04 marzo 2010

LA CULTURA DELLA CONVERGENZA

 
di christian caliandro

Negli ultimi anni i prodotti culturali più avanzati, dal cinema alla letteratura, sfruttano l’incontro tra varie piattaforme tecnologiche e mediatiche. Eppure, paradossalmente, più si amplia l’offerta, più diminuisce la capacità di scelta. Per giunta, dilaga l’analfabetismo. Di ritorno...

di

Cultura convergente, un saggio pubblicato nel 2006 da Henry Jenkins [1],
direttore del Comparative Media Studies Program al Mit di Boston, indagava per
esempio come negli ultimi anni i prodotti culturali più avanzati e di successo
sfruttino l’incontro e la sovrapposizione di varie piattaforme tecnologiche e
mediatiche. In prodotti diversissimi tra loro come Harry Potter, Survivor e American Idol, i livelli di produzione,
mediazione e fruizione sono esattamente paritari e complementari.
L’iPhone condensa in un singolo strumento tutte queste
caratteristiche: veicola infatti contenuti che provengono dall’informazione e
dall’entertainment, prodotti specificamente per questa destinazione o “tradotti”
per essa, e ritagliati sulle esigenze (presunte) del singolo utente. Così, per
esempio, una regista raffinata e attenta alle evoluzioni stilistiche come Sally
Potter (Orlando)
ha potuto far debuttare il film Rage con Jude Law, Judi Dench e Steve Buscemi direttamente su
iPhone.
Una scena di Mad Men
Questo processo è inoltre analogo a quello che
caratterizza la costruzione e la promozione di tanti oggetti. I videogiochi più
famosi vengono lanciati da veri e propri trailer cinematografici, con tanto di
attori in carne e ossa e scenografia sontuosa, da autentico blockbuster. Le serie
tv americane più interessanti (Mad Men, 30 Rock, Life On Mars) hanno da tempo compiuto il sorpasso rispetto al cinema,
sotto tutti i punti di vista – creativo, produttivo, economico – tanto che
ormai si assiste a una vera e propria “migrazione” delle star hollywoodiane
verso questo nuovo Eldorado. Persino i romanzi, i prodotti che sembrerebbero più
refrattari a una trasmissione di tipo non tradizionale, vengono sempre più
comunicati e mediati da una molteplicità di linguaggi e opzioni (trailer, siti
internet dedicati, graphic novel ecc.).
Si tratta di qualcosa di profondamente
diverso dall’adattamento, che è sempre un’operazione successiva, per così dire,
al primo stadio dell’oggetto: qui ogni passaggio parallelo viene previsto e, in
alcuni casi, attuato contemporaneamente alla produzione vera e propria, ne è
parte integrante e quasi condizione necessaria.
Il cast di 30 Rock
Ora, che effetti ha tutto questo sulla percezione della
cultura da parte dei singoli individui? Oggi infatti compiamo quotidianamente
operazioni che solo quindici o venti anni fa sarebbero state pura fantascienza:
comunichiamo costantemente con persone lontane, consultiamo su uno schermo
libri e articoli (che fisicamente non “sono” da nessuna parte) e colleghiamo
immediatamente qualsiasi contenuto. In un sistema così profondamente mutato, è
chiaro che il concetto stesso di “associazione” (mentale e culturale) risulta
sviluppato in maniera pressoché ipertrofica: siamo, di fatto, la prima
generazione per cui ogni prodotto culturale mai esistito è istantaneamente
disponibile.
La gestione di questo archivio virtualmente infinito può
risultare ovviamente paralizzante e non facilitare assolutamente la capacità di
scelta, come ha evidenziato Barry Schwartz in The Paradox of Choice [2]. A causa di questo paradosso,
e soprattutto dell’invincibile pigrizia del genere umano, nello stesso momento
in cui si allargano a dismisura l’offerta culturale e le possibilità di
fruizione si assiste a un imponente fenomeno di analfabetismo di ritorno: per
esempio, sempre meno persone leggono libri, sempre più preferiscono guardare
trash televisivo.
Una scena tratta da Life On Mars
È ancora presto forse per capire come le cose evolveranno,
e soprattutto in che direzione: da alcuni sintomi, però, possiamo trarre
qualche insegnamento, sperando che sia utile. Uno degli elementi più evidenti
di questo approccio nuovo alla cultura, che certamente deve molto alla
tradizione del postmoderno ma che assume anche aspetti sconosciuti, è la volontà
di compiere associazioni tra contesti culturali diversi e lontani fra loro. Un
buon esempio sono le collane editoriali, nate negli ultimi anni per iniziativa
di Blackwell e Open Court, dedicate al rapporto tra filosofia e cultura pop: i
titoli delle raccolte di saggi vanno da I Simpson e la filosofia e I Soprano e la filosofia a Twilight e la filosofia e, per l’appunto, L’iPod e la
filosofia
.
Certo,
si tratta ancora di un giochino fighetto per dimostrare quanto si è bravi e
colti, e per rendere appetibile la storia della filosofia attraverso i
riferimenti popolari. Nel momento in cui, invece, quegli stessi contenuti non
vengono più considerati come espedienti e pretesti, ma come oggetti essenziali
e insostituibili per spiegare singoli aspetti della società e della cultura
contemporanea, allora il gioco cambia. E si fa molto più serio.

