08 agosto 2003

Piccolo è bello?

 
di alfredo sigolo

E’ agli antipodi dell’arte monumentale e alle dimensioni ambientali preferisce quelle tascabili. Curiosa, divertente, magari folle; ma spesso interessante e con il vezzo di trasgredire agli stereotipi. E’ la MicroArt, l’arte da guardare con la lente d’ingrandimento. Una vera arte a parte. Con i suoi artisti, le sue gallerie, le sue biennali…

di

Indagare lo spazio è divenuto un imperativo categorico nella contemporaneità. L’artista si confronta con il vuoto cercando di determinarlo e interpretarlo, sia esso quello architettonico, chiuso e circoscritto, che quello esterno, il macrospazio d’azione della land art. Ma altrettanto misterioso, per la sua inafferrabilità e impraticabilità, è l’infinitamente piccolo, il microspazio che costringe ad aguzzare la vista e che diventa una sfida per l’artista. In un tempo dove tutto è concesso e la libertà non sembra aver più confini, l’idea di operare all’interno di limiti spaziali ridotti può apparire incoerente, ma anche uno stimolo per liberare fantasia e creatività.
Al mondo dei Gulliver dell’arte non mancano antenati illustri, dai miniatori medievali che illustravano codici e testi sacri con capilettera e scene dalla Bibbia ai ritrattini sulle tabacchiere di Rosalba Carriera che, nella corti aristocratiche europee del ‘700, erano uno status symbol, dalleRosalba Carriera medaglie celebrative di Pisanello all’arte di Benvenuto Cellini, le cui opere d’oreficeria sono purtroppo quasi tutte perdute, specie dopo il furto della celeberrima saliera in oro al Kunshistorische Museum di Vienna, appena qualche mese fa.
L’età contemporanea subisce il fascino dell’infinitamente piccolo e si sbizzarrisce da par suo, tra il serio e il faceto, dalla pseudo arte che si limita al semplice esercizio di virtù e a suscitare meraviglia, fino ai capolavori assoluti, e basterebbe citare le Boite en valise, i musei portatili di Marcel Duchamp, o i microcosmi alchemici di Paul Klee per averne un’idea.
Ma può essere divertente navigare a vista nella rete.
L’ucraino Nikolay Syadristy espone da mezzo secolo le sue opere: sculturine, dipinti di pochi millimetri sui più stravaganti supporti come l’interno delle crune degli aghi e i semi di mela; nei noccioli di pruno selvatico ha scolpito minuscoli ritratti di Rembrant, di Lincoln del Papa.
Mr. Venkatesh ha invece ripreso uno stratagemma per trasmettere messaggi segreti a corte, usato anticamente nel suo paese, l’India; è entrato nel Guinness dei primati per aver scritto 62 caratteri su un solo gPenguinrano di sesamo, ma si diletta anche dipingendo figurine e decorazioni sui chicchi di riso. Non su chicci di cereale ma su pastiglie farmaceutiche si era dilettato a eseguire minuziosissimi ritratti anche l’americano Tom Friedman , lo scorso anno in mostra alla Fondazione Prada di Milano.
Banali scene di soggetto sacro di sapore kitsch dipinge, in misure normali, il marocchino Leon Azoulay, che però impiega la folle tecnica della microcalligrafia, copiando interi libri della Bibbia in microscopici caratteri ebraici. A comporre paesaggi e figure è dunque l’effetto ottico dell’alternanza dei colori e della disposizione del testo, apprezzabile solo a pochi centimetri dal naso.
Fenomeni da baraccone? Forse. Ma intanto a Ville-Marie, a Temiscaming in Canada, è giunta già alla 6a edizione la Biennale Internationale d’Art Miniature: nel 2002, 400 artisti di 36 paesi hanno partecipato a questa manifestazione nella quale possono essere esposte opere di varie tecniche, purché di misure non superiori a… 7,5×10 cm!
Le nuove tecnologie, costantemente impegnate nella ricerca della miniaturizzazione più estrema, non si sottraggono certo al fascino del microspazio. MichaelMark Ryden W. Davidson e alcuni studenti alla Florida State University hanno scoperto, osservando i circuiti integrati dei calcolatori elettronici, sorprendenti anomalie: ospiti di ogni tipo, disegnati a mò di marchio da progettisti e tecnici guasconi, abitano all’interno degli elaboratori facendo capolino tra circuiti e microchip. Da Snoopy a Thor, da Godzilla al diavolo della Tasmania, star del cinema e automobili, loghi, animali, bandiere, ce n’è per tutti i gusti. E’ il Silicon Zoo da esplorare al microscopio ottico, in cui le grandezze si misurano in micron: Davidson & C. tengono aggiornato un sito nel quale fotografano e schedano centinaia di divertenti esserini scoperti in ogni angolo del globo.
La microart è anche micromusic: alcuni musicisti creativi hanno inventato un nuovo genere componendo musiche per i videogiochi tascabili, utilizzando circuiti e software interni dei pocket game. Quei musicisti sono oggi osannati alla stregua di popstar dagli appassionati, tengono concerti, pubblicano cd e hanno siti web molto frequentati.
Adalberto Abbate - Territorio Il net artista italiano  Mauro Ceolin non si è lasciato scappare l’occasione e ha immortalato i volti dei micro-musicians, spesso sconosciuti, in ritratti RGB con il software Flash: ritratti elettronici appunto, e che altro potevano essere?
Un altro italiano, il palermitano Adalberto Abbate, riproduce su piccoli cubi di legno applicati al muro, scene di ordinaria follia metropolitana. In dimensioni tanto microscopiche quando incredibilmente fedeli e realistiche. Tornando alle tecniche tradizionali, a settembre si inaugura alla Earl McGrath Gallery di New York la personale di Mark Ryden dal titolo Blood , nella quale saranno esposti degli straordinari oli su tavola di misure variabili intorno ai 10 cm. di lato, cornice finemente scolpita compresa!
Nel campo postpop, kitsch e surrealista, un ottimo collega di Ryden, Jason D’Aquino, realizza splendide miniature surreali su vecchie scatole dei fiammiferi del Jason Dtipo Minerva : sono scene e personaggi tratti dalla memoria infantile ma anche allegorie e composizioni simboliche di grande effetto.
Vi viene voglia di aprire una microgallerie per microartisti? Ci hanno pensato già. E anche in Italia.
Durante l’ultima edizione di Artefiera di Bologna, per promuovere Komà, la prima galleria d’arte contemporanea in Molise, Michele Mariano portava a spasso per la fiera uno spazio espositivo in miniatura. Un modello stilizzato di un metro cubo con moquette rossa ma senza soffitto, per ammirare all’interno le minuscole opere appese di Alessandro Cipressi, Carla Parente, Christian Rainer, Karin Andersen, Nark Bkb e Roxy in the box.
Un’eccezione? Macché: al motto arte contemporanea alla grande la Pocket Gallery seleziona artisti per la realizzazione di opere che non superino le dimensioni di 30×55 mm. E non crediate sia così facile esporre: per la prossima stagione il programma è già completo!
Insomma un universo eterogeneo, in cui le dimensioni lillipuziane esaltano tecnica e virtuosimo, nascondono identità, veicolano messaggi e lanciano provocazioni. La sfida con se stessi è il comune denominatore e trovare il limite tra arte e stravaganza poco importa.
E’ meglio forse ripensare al compagno di classe del liceo che riusciva a scriversi nel palmo della mano tutto il compito di matematica o la versione di latino. Non era forse un artista quello?

