22 luglio 2007

GIOVANI ARTISTI ALLA PROVA

 
La kermesse 20 eventi, tenutasi in Sabina alcune settimane or sono, è un’occasione per parlare con la promotrice, l’artista Karin Sander, di questioni più ampie di una mostra: la formazione, la didattica, il ruolo delle accademie. E l’educazione sentimentale dei giovani artisti…

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La mostra che i tuoi studenti dell’Accademia di Weissensee a Berlino, hanno organizzato in Sabina -una delle aree più ricche di storia del Lazio- invadendo i piccoli e suggestivi borghi di Bocchignano, Fara Sabina, Frasso e Monopoli, suscita qualche riflessione sulla funzione che la didattica ha in un sistema dell’arte strutturato come quello occidentale. Da molti anni è ormai entrato in crisi il metodo univoco della formazione accademica per quei giovani che desiderano intraprendere la “carriera” dell’artista. Senza pretendere di fare la storia dei metodi di insegnamento dell’arte negli ultimi due secoli, sarebbe interessante sapere qualcosa del metodo da te che adottato. Quali sono le indicazioni che dai ai tuoi allievi? Quale è il tuo personale sistema di trasmissione?
Gli studenti che vengono da me continuano a seguire il loro modo di lavorare e io cerco di assisterli meglio che posso. Provo a creare delle opportunità che permettano loro di riflettere sul personale metodo di lavoro e sulle attitudini che li caratterizzano, lavoro con le persone e con il bagaglio di esperienze che si portano dentro. Questo può significare accompagnare gli studenti fin dentro il nucleo dei loro concetti, oppure coinvolgerli in progetti e compiti comuni con altri colleghi in modo che siano spinti a relativizzare e ripensare le proprie posizioni. Si tratta sempre, come accade anche nel mio lavoro di artista, di scoprire e mettere in luce quello che potenzialmente esiste già.
Elin Hansdottir, Senza titolo
Si può fare arte senza dover frequentare nessuna scuola, ma l’occasione rimane sempre un elemento importante nella vita, soprattutto di quella dei giovani artisti. Offrire loro un’opportunità di lavoro, un banco di prova su cui potersi confrontare per la prima volta con uno spazio, con la storia di un luogo, con altri artisti, può mettere in moto dinamiche ricche di conseguenze positive. Nel nostro Paese sono davvero rare le opportunità che le pubbliche amministrazioni offrono ai giovani per produrre lavori e sperimentare teorie e l’esperienza di queste mostre in Sabina può considerarsi quasi unica. Capita ancora meno che i giovani interessati all’arte possano stabilire un confronto diretto con artisti di generazioni diverse. 20 eventi è riuscita a rispondere a molte di queste necessità. Puoi raccontarmi le tue impressioni sull’esperienza che hai fatto, come artista e come docente, lavorando con i tuoi studenti nei paesi della Sabina?
Uno può anche cucinare senza aver frequentato una scuola di cucina. La domanda riguarda piuttosto l’economia del tempo, cioè, quali vantaggi e svantaggi si hanno come autodidatta, quanto sforzo occorrerebbe per raccogliere da solo gli elementi essenziali necessari al lavoro invece di ascoltare qualcuno che risponde alle proprie domande e ne pone successivamente delle altre. Facendo gli opportuni paragoni, conosco pochi artisti che non avendo frequentato alcuna scuola abbiano tuttavia sviluppato un lavoro individuale interessante. Ci sono delle eccezioni naturalmente, ma bisognerebbe esaminarle più da vicino per comprenderle a fondo. È fondamentale per la creazione di un’opera la comunicazione, l’incontro con altri e lo spazio libero, sia temporale che spaziale, per la pratica. Se queste componenti sono a disposizione lo studio può anche essere svolto con successo anche al di fuori di un’accademia d’arte. Questo vale anche per l’osservazione, contemplazione e comprensione dell’arte. Lavorando in Sabina si è sviluppata una comunicazione che ha reso possibile sia la concezione dei lavori degli studenti che la ricezione da parte della gente del territorio. Si è creato un livello profondo di comunicazione che ha reso possibile agli abitanti di rapportarsi in modo più immediato con il linguaggio, non sempre semplice, dell’arte contemporanea, più di quanto non sarebbe accaduto in un museo o attraverso una pubblicazione.
Jan Vormann, Dispotchwork
Hai rilevato, durante le fasi di progettazione e realizzazione delle opere in mostra, differenze significative nel modo di lavorare dei tuoi allievi? Aspetti e comportamenti diversi da quelli che avevano in accademia? Osservazioni che ti hanno fatto riflettere sull’utilità di questa esperienza?
Sviluppare un lavoro sul posto, lavorare sul luogo, significa lasciare l’ambiente familiare e protettivo dell’accademia e ripensare la strada che ognuno sta percorrendo. Gli studenti imparano a percepire il proprio lavoro da nuovi punti di vista, per esempio da quello dello spettatore o del residente nel paese. Questa presa di coscienza li obbliga ad assumersi una maggiore responsabilità per quello che fanno. Negli incontri preparatori della mostra tra gli studenti d’arte e di architettura con gli abitanti dei paesi, fra i produttori d’arte e gli spettatori, il concetto di lavoro site-specific era il punto di partenza per ogni discussione. Vivere le problematiche dell’arte realizzata in spazi pubblici e successivamente discuterne con il pubblico, è stato il tema del simposio che si è svolto dopo la mostra al Goethe Institut di Roma e la linea guida del lavoro comune nei paesi della Sabina. Quasi tutti gli studenti sono riusciti a creare un’opera autonoma e di qualità nel contesto dell’ambiente locale senza che questo fosse legato a idee preconcette, precostruite. Il concetto di base dell’intero progetto espositivo di creare una piattaforma che non metta in luce idee bensì gli atteggiamenti e i modi di realizzarle è stato realizzato, dal mio punto di vista, con molto successo.

a cura di marcello smarrelli


20eventi – A cura di Karin Sander – dal 19/5/07 al 10/6/07
In mostra: Erik Alblas, Paul Darius Damien De La Faye, Atsushi Fukunaga, Taro Furukata, Elin Hansdottia, Eckhard Karnauke, Daniel Kemeny, Paulina Le’on, Silvia Lorenz, Dieter Lutsch, Peter Muller, Irene Patzug, Sophia Pompe’ry, Foete Stolte, Jan Vormann, Matthias Wermke e 10 studenti di architettura del politecnico di Zurigo
Info: www.arteinsabina.it


[exibart]

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