18 dicembre 2020

È tempo di roma città aperta: intervista a Raffaella Frascarelli e Sabrina Vedovotto

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Dal primo gennaio 2021 parte il progetto roma città aperta: protagonisti gli studi degli artisti della capitale. Ne parliamo con le curatrici, Raffaella Frascarelli e Sabrina Vedovotto

Sara Basta

Luoghi solitamente privati, gli studi degli artisti di Roma si aprono per essere spazi di condivisione e partecipazione dove il pubblico potrà scoprire come nasce e prende forma la ricerca artistica. È questa l’anima del progetto roma città aperta, rubricato da gennaio a dicembre 2021, ma da intendersi come un processo in progress aperto al futuro. Abbiamo intervistato le curatrici, l’inedito duo Raffaella Frascarelli Sabrina Vedovotto.

Roma città aperta: la parola alle curatrici

Quando partirà in vostro progetto e cosa si propone?

RF: «Da gennaio 2021, ma nasce con l’assegnazione del Premio Montblanc a Nomas Foundation lo scorso anno, con il quale si annunciava la volontà della fondazione di costruire uno spazio socioculturale d’incontro tra cittadini, artisti e amministrazioni locali, cercando di fondere le diverse aree urbane all’interno di una mappa partecipativa in grado di superare partizioni ed educare il pubblico alla scoperta delle molteplicità di Roma».

SV: «Il progetto è partito, idealmente, qualche mese fa quando abbiamo cominciato a parlarne. Ha avuto una fase di gestazione lunga, complessa ed entusiasmante, tanto che per me è già nato da tanto, e ha già una sua autonomia. Per il pubblico invece prenderà il via a gennaio, con visite online e, speriamo prestissimo, visite in presenza».

Come si articolerà?

RF: «Consentendo visite pubbliche in presenza e/o online degli studi degli artisti che vivono a Roma attraverso la piattaforma di roma città aperta, ma nel pieno rispetto delle norme imposte dal DPCM corrente sul tracciamento e il distanziamento. Le visite agli studi degli artisti saranno filmate e sottotitolate in lingua inglese per confluire nell’archivio pubblico di roma città aperta che sarà accessibile dal sito romacittaaperta.com da chiunque nel mondo.

Questa duplice fruizione, in presenza e digitale, risponde ovviamente ai tempi e alle misure straordinarie che stiamo vivendo, ma consente anche di lavorare a un ritratto di Roma (e forse in parte del paese) delineato proprio dagli artisti in questo momento storico. La piattaforma accoglierà interviste, approfondimenti, immagini, video che cercheranno di raccontare Roma in chiave neorealista, una città senza trucco alle prese con estetica, cultura, politica, tecnologia».

SV: «L’idea alla base di tutto è quella che contraddistingue gli studio visit che caratterizzano il lavoro di curatori e critici. Andare negli studi degli artisti è per noi una pratica abbastanza normale. Crediamo invece che sia abbastanza lontana dal pensiero delle persone. Personalmente volevo scardinare l’idea che l’artista subisse ancora oggi il cliché del perenne scapestrato che gira di notte per i locali, e che di giorno dorme sempre.

Qui noi parliamo di gente che lavora tantissimo per fabbricare i propri sogni, con fatica e sudore, e per renderli possibili. Portare tutto questo al grande pubblico è il sogno che perseguo da sempre, non a caso la mia tesi di laurea verteva sul rapporto tra spettatore e opera d’arte. Non esiste opera se non c’è uno spettatore».

Angelo Bellobono

roma città aperta si rivolge meritoriamente al grande pubblico. Lo studio visit è, tuttavia, una pratica importante, direi fondamentale tra artisti e addetti ai lavori, a partire da curatori, critici. Già nei tempi pre-Covid sembrava però che venisse trascurata da parte di quest’ultimi. Siete d’accordo? E, in caso affermativo, come ve lo spiegate? 

RF: «La prima risorsa umana di Roma è costituita dai propri cittadini, persone che sognano, sperano, resistono, lavorano per una vita migliore. A questa risorsa fondamentale si associa quella degli artisti che hanno scelto l’Urbe, o di restare nell’Urbe nonostante tutto o per fortuna, patrimonio vivente che si sostiene grazie alla propria pratica artistica. Il sistema dell’arte ha profondamente bisogno di fare nuove domande a sé stesso per rigenerarsi e affrontare alcune criticità.