(per 8-Kinder)

articoli correlati
L.H.O.O.Q. di Duchamp
L’RGBProject.01 di Ceolin
Mark Ryden a Bologna
Komà gallery ad Artefiera di Bologna
link correlati
La personale di Marco Di Giovanni ad Arte e Ricambi
La Biennale Internationale d’Art Miniature
Il Silicon zoo di Davidson
Il sito del net artista Mauro Ceolin
micromusic community
Il sito ufficiale di Mark Ryden
Il sito ufficiale di Jaso D’Aquino
La Pocket Gallery

alfredo sigolo

[exibart]

4 Commenti

  1. Fuga verso l’interno…

    Il discorso della grandezza è antichissima, e affascina per tutti i motivi di quanto sopra: cambiando dimensione si costringe a riguardare qualsiasi cosa con nuove coordinate e nuove criteri. Fare le cose umili a scale esaggerato ci fa meravigliare come anche le cose grande in miniature. Non solo per meraviglia virtusistica…cambia il significato stesso delle cose. tanto vero è che la land art per prima era un tentativo di frustrare i mecchanismi del mercato consumistico del’arte. Di cambiare il suo statuto sociale.
    La pocket gallery nasce da problematiche simile: non è solo un modo per aggirare i problemi prattici della galleria tradizionale. E’ anche un’invito a riconsiderare la spazio e il suo utilizzo.C’è spazio dappertutto che potrebbe essere pensato in modo artistico, ma che viene scartato per abitudini create da un mercato tradizionale. Non è un attacco al’ mercato ma un aggiunto. Nasce con la speranza che l’arte può espandere davvero ad occupare tutto lo spazio a disposizione. Se il paesaggio del desserto americano può diventare un spazio artistico “legittimo”, allora perchè non la mia tasca o la vostra caffettiera o il deposito baggali della stazione feroviaria?
    Se l’arte e lo spazio potessero cambiare statuto, il mondo sarrebbe più ricco così, no?

    scusate per il mio italiano goffo.
    Guardo voluntieri proposte per nuove mostre, e spero che altri vorebbero fare spazi espositivi “alternativi”

    come ultimo invito tutti a cercare le mostre in scattola del gruppo fluxus dei anni ’70. sono semplici e splendidi.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui