13 maggio 2013

MIA fa rima con fotografia. E piace anche a chi non la colleziona

 
Terzo anno e bagno di folla per MIA, con circa 7mila visitatori al giorno e un picco oltre i 10mila per sabato e domenica. 230 espositori, artisti provenienti da 16 Paesi, su una superficie di 8mila metriquadrati. E poi presentazioni editoriali, il book signing, l'Angolo del Collezionista, la sezione di opere firmate a quattro mani da artista e stampatore, il Codice MIA , il Dummy Award e numerosi dibattiti. Ecco il resoconto di un successo

di

MIA 2013, ph. Silvia Tozzi

I visitatori sono stati davvero tanti, schiacciati nello spazio troppo ristretto degli stand, e le vendite per alcuni sono andate bene. Come nel caso di Liu Bolin, l’artista cinese che scatta autoritratti fotografici mimetizzandosi coi luoghi d’arte, molto venduto dalla Photo&Contemporary, che in pochi giorni ha piazzato Ponte Sant’Angelo, Tempio di Apollo, Via dei Misteri, il bellissimo Via della Fortuna e Sala della Ragione.
«Si tratta di opere di eccezionale bellezza, di un artista importante, e di ciascuna fotografia esistono solo sei copie al mondo», spiegano da  Photo&Contemporary. La qualità pagherebbe. E’ però anche vero che gli altri artisti esposti non hanno venduto altrettanto bene. «Liu Bolin è il nostro artista di punta, perciò questo fatto è normale», spiegano.
Contentezza anche alla GalleriaSpazioFarini6 dove Andrea Rovatti ha venduto due opere: Gipsoteca (per 900 euro) e Fondamenta Bontini (per 1200). L’artista è emozionato. In mano gli resta la cartolina che riproduce il suo collage fotografico appena venduto. Rovatti racconta all’acquirente di quanto gli sia difficile separarsi dalla sua opera, fantastica su dove essa sarà appesa una volta portata altrove. Essendo un fanatico delle architetture, che fotografa, smonta, replica e rimonta, il fotografo fa tante domande. 
La galleria M55projects arriva dalla Grecia ed espone Haris Kakarouhas. Non ha venduto nulla, ma sono contenti. Raccontano che si incontrano molte persone, si stringono rapporti che potranno essere utili in futuro, e il proprio artista viene visto da molti visitatori. Stessa cosa dicono allo Spazio Solferino, che espone Paolo Nicola Rossini, di cui si sono vendute un paio di opere a 450 euro. 
Confermano da ROBILANT + VOENA: «Sono venuti molti fotografi non professionisti a proporre il loro lavoro e abbiamo fatto interessanti chiacchierate».
MIA 2013, ph. M. Tarantini, book signing

Altrove, però, ci sono opinioni contrastante. Da Antonia Jannone si è radunato un piccolo gruppo di espositori. E’ domenica sera, l’ultimo giorno, e sono le sette, l’ultima ora di apertura. Fabio Zonta, il fotografo esposto, sostiene che MIA non sia la formula adatta per vendere: troppi i curiosi, il biglietto a basso costo (punti di vista: il giornaliero viene 15 euro, il pass di due giorni 21 euro)  incentiverebbe più “la massa” e meno il collezionista,  «e comunque – si aggiunge – comprare foto in Italia non è abitudine». La Jannone dissente ma non commenta, scuote la testa e si allontana. Zonta ha venduto due opere 50×50 (i grandi formati non hanno avuto affatto successo, quest’anno, al MIA), da 900 euro (mentre quelli da 2800 sono rimasti invenduti). Le sue fotografie sono minimaliste, sembrano illustrazioni: è stata una sfida quella di Jannone di portare al MIA un autore simile – e a suo parere, Antonia Jannone ha vinto.
MIA 2013, ph. M. Tarantini

