha aperto Filo Art Bar, una dimensione simile al Rossmut romano, una piattaforma di scambio e un luogo d’incontro tra cultura, design, cibo e la condivisione di uno spazio, anche di lavoro, nella zona pedonale del Naviglio Grande.
E oltre a due sale interne, un giardino privato e la possibilità di essere sfruttato a seconda delle proprie esigenze, la mission di “Filo” è anche quella di promuovere l’arte abbattendo gli schemi e gli stereotipi da galleria, presentando pittura, scultura, fotografia, design, moda, accompagnati da dj-set e atmosfere chill-out.

Più a sud, Gaia Pasi racconta il trasferimento della sua ZAK da Siena a Monteriggioni. Alla domanda se la galleria ne abbia risentito, la direttrice smentisce fermamente: «A Siena mantenere la galleria costava cinque volte tanto rispetto a Monteriggioni, borgo medioevale meravigliosamente conservato, dove ZAK ha trovato spazio all’interno del Castello grazie a un gruppo di collezionisti, o forse sarebbe più giusto usare la parola mecenati, che hanno appoggiato l’operazione».
Monteriggioni, in effetti, gode di un turismo di ottima qualità e se sono riusciti gli ex ragazzi della Continua a portare collezionisti e pubblico dell’arte nell’impervia e molto turistica San Gimignano, forse il miracolo si può replicare. Intanto, il pubblico che mancava in galleria a Siena qui invece c’è e, racconta Pasi, «si riscontra anche un po’ di attenzione da parte delle istituzioni, Comune in primis, che sovvenziona anche – con cifre piccolissime, s’intende – l’Associazione Culturale Mura Vive per l’Arte». Come sappiamo bene invece le istituzioni a Siena hanno dato, e continuano a dare, segnali di parecchia insofferenza nei confronti del contemporaneo, con la chiusura del Palazzo delle Papesse, trasformando il tutto nel complesso SMS e stanziando folli budget per mostre “di cassetta” come la vecchia “Arte, Genio e Follia” di Sgarbi.

Chiudiamo con un progetto che a sua volta si pone lontano dai codificati flussi di fruizione del contemporaneo: stiamo parlando della galleria Zanini di San Benedetto Po, borgo medioevale a sud di Mantova. Un’evoluzione da un’attività antiquaria che, ci racconta Davide Zanini, «nasce indipendentemente dalle attività commerciali, anche come programma di promozione turistica e di marketing territoriale, in una zona geografica che, nonostante sia all’interno della provincia di Mantova, città patrimonio UNESCO, non è ancora equiparato agli altri grandi centri artistici italiani». Uno stimolo forte in una realtà debole, una scommessa tout court che ha iniziato la programmazione col pittore statunitense Edward Ewans e il nostrano Omar Galliani. «Crediamo che l’arte, in un periodo così difficile come quello attuale, possa essere un sicuro investimento su cui puntare» dice Zanini.
“Chi non risica non rosica” e “La fortuna aiuta gli audaci”. Due esausti aforismi che oggi valgono molto più di mille parole spese sul valore di una conservazione che non rasenta altro se non una sorta di miopia d’orizzonte, mentre l’arte sta traslocando da un’altra parte. Lontana dagli uffici di gestione e più vicina alla necessità di raccontare.

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