Tra esse solo per citarne alcune, vi è più di un rischio: redistribuzione regressive di carattere elitario del nutrimento artistico-culturale anche in presenza di investimenti di natura pubblica; mercificazione della cultura e dell’arte in chiave di intrattenimento; disequilibrio nel sostegno pubblico agli artisti; superficialità scientifica nel favorire fenomeni mercantilistici passeggeri.

L’arte esiste se vi è pensiero critico e autocritico. In un’ottica partecipativa, creare questo incontro intimo tra pubblico e spazio creativo dell’artista è un’azione civile che, mescolando gli immaginari, prova a trasformare le regole statiche e tradizionali della fruizione dell’arte».

SV: «Per quanto riguarda i critici, forse hai ragione. L’entusiasmo era andato scemando, c’era molta velocità nel fare le cose, e poco tempo da dedicare alla conoscenza del singolo artista. Ma sono convinta che ora tutto sarà diverso. Il Covid ci ha cambiati».

Giuseppe Stampone

Quali sono i criteri di selezione degli artisti che avete adottato?

RF: «Il primo criterio è quello anagrafico, vale a dire artisti che vivano e creino a Roma. Abbiamo iniziato dagli artisti che sono parte delle nostre storie per poi passare a tutti quelli che non conoscevamo, scoprendone moltissimi. In qualche modo abbiamo cercato di definire e stiamo ancora componendo una mappatura piuttosto che una selezione, partendo dall’idea di incontrare, scoprire, ascoltare.

Dopo dodici anni e un legame profondo con Roma, credo sia arrivato il momento per Nomas Foundation di dedicare a tutti gli artisti romani il tempo, la cura e l’ascolto che meritano. Con umiltà e competenza scientifica».

SV: «Non credo nelle call. Per questo abbiamo fatto una selezione più ampia possibile, che è in fieri e lo sarà per tutto il periodo. Sono tantissimi gli artisti che lavorano a Roma e che sfuggono alla nostra conoscenza.

Per questo ci affidiamo anche alle conoscenze di curatori e artisti più giovani che ci stanno segnalando nomi di colleghi emergenti, bravi e determinati. Anche questa è una parte del lavoro davvero interessante, conoscere nuove realtà che ci circondano ma che sfuggono anche a noi, pur avendo molti occhi sempre attenti».

Iginio De Luca

Attualmente quanti artisti sono stati “arruolati”?

RF: «Il numero degli artisti è aperto come il progetto, non ci sono limiti».

SV: «Credo circa un centinaio, molti nomi noti e molti giovani. La conditio sine qua non, è avere uno studio».

Il progetto prevede anche degli eventi collaterali?

RF: «roma città aperta coinvolge l’Unità di Ricerca di Aesthetics in the Social con una serie di approfondimenti culturali in chiave sociologica che coinvolgeranno cittadini, artisti, studiosi, esperti a riflettere insieme sulle possibilità di mutamento attraverso un progetto inclusivo e partecipativo. E coinvolge anche Tools for Culture che proverà a chiarire una nuova mappa artistica multiculturale individuando artisti che provengono da comunità di origine non italiana insediate a Roma.

Ma vi saranno anche molte azioni civili legate all’arte come motore per rafforzare la sfera pubblica. Stiamo anche coinvolgendo i Municipi e le loro reti socioculturali: lontano dai clamori mediatici dei casi bui, in realtà Roma possiede una linfa amministrativa e istituzionale che giace silenziosa eppure attiva e vigile nelle migliaia di donne e uomini che ogni giorno consentono una vita amministrativa, sanitaria, giuridica, attiva e partecipe malgrado ogni avversità, persone che restano garanti per tutti a un accesso equanime di diritti e doveri, che ascoltano, assistono, consigliano lontano dai riflettori.

In questa fase iniziale abbiamo i patrocini non onerosi di Municipio VI e Municipio XIII, ma stiamo dialogando con tutti i Municipi per includerli. Arte, cultura, amministrazione come beni da difendere e valorizzare».

