24 gennaio 2011

BIENNALE DI NEW ORLEANS, ATTO PRIMO E MEZZO

 
A due anni di distanza e sulla scia del successo ottenuto dalla Biennale di New Orleans, Prospect 1, il 6 novembre scorso il curatore americano Dan Cameron ha inaugurato Prospect 1.5, una vasta rassegna, un intermezzo come ama definirla, interamente dedicata ad artisti nati o che vivono nella città della Louisiana. Una mostra riuscita, il cui scopo dichiarato era quello di mantenere vigile lo sguardo del mondo sulla città duramente colpita, prima dall’uragano Katrina e toccata poi dal disastro dell’esplosione della BP Oil. Ne abbiamo parlato con il diretto interessato...

di

Prospect 1 è nata come risposta alla
tragedia di Katrina, ma è stata anche una sfida. Hai fondato un’organizzazione
non profit, Inc, per trovare i finanziamenti, poi hai chiamato 80 artisti
internazionali molto noti ai quali non hai semplicemente chiesto di realizzare
un’opera o delle installazioni, ma di contribuire alla ricostruzione ideale e
concettuale di un modello di città attraverso la partecipazione. Che di fatto
c’è stata, non è cosi?

Grazie! Questa
è una spiegazione molto soddisfacente di cosa ha rappresentato la Biennale. Solo
una cosa volevo sottolineare, ed è la passione con la quale tutti hanno partecipato.
È stato l’elemento fondamentale per la sua riuscita e ha decretato il successo
di Prospect 1. 9 artisti su 10 si
sono innamorati di New Orleans, il loro coinvolgimento emotivo è stato
percepito dagli abitanti della città che lo hanno interpretato come una sorta
di empatica condivisione con i loro problemi.

Anche il pubblico ha contribuito al successo di Prospect 1, e i numeri parlano chiaro:
45mila visitatori e un impatto economico di 23 milioni di dollari. Un invito a
continuare? Te lo immaginavi un successo di questa portata?

Non voglio sembrare
immodesto, ma speravo decisamente meglio. Avevo fatto una previsione precedente
alla mostra di 100mila persone e avremmo potuto arrivarci, ma nell’ottobre 2008,
a causa della crisi economica, la situazione collassò. La gente tagliò i viaggi
di piacere e Prospect 1 inaugurava il
1° novembre. Su un’altra cosa contavamo, ed era scuotere il mondo dell’arte, sensibilizzarlo
riguardo i problemi irrisolti della città. Ci siamo riusciti. Questo è un
considerevole risultato.

Jonathan Hicks - Clowning in a Necktie Noose at Apple In Imitation of Robert Longo - 2008 - mostra presso la M. Francis Gallery, New OrleansIn
Prospect 1 la scelta degli artisti
locali era esigua, solo 12 presenze. A Prospect
1.5
partecipano invece solo artisti locali. Tra questi, un terzo sono nati
a New Orleans, gli altri hanno scelto di vivere qui. Cosa ha determinato questo
cambiamento di rotta?

Per una Biennale giovane come Prospect 1,
proporre un ampio numero di artisti autoctoni avrebbe creato un impatto,
certamente non negativo, ma non abbastanza forte. Il pubblico, infatti, almeno
a quell’epoca, non aveva dimestichezza con l’ambiente artistico di New Orleans,
oggi la situazione è più matura e abbiamo potuto farlo. In ogni caso non si
tratta solo di artisti locali, ma piuttosto di artisti che avevano lasciato la
città dopo Katrina o che erano partiti per studiare e non erano più tornati. Conoscono
molto bene la situazione e si sono rivelati un autentico valore aggiunto al
programma nelle diverse edizioni di Prospect. Prospect 1.5 ci ha
anche permesso di mettere a punto una sorta di pilote programme che sarà
ripetuto negli intervalli delle future edizioni di Prospect.

Prospect 1.5 rappresenterà un trait d’union fra le due
Biennali?

È una tappa
intermedia. Ci permette di continuare la programmazione e non restare inattivi
per lungo tempo. Il fatto di concentrarci su artisti locali e regionali ci
permette di estendere il “brand” di Prospect
e mantenere viva l’attenzione su una zona fragile, che ne ha un reale bisogno.
In altre parole, il nostro sforzo è quello di focalizzare il più a lungo
possibile lo sguardo, sia degli Stati Uniti, sia del mondo sulla scena
artistica di New Orleans.

Tra
le cose più interessanti e anche coinvolgenti ci sono i Tableaux Vivants, ancora un’iniziativa fortemente basata sulla
partecipazione della gente. Come sono nati
?

