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Un mondo alla rovescia: il nuovo progetto di Hyperlocal racconta il carcere di Rebibbia
Progetti e iniziative
Goliarda Sapienza, ne l’Università di Rebibbia, descrive il carcere come uno «Sconosciuto pianeta che pure gira in un’orbita vicinissima alla nostra città. Di questo pianeta tutti pensano di sapere tutto esattamente come la Luna senza esserci mai stati. Perché chi ha avuto la ventura di andarci, appena fuori si vergogna e ne tace o, chi non se ne vergogna s’ostina a considerarla una sventura da dimenticare». E invece, la piattaforma editoriale Hyperlocal punta un faro su questa realtà e le permette di aprirsi alla città con una mostra a cielo aperto, allestita in occasione del Giubileo dei Detenuti alla metro di Rebibbia, a Roma, dal 28 novembre al 18 dicembre 2025. Un mondo alla rovescia è il racconto di una città dentro la città e di un quartiere dentro un quartiere, il polo penitenziario più grande d’Italia, con una sezione femminile che è tra le più grandi di tutta Europa.

Hyperlocal, che da quattro anni dà voce a luoghi simbolici, comunità, scene culturali e artistiche di quartieri e territori dislocati in tutto il mondo, torna a Roma – l’anno scorso aveva raccontato il quartiere Testaccio – con un numero speciale del magazine, una mostra e due talk che danno voce alle storie e alle quotidianità delle persone che popolano il carcere romano.
Ogni giorno, oltre 2mila tra detenute e detenuti si svegliano e conducono la propria giornata a Rebibbia e centinaia di altre persone, sempre ogni giorno, entrano ed escono per lavoro, assistenza o per visite ai detenuti. Un racconto reso possibile dalla voce di un nutrito gruppo di scrittrici e scrittori e di fotografe e fotografi che hanno firmato testi e immagini.

Il progetto è stato portato avanti in particolar modo all’interno del Nuovo Complesso, uno dei quattro istituti che compongono il polo di Rebibbia, con un gruppo di 17 detenuti che in due mesi di attività sono diventati parte integrante della redazione di Hyperlocal, raccontando un “mondo alla rovescia” che presenta dinamiche estremamente simili e al contempo lontanissime da quelle del mondo esterno. 120 poster esposti su 20 tabelle metalliche, sulla stessa linea B che si conclude proprio al capolinea di Rebibbia, destinazione della corsa e custode in questi giorni di cortocircuiti e riflessioni che la chirurgica analisi di quel Mondo alla rovescia ha fatto emergere.


Il Giubileo aveva già coinvolto i detenuti e il quartiere romano lo scorso 26 dicembre, con l’apertura straordinaria di una quinta Porta Santa dal Pontefice Francesco, proprio all’interno del carcere e diventa nuovamente un’occasione per costruire un ponte fra il carcere e ciò che lo circonda.
Numerosi sono i documenti visivi d’archivio di chi negli anni passati ha avuto un qualche legame con Rebibbia, nei modi più disparati: dai progetti del suo architetto Sergio Lenci, agli scatti di Tano D’Amico e Angelo Turetta; dalle foto di scena del film Fuori di Mario Martone, a quelle di Cesare deve morire, pellicola pluripremiata dei Fratelli Taviani; dalle realtà associative e compagnie teatrali La Ribalta e Le Donne del Muro Alto, fino ad arrivare alla corrispondenza originale della detenuta trans Fernanda Farias De Albuquerque, da cui nei primi anni Novanta è nato il romanzo autobiografico Princesa, ispirando l’omonima canzone di De André.

Sono in programma anche due appuntamenti pomeridiani, previsti per il 4 e l’11 dicembre all’interno della Casa del Municipio Roma IV “Ipazia di Alessandria”, che prevedono la presentazione al pubblico del Magazine accompagnata da talk tematici e dalla proiezione del video che racconta l’intero progetto, Hyperlocal Rebibbia. The Prison as a Neighborhood: Inside the Rebibbia Penitentiary Complex di Alain Parroni.

Giovedì, 4 dicembre, Prison as Narrative Subject, con ospiti il Premio Strega Edoardo Albinati che per 30 anni ha insegnato a Rebibbia, la scrittrice e regista Francesca D’Aloja, autrice de Il sogno cattivo e del doculfilm Piccoli ergastoli, la redazione di Hyperlocal e alcuni contributor del progetto: Nicola Gerundino, Giulio Pecci, Isabella De Silvestro, Federica Delogu, Lavinia Parlamenti, con un incontro moderato dalla giornalista Rai Eleonora Tundo. Un evento che vuole guardare oltre il periodo di detenzione e mettere in evidenza la complessità che si porta dietro l’identità di persone che, appiattite dall’etichetta di ex-detenuti, sono invece individui con storie, passioni, talenti e progetti per il futuro. Come si racconta un carcere? Chi lo racconta?

Giovedì, 11 dicembre, toccherà invece a Forward the Unseen, un talk che esplora come teatro, fotografia e video possano diventare un’esperienza trasformativa per i detenuti, permettendo loro di sperimentare nuovi ruoli sociali e ricostruire la propria identità. L’incontro mira a indagare come arte e creatività possano essere concreti strumenti di trasformazione e libertà, anche in un contesto di privazione come può essere quello del carcere, e sarà tenuto dal fotografo Tano D’Amico, dal regista Alain Parroni, Fabio Cavalli, regista e fondatore del Teatro Libero di Rebibbia, e Francesca Tricarico, regista e ideatrice del progetto di teatro in carcere Le Donne del Muro Alto.
“Le cose che non possiamo dimenticare”
In questo quadro, il progetto Le cose che non possiamo dimenticare aggiunge un ulteriore tassello alla narrazione di Rebibbia. Prodotto da Artificio Italiano Srl, dal 12 al 14 dicembre, popolerà l’ingresso della metro Rebibbia con incontri, reading musicali, mostre e installazioni audiovisive. La grande croce luminosa di Angelo Bonello – abitata dai volti e dalle storie dei detenuti – non funziona come simbolo conciliatorio, ma funge da vera e propria interferenza. Usando le parole dell’artista: «Questa croce non è un monumento alla fede, ma un varco aperto nello spazio urbano che mette in comunicazione il dentro e il fuori del carcere di Rebibbia. Sulle sue superfici scorrono volti e parole che non chiedono indulgenza, ma solo ascolto, un taglio stretto nell’oscurità, attraverso cui i detenuti osservano il mondo e attraverso cui il mondo osserva loro. È uno scambio simmetrico in cui chi guarda è guardato, un invito a capire che una società si rivela da come osserva chi ha sbagliato e che a volte basta uno sguardo per ritrovare l’umano.»

Accanto all’opera, la produzione di Guido Gazzilli si dipana attraverso alcune immagini del proprio archivio fotografico trasformate, attraverso i disegni e i testi dei detenuti, in un corpus di opere corali. Tre giorni di incontri ampliano il campo: il quartiere, spesso rappresentato in forma ridotta e stereotipata, diventa un laboratorio di memoria e responsabilità civile. La conclusione vedrà il 14 dicembre un reading musicale di Amir Issaa, rapper, scrittore e divulgatore di cultura Hip Hop, che porterà in piazza per l’occasione lo showcase Vivo per questo.
L’intero progetto si configura come un esercizio di ascolto e restituzione, generando un ponte che si staglia tangibile come terreno di contatto tra città e carcere. Questa tensione, ancor più degli esiti estetici, è ciò che potrebbe lasciare una traccia reale nella percezione comune di Rebibbia.