SV: «Più che eventi collaterali ci saranno approfondimenti dal punto di vista sociologico, che è una cosa che ci interessa molto, e che approfondiremo non appena avremo iniziato il processo. Come dicevo poc’anzi, è tutto in fieri, e non vediamo l’ora di capire dove ci porterà questo progetto enorme.

Ci saranno poi delle relazioni forti con i Municipi, perché è da lì che vogliamo partire per arruolare pubblico nuovo, il tessuto connettivo è il nostro punto di riferimento».

roma città aperta è destinata a realizzare una mappatura della ricerca artistica contemporanea nella capitale. Nell’attuale edizione della Quadriennale, che è anche vostra partner, la presenza di artisti romani è esigua. Vi ha sorpreso questa scelta da parte dei curatori della mostra? Cosa ne pensate?

RF: «Le scelte dei curatori della Quadriennale rispondo a esigenze diverse da quelle di roma città aperta. Certamente l’assenza degli artisti romani non è passata inosservata, soprattutto pensando alla ricerca di numerosi artisti romani, ai percorsi complessi che molti dei più giovani hanno intrapreso con impegno o al ruolo centrale che alcuni artisti affermati ricoprono nella storia dell’arte italiana».

SV: «Personalmente sono rimasta stupita della loro esigua presenza. Però questo è stato anche di stimolo per iniziare a pensare a questo progetto, e sono felice che Umberto Croppi, presidente della Fondazione La Quadriennale, abbia da subito sposato questa nostra idea, che è partita singolarmente da me e da Raffaella, e che poi ha visto un’incredibile convergenza di pensiero e di idee. Per me, Raffaella è stata una sorpresa, non avevamo mai lavorato insieme, e credo che sia un’esperienza molto interessante per entrambe».

Luca Padroni

Qual è a vostro avviso lo stato di salute del sistema del contemporaneo a Roma? Come vi immaginate il suo futuro a emergenza sanitaria conclusa?

RF: «Non credo che esista uno stato di salute assoluto della scena artistica romana. Esiste invece uno straordinario patrimonio vivente rappresentato dagli artisti italiani, inclusi quelli radicati a Roma, che merita di essere sostenuto, valorizzato, nutrito, condiviso, divulgato, consolidato, restituito come bene pubblico. Questo impegno e questa determinazione sono tra gli obiettivi di Nomas Foundation dalla sua nascita e sono condivisi da molte altre fondazioni, associazioni, istituzioni romane e italiane.

All’interno della governance culturale si stanno facendo alcuni passi positivi, ma occorre una riforma ben più radicale a favore degli artisti italiani. Noi stiamo immaginando che accedere agli spazi più intimi degli artisti, ascoltare le loro ricerche, assistere allo sviluppo creativo, a Roma abbia le potenzialità di rendere la sfera pubblica quella dimensione trasformativa, partecipativa e inclusiva alla quale la società tende.

Questo bisogno di condivisione per roma città aperta è un’esperienza lenta, priva di individualismo e consumismo, un viaggio alla ricerca delle differenze sconosciute, un’urbe estetica ricca di immaginari che possono trasformare, una possibilità per ripensare le relazioni umane e urbane, una pratica sociale per generare nuove idee sulla vita insieme.

Socialità e socievolezza per costruire nuovi capitali sociali e culturali, ma soprattutto arte come forma di azione collettiva e bene comune per imparare a pensare diversamente, coltivando la consapevolezza che ciascuno di noi può contribuire alla creazione di spazio pubblico. Ci piace pensare che anche se una goccia nel deserto, roma città aperta possa essere un processo per iniziare a immaginare la fine della pandemia».

SV: «Roma è una città complessa, un dedalo di strade che sembrano non trovare indicazione. E proprio mentre non vedi la luce alla fine del tunnel, ecco che arriva uno spiraglio, un impercettibile lumicino.

La situazione è complessa sotto tanti punti di vista, ma l’entusiasmo che abbiamo letto negli artisti invitati è stato incredibile. Tutti felicissimi, contenti ed entusiasti di prendere parte a un progetto ampio, che sono certa sarà solo l’inizio di qualcosa di più grande, Covid permettendo».

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