In generale, i pezzi piccoli hanno venduto maggiormente, non si sa se per i costi ridotti o (più probabilmente) per una questione di trasporto e comodità. Anche lo Spazio A Gallery ha venduto opere piccole, ma in blocco: tre, alla stessa persona, della serie Attese, di Alessandro Mencarelli e alla 3D Gallery sono andate le opere da 17×25 di Janet Bellotto (200 euro). Una delle rare eccezioni sulle dimensioni la si è vista alla Bosi Contemporary, con il già affermato Andrea Pacanowski, che ha venduto quadri di grandi dimensioni accompagnati da musica di sottofondo (La solitudine di cappuccetto rosso e Il deserto dei ricordi).
Contenti anche gli olandesi di Perspectiva Art con il russo Andrey Belkov (certo non un emergente) e le sue fotografie surreali, silenziose, trasparenti e oltre-umane. Hanno venduto due opere, le più belle (Meeting e Alien’s Boat) e, spiegano, conosciuto tantissime persone. Contenti anche da Valeria Bella Stampe che ha portato due artisti con storie molto differenti: Pierre Pellegrini, che ha venduto la stampa digitale su carta cotone Atmosfera del mattino a 290 euro e Tre File Ordiate per 180 euro, ma il pezzo forte erano i numerosi Ugo Mulas presenti, prezzo medio 5miula euro, venduti quattro.
«Gli intenditori c’erano. Ovvio, ci sono anche molti curiosi, o persone che si dilettano con la fotografia e vengono per guardare, ma c’è anche chi è qui per comprare». Lo dimostrerebbe il fatto che anche Elio Ciol alla 3D Gallery è andato relativamente bene.
MIA area editori, ph. Silvia Tozzi

Tra gli artisti più interessanti al MIA figura certamente Bronek Kozka che, con The sunshine house, è risultato finalista alla II edizione del Premio Bnl. L’opera non è un pezzo a sé ma si accompagna ai primi piani in grande formato dei quattro personaggi:  The father, The mother, The son e The other. Nello spazio della Vision Quest Gallery, che segue l’autore, anche altre opere ammirevoli, che mischiano verismo e suggestione cinematografica, ovvero Home time e The chef, tutte c-print on d-bond. Il fotografo australiano, da tenere assolutamente d’occhio, è realista in modo crudo, ma stilisticamente molto elegante, sia nella tecnica che nella messinscena. 
Interessanti poi le moderne ex voto di Natale Zoppis con cornici di cartone e domopak a circondare foto di denti, capelli e varie parti del corpo ornate di graffette. Idealmente vicine ad esse, i pezzi di uomo sotto teca di Raffaello De Vito, che fotografa a distanza ravvicinata mani, piedi e teste, di uomo e di manichino, sezionati ed esposti, con  e calli, punti neri, herpes, cuperose e peluria ben in vista, teste con occhi chiusi o aperti, o viste da dietro, semplici masse di capelli. 
Iris Hutegger ha portato letteralmente  poesia al MIA, fotografando paesaggi montani in bianco e nero su cui poi ha cucito decorazioni con fili di cotone sottili e colorati. Le ha arricchite, sottolineando delle piccole parti o delle vaste aree,  mischiando rosa e verde o creando ragnatele rosse sulle montagne. Uno stile opposto a quello di Leandro Quintero con le sue grandi immagini minacciose di residuati industriali (La puit) o di luoghi abbandonati (Fantasia rosso), persino una chiesa zeppa di calce e detriti (Octo) in cui l’uomo è assente, estinto, restano solo le cose che ha costruito, e sembrano arrabbiate. 
Non poteva mancare Francesco Jodice, in questo caso con la serie What We Want, con Bethlehem,
Death Valley, Normandy e Osaka. Il bianco domina, l’atmosfera è sognante, lo spazio sterminato, l’uomo al suo interno si sente piccolo, e quasi una macchia a rovinare la bellezza austera del paesaggio. 

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