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Finito e non rinnovato il progetto sperimentale Macro asilo, guidato da un direttore antropologo come Giorgio De Finis, il Museo di arte contemporanea di Roma vedrà presto nominato un nuovo direttore: tra i requisiti del bando non si chiede altro che una laurea, una qualunque, e tra gli ulteriori titoli di merito non viene neanche contemplata la possibilità di un titolo di studio in materie storico/artistiche, figuriamoci pubblicazioni e studi di carattere scientifico, come richiesto espressamente dalla totalità dei bandi, in Italia e all’estero, di questo genere. Purché, si aggiunge, il futuro direttore abbia al suo attivo “10 anni di comprovata esperienza nel settore della curatela di mostre di arte contemporanea e/o organizzazione di attività culturali, di cui 3 anni di comprovata esperienza come direttore o curatore responsabile delle attività culturali di musei, fondazioni e altre istituzioni o organizzazioni nell’ambito della programmazione culturale e artistica di arte contemporanea”!
Il che ovviamente esclude almeno il rischio che possa essere nominato un enologo, un esperto di marketing aziendale, un PR o wedding planner, uno stilista di moda o un presentatore televisivo.

Quel che ha significato la guida di De Finis in questi due anni per il Macro viene riconosciuto e specificato ulteriormente nel bando: aver creato “all’interno dei suoi spazi una dimensione aperta alle proposte di artisti, curatori e ricercatori provenienti dalle diverse discipline”, nonchè promosso “un dialogo con la città, partecipativo, gratuito e accessibile a tutti”. A fronte di medie di 25 spettatori al mese, perché allora cambiare rotta alla nave, che più inclusiva di così si muore?
Comunque questo museo partecipativo, ancora secondo le prescrizioni del bando, dovrà continuare a essere “aperto e plurale, luogo in grado di proporre un’offerta culturale variegata e accessibile nonché forme di ricerca e sperimentazione sia sui linguaggi artistici che sulle modalità di fruizione della cultura nella società contemporanea”.
La stessa apertura e accessibilità auspicata non è stata finora comunicata con lo stesso principio di simmetria: non si sa chi componga la commissione di selezione, né chi siano i partecipanti al bando, né quali progetti presentati, ma tutto verrà svelato a cose fatte. Potere dei bandi pubblici: istituzionalizzare e regolarizzare flessibilità, arbitrio, clientelismo? Oppure difendere privacy e privatezza?
Sia come sia, saranno i fatti a contare.
Quel che colpisce però è soprattutto che la mancanza di formazione in ambito storico artistico non rappresenta una pregiudiziale, anzi viene quasi da pensare che sia un punto di merito.
Ora ovviamente non è che una laurea, una specializzazione, un dottorato, un master universitario, cataloghi generali e ricerche sull’arte contemporanea garantiscano alcunchè (un conto è parlare dietro una cattedra, un altro è gestire un museo), però escluderle a priori può significare solo una cosa: la competenza in materia spaventa, preoccupa, è di impedimento?

Il Macro non può essere solo uno spazio partecipativo, perché non lo è: ha anche una collezione di arte moderna di rilievo, che richiede in questo caso competenze specifiche per essere gestita (storico artistiche, conservative, scientifiche). Inoltre il direttore di un museo di una città come Roma non può non avere al suo attivo relazioni o competenze tali da poter parlare alla pari con altre istituzioni simili. Certo, la specializzazione a oltranza in un campo specifico chiude spesso visioni e impedisce aperture verso altri ambiti di esperienza, ma eliminare del tutto lo specifico formativo è come dire che tutti possono fare il direttore di un museo, basta che abbiano già curato mostre (che tutti oggi possono farlo non essendo richiesta alcuna competenza) o diretto un museo per almeno tre anni (senza ovviamente che anche il quel caso fosse richiesto un titolo di studi specifico).
Così come nel gioco del telefono senza fili, si pronuncia a bassa voce e velocemente una frase all’orecchio di qualcuno (ad esempio “Studia l’arte”), che poi la riporta ad un altro e un altro ancora, sempre in maniera un po’ confusa e distorta, e alla fine magari si arriva alla frase “Mischia le carte”!
Ecco, mi sembra che questo sia il caso del Macro da 15 anni ormai (anche alla luce anche dei cambi repentini di direzione) e per i prossimi quasi certamente!
Sperando e desiderando fortemente di essere smentito dal nuovo direttore…
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Vado poco a Roma, ma qualche mese fa c’ero e mi hanno portato a visitare il Macro. Ormai sono pigro a visitare i musei di arte contemporanea che sempre ahimè confermano lo sbadiglio competente della nostra cultura artistica. Il Macro asilo invece fu come un risveglio alla vita dell’arte.