28 novembre 2010

LUMIÈRE

 
di gianni romano

Lo dico sempre a quelli di Exibart che è più facile che il PAC riesca a fare una buona mostra piuttosto che vedere un buon film d’estate, ma loro “no dai, insisti, prova, scrivi...”...

di

Pandorum e The
Box
sono stati distribuiti in Italia a luglio dopo aver fatto fiasco nei
rispettivi Paesi, coltivando la vana speranza di recuperare qualcosa a quei
budget esagerati a cui nessun produttore ha pensato di dare un taglio in tempi
utili, nell’illusione di riempire sale ormai vuote anche nelle arene estive. è un po’ come se Tremonti tassasse i
drive-in invece dell’home video, i kebab invece dei lidi con ristorante
illegale annesso. Dopo aver visto due film come Pandorum e The Box,
l’impressione però è che ci sia anche un vuoto di idee, che il cinema di
fantascienza sembra arrivato al capolinea e che, probabilmente, proprio Avatar ne abbia decretato la fine.

The Box aveva l’opportunità di dimostrare come
una buona sceneggiatura possa avere la meglio sugli effetti speciali, ma è
rimasta appunto un’opportunità mal gestita. L’impressione è che questo genere
cinematografico, popolare e tanto fertile dopo Blade Runner, non riesca più a produrre storie degne di questo
nome. Con le notevoli eccezioni di District
9
e Codice genesi, il cinema di
fantascienza sta producendo film che usano e abusano di trame e cliché
narrativi che cominciano a dar noia al grande pubblico e lasciano i cultori del
genere al gioco di rimandi tra testo e realizzazione filmica, tra il film in analisi
e quelli che lo hanno preceduto. La storia è indubbiamente carica di fascino: a
una famiglia alla quale capita una serie di circostanze sfortunate viene data
una scatola che contiene solo un pulsante, basta un clic di questa macchina
celibe per diventare ricchi, seppure con la consapevolezza di togliere la vita
a un anonimo qualcuno.

Richard Matheson - The Box
Ora è possibile
che quella decina di pagine della favoletta morale di Richard Matheson (lo
stesso autore dal quale il cinema ha preso a prestito la storia per Io sono leggenda) sul senso di colpa e
sul potere del denaro (Button, Button,
1971, già episodio di Twilight Zone
nel 1986, la popolare serie di telefilm prodotta da Steven Spielberg) ponesse
le basi di un grande dramma esistenziale nel quale scienza ed etica se le dessero
di santa ragione, ma questi fattori finiscono totalmente in secondo piano, e il
film si lascia andare a una trama confusa a metà tra il dramma morale e il
thriller paranoico tipo Invasione degli
ultracorpi
(1956). In effetti, la società in questo film – ed è quello che
dà più ai nervi – è un’entità talmente intangibile da farci sospettare che
ormai sia letteralmente aliena (il che già avrebbe rappresentato un bel colpo
di scena) e che Frank Langella (che sembra uscito da La golconde di Magritte) alla fine del film ce lo spieghi, invece
resta tutto così confuso.

Richard Kelly
aveva esordito alla grande con Donnie
Darko
(2001), collocandosi in quell’area tra David Lynch e Tim Burton che
attrae tanti giovani film maker (anche se Kelly, nella sua pagina Twitter, si
dichiara fan dei fratelli Coen), ma i suoi film successivi hanno disatteso le
aspettative. The Box ha il difetto di
risultare fin troppo fine a se stesso, lo stesso regista ammette che è “self-indulgent” ma che a lui sta bene
così, tanto a lui preme convincere i produttori a dargli i soldi per il suo
prossimo thriller post-11-settembre (ma che modi sono?!). Siccome Kelly non è
Lynch, né Burton né i fratelli Coen, il risultato è uguale a quell’arte
concettuale post-something che fa fatica a dire qualcosa sciorinando però la
presunzione di aver detto tutto.

Christian Alvart - Pandorum
Anche Pandorum – L’universo parallelo è una
coraggiosa co-produzione che ha collezionato un bel po’ di critiche e sale
vuote. Il film di Christian Alvart reintroduce il motivo della grande astronave-barca
di Noè che trasmigra l’umanità verso un pianeta dove la vita è ancora
possibile, avendo noi “spettatori” distrutto madre-Terra con inquinamento,
aumento demografico ecc… Dennis Quaid e compagni presto però scoprono di non
essere gli unici sopravvissuti sull’astronave e che delle strane creature (Alien, Solaris) minacciano la sopravvivenza dell’equipaggio e quindi di
tutta l’umanità. Presto il film diventa un susseguirsi di inseguimenti tra
corridoi hi-tech e spara-spara che ricorda più spazi e movimenti di Descent o Quake (i videogame) che un film vero e proprio.

È proprio
l’impostazione retrò di Pandorum che
avrebbe funzionato come rimando ai grandi classici del genere e allo sviluppo
poetico dei grandi temi (odissea ai confini dell’universo, perdita di memoria,
labirinto identitario, ricerca esistenziale) ma forse avrebbe dovuto girarlo
Tacita Dean.

gianni
romano

critico d’arte ed editore di postmediabooks


*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 68. Te l’eri perso?
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