È una proposta di
New Orleans Airlift, un’associazione culturale che si occupa molto attivamente
di sviluppare progetti con autori locali e che vanta anche collaborazioni con
artisti interessanti del calibro di Swoon. I Tableaux Vivants hanno dato il via a Prospect 1.5: il primo sabato si sono svolti a Julia Street nel
Warehouse District e quello successivo hanno ripetuto la performance a St.
Claude Avenue. I Live Shows o Tableaux Vivants si sono svolti nel
pianale di un autocarro che si muoveva molto lentamente nelle strada, e a ogni
stop il Tableau cambiava. Gli artisti
presentavano scene ispirate alla mitologia popolare o quadri di autori storici.
Ha avuto uno straordinario impatto sul pubblico.

Guy Hundere - Impasse at EVA - 2001 - videoinstallazione - mostra presso NOCCA/Ken Kirschman Gallery, New Orleans
Tra
gli eventi più forti di Prospect 1
c’è Angola Project, che prende il
nome dal penitenziario, l’Angola State Project. La rassegna propone una serie
di lavori realizzati dai prigionieri, il tema è quello della speranza, della riconciliazione,
della dignità e della violenza. È un modo di tornare al vecchio modo di pensare
l’arte e alla sua la funzione sociale?

Sin dall’inizio
avevamo scelto di lavorare a contatto con le comunità locali e con la popolazione
di New Orleans. In città lo spettro dell’Angola Prison è onnipresente, molta
gente ha o ha avuto famigliari che sono stati incarcerati. Ma, a parte questo, Angola
Prison riveste oggi un ruolo importante nella vita culturale della città: le
persone vi si recano durante il Rodeo o in occasione dell’asta delle opere
realizzate dai detenuti. Il risultato è che molti collezionisti locali, me
compreso, vantano un interessante numero di opere prodotte dai prigionieri
nelle loro collezioni private.


Quali
sono gli higlight di Prospect 1.5?

Sono molto contento della riuscita
degli eventi collaterali, che rappresentano un ulteriore valore aggiunto. Tra
questi: Everydays Ibrid, un progetto interdisciplinare ospitato
al Delgado Comunity College, uno degli spazi più suggestivi della città, che
nella precedente edizione non era stato usato; ma anche la doppia mostra alla Good
Children Gallery in Bywater, dedicata al lavoro di Keith Boadwee e Raashad Newsome,
che ha sancito il ritorno a New Orleans di due artisti che hanno avuto molti
riconoscimenti a livello nazionale, ma che non avevano mai esposto nella loro
città natale. E poi, A Second of Your
Time
, ospitata al NOCCA – New Orleans
Center for Creative Art, una rassegna che cerca di legare gli intenti
pedagogici della più importante scuola d’arte della città attraverso la
reciproca l’interazione tra la fotografia e il video.

Bruce Davenport - Southern University Jaguars Marching Band - 2010 - disegno - mostra presso il Mahalia Jackson Center/Early Childhood & Family Learning Foundation, New Orleans
Lo
scorso novembre alla Galleria Jack Shainam di New York avete organizzato
un’asta con le opere di molti artisti che avevano partecipato alla prima
edizione di Prospect, per raccogliere
finanziamenti per produrre Prospect 2.
Com’è andata?

Bene! Con la
vendita dei biglietti per l’asta e l’asta stessa siamo arrivati alla cifra di 415mila
dollari. L’80% di questa cifra andrà a supporto della Biennale. Altrettanto importante
si è rivelato New Orleans Food &
Music
, una kermesse divertente, che ha contribuito a mantenere alta
l’attenzione sulla Biennale.

Per
finire, quali sono le storie che vuoi raccontare alla gente con Prospect 2?

Prospect 2 inaugurerà
il fine settimana del 22-23 ottobre 2011. Saranno rappresentati più di 50
artisti provenienti da tutto il mondo e le loro opere saranno esposte in 20
spazi diversi, alcuni assolutamente inediti. Sarà una mostra più definita nella
parte curatoriale, con una particolare attenzione alle periferie cittadine e a tutto
quello che ci sta intorno. È previsto anche un biglietto d’ingresso, non sarà
più gratuita come Prospect 1. Cosa
dire d’altro, non sarà molto diversa da Prospect
1
, e poi ancora… tutti noi saremo un po’ più vecchi, forse un po’ più
saggi e sempre pieni di speranza.

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A
colloquio con Dan Cameron per Prospect 1

a cura di riccarda mandrini

[exibart]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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