11 luglio 2012

Il viaggio di Luigi

 
“Ogni viaggio comincia con un vagheggiamento e si conclude con un invece”. È in questo aforisma di Giorgio Manganelli che forse si concentra la dimensione del “Viaggio in Italia”, il progetto di Luigi Ghirri messo in scena nel 1984, con la partecipazione di altri venti fotografi. Che hanno raccontato la penisola da un punto di vista inquieto ed enfatico, dal quale si può ricominciare a guardare. Per ricostruire il nostro Paese [di Matteo Bergamini]

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Era il 1984. L’anno profetizzato da George Orwell come l’emblema della distopia, epoca di congiungimento di una serie di forze buie venute a saccheggiare l’umanità del valore della vita, dell’esistenza poetica, dei sogni. E anche delle immagini. Nessuna salvezza, nessuna via d’uscita. Il grande fratello aveva azzerato le possibilità non solo di un pensiero ma anche della natura, insita nell’uomo, del voler guardare “altrove”, del potersi situare in angoli dai quali esplorare il proprio mondo senza le costrizioni di un sistema dello spettacolo che qui toglie il respiro, diventa presenza ossessiva e ossessionante. Forse sembrerà un parallelo un po’ azzardato, ma 1984 è anche l’anno in cui Luigi Ghirri, probabilmente uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento, riunisce sotto il progetto “Viaggio in Italia”, altre venti voci, o meglio altri venti sguardi, in grado di spaziare nell’orizzonte, ognuno a proprio modo, per raccontare quel Paese dalle mille e una storia, dagli infiniti panorami e contraddizioni che è la penisola italiana. Un viaggio lontano dagli stereotipi, una serie di immagini che non sono cartoline, nonostante talvolta siano pervase da un lirismo assoluto, avviate verso una direzione narrativa che più che documentare tout court è in grado di evocare.

Forse sta proprio qui il senso generale del “Viaggio in Italia”, così come in tutti i veri viaggi: si rasenta sempre una dimensione che ha a che fare con l’empatia, che permette lo svelamento di una parte del sé attraverso l’oggetto, con la visione di esso. Si tratta in qualche modo di un autentico rapporto emozionale tra il soggetto-io e l’altro fotografato. Che in questo caso è sentiero di montagna, marina, crociera, soglia di abitazione, giardino, paesaggio rurale, periferia industriale. Nel 1984 in Italia si profilava l’ascesa di una società basata sull’immagine fasulla e patinata, dove l’edonismo reaganiano che soffiava dagli Stati Uniti era stato convogliato in una dimensione che aveva a che fare con una comunicazione di massa che via via prendeva corpo in una realtà dalle tinte fosche, dove la politica ricalcava il modello televisivo, dove la televisione era arrivata a documentare, in presa diretta, tragedie e attentati, dove il mondo faceva parte di un’unica, grande, sceneggiatura a bassa risoluzione.

Il “Viaggio in Italia” in qualche modo è il punctum, prendendo in prestito Roland Barthes, di questa cartolina d’Italia, che viaggiava tra “Rimini-Rimini” e perdeva le sue serate al “Drive in”, immaginandosi moderna, spregiudicata, alla moda, perdendo di vista rovinosamente i suoi particolari e svegliandosi, quasi trent’anni dopo, con un pugno di mosche e, in alcuni casi, con lo sguardo nostalgico e melanconico rivolto proprio a queste immagini, in qualche modo simboli di un’epoca a tratti pasoliniana, come negli scatti milanesi di Basilico o in quelli dedicati alla Lucania di Mario Cresci, fino al panorama desolante e solitario del “mare d’inverno” tracciato in diverse occasioni dallo stesso Ghirri.

Il “Viaggio in Italia” è stato, per i fotografi che ne hanno preso parte, un modo per costruire un’altra visione possibile del Paese forse più fotografato e stereotipato del mondo, l’unico che era riuscito, anticipando gli Stati Uniti, a mettere in scena il proprio simulacro, e mi riferisco precisamente all’”Italia in miniatura”, il parco di divertimenti della costa adriatica che anche Ghirri aveva immortalato in diversi scatti.

Sono fotografie a fantasmi quelle che compongono il “Grand Tour” collettivo messo in atto dal fotografo emiliano, realtà che forse, in parallelo, possono essere state evocate con la stessa forza solo da autori come il già citato Pier Paolo Pasolini o da Pier Vittorio Tondelli, conterraneo del fotografo di Scandiano, anch’esso in bilico tra la rivelazione di un mondo italiano che spesso è stato tacciato di essere “marginale”, quasi di serie B, ma che a ben guardare era l’emblema genuino di una condizione socio-culturale e antropologica lampante: l’Italia come immensa periferia e allo stesso tempo come un’unica, gigantesca, metropoli in grado di rivelare in ogni suo chilometro quadrato le profonde diversità delle sue origini, amalgamate in una “nazione comune” dalla giovanissima storia. Ed è proprio in occasione del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia che il corpus delle cento fotografie che sono ora esposte alla Triennale di Milano, appartenenti al fondo del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, sono state restaurate dal nostro Ministero dei Beni Culturali, che tanto in questo periodo ha fatto penare le sorti del patrimonio storico e artistico della penisola.

Immagini in qualche modo comuni, forse addirittura banali, riscattate al rango di arte per il loro essere autentiche rivelazioni. C’è una profonda meraviglia nello scorgere l’infinito in una zona industriale di Modena, c’è tutto il senso profondo del mistero dell’esistenza in una pompa di benzina deserta in Piemonte che ricorda le solitudini di Hopper, c’è tutto lo straniamento della metafisica in un parcheggio di un motel al crepuscolo nella provincia romagnola. Questo è il “Viaggio in Italia”: un’eternità fatta di immagini, impossibili da diluire perché già ectoplasmatiche, ma forti e intense come solo l’inquietudine che gli spiriti possono evocare. Un omaggio dovuto al nostro Paese, stando sull’angolazione che si preferisce: sulla “Soglia” o sul “Lungomare”, dal “Centrocittà” ai “Margini”, “A perdita d’occhio” o guardando “Nessuno in particolare”. Una modalità attualissima per ricominciare a guardare a fondo la natura multipla, sfaccettata e perché no, romantica, del Belpaese. In compagnia di venti grandi protagonisti delle arti visive, da Olivo Barbieri a Giovanni Chiaramonte, da Mimmo Jodice a Claude Nori, da Guido Guidi a Gianni Leone, che hanno prestato il fianco a uno dei più originali e incisivi progetti collettivi del contemporaneo.

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