[1] H. Jenkins, Cultura convergente (2006), Apogeo, Milano 2007.
[2] B. Schwartz, The Paradox of
Choice: Why More Is Less
, Ecco Press, New York
2003.

christian caliandro


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
63. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]


5 Commenti

  1. Molto interessante questo articolo. A mio parere bisognerebbe già dare per scontato l’esorbitare del fenomeno (descritto nella prima parte) e, allo stesso tempo, essere consapevoli della pigrizia e superficilità dello spettatore. Dati inevitabili visto il bombardamento di contenuti e la sempre maggiore complessità-precarietà del vivere contemporaneo.

    Per questi motivi il semplice ed odioso invio di una foto per fruire una mostra d’arte contemporanea può diventare plausibile. E non si deve temere questa pratica, ma piuttosto sfruttarla ottimizzandone i vantaggi. Questa dinamica è già vissuta più o meno consapevolmente. Ma in modo assolutamente “primitivo”, e quindi spesso deleterio.

  2. mi ero,per un po di giorni, allontanato da exibart, causa la bufera scatenatasi sulla mia testa che spero non si ripeta qui, e non mi ero accorto di questo bell’articolo dove Christian parla di cose che mi interessano molto e di cui parlo spesso anche al Master in fine arts dove insegno qui a NY.

    Il punto che mi interessa di piu’ e’ Il fatto che, nella rete, qualsiasi prodotto culturale di qualsiasi epoca sia reso disponibile indefinitivamente.
    Il deperimento temporale delle informazioni viene sostituito con la possibilita’ di esplorarle tutte in senso quasi geografico.
    Credo che, oltre al frastornamento per eccesso di informazioni, questo fenomeno possa aprire anche altre possibilita’ di segno opposto: le diverse culture e i singoli individui creano dei punti di accumulo di attenzione verso certi enti .
    Questi punti di accumulo sono fatti di informazioni(immagini, testi, suoni etc) indefinitivamente disponibili, come mai e’ successo finora( ho tutto a disposizione, non devo andare per archivi o recuperare un vecchio nastro o una pellicola).
    Un tipo di processo, che compio spesso usando programmi 3d, e’ la strutturazione di queste informazioni in modelli: la trasformazione di una certa quantita’ di dati in una forma, come a risalire la dispersione, delle proiezioni di un ente nelle sue immagini, verso un modello.
    A questo punto l’ente, nella forma del modello, diviene nuovamente manipolabile ( se ricostruisco la testa di James Dean la posso animare come voglio, fargli dire cose che non ha mai detto), e puo’ produrre ulteriori immagini/dati da reinserire nella rete.
    In questo modo,credo,si possa provare ad avvicinarsi a riconnettere un certo tipo di pratiche, sempre piu’ disconnesse dalla cultura generale, alla possibilta’di contribuire ad un processo necessario di orientamento nella vastita’ infinita del net.

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