25 novembre 2025

Mattia Moreni, il dubbio come destino: cinque mostre per riscoprire un irregolare del Novecento

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Un progetto espositivo diffuso in cinque musei della Romagna ricompone l’intera vicenda di Mattia Moreni, pittore visionario e anarchico: il curatore Claudio Spadoni ci parla delle mostre in programma

Mattia Moreni
Mattia Moreni. Dalla formazione a “L’ultimo sussulto prima della grande mutazione” Prima tappa: Dagli esordi ai cartelli. Installation view Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo. Foto di Andrea Pezzi

«Spiritato, diabolico, lunatico, irrazionale, capriccioso, bizzarro». Così un giovane Italo Calvino descriveva nel 1946 Mattia Moreni, riconoscendone quella febbre visionaria che già trapelava dalle prime opere. A distanza di quasi 80 anni, quelle parole sembrano ancora perfettamente calzanti per raccontare un artista che ha attraversato il secondo Novecento come un corpo inquieto, sempre in tensione tra la carne della pittura e l’intelligenza corrosiva del pensiero.

È questo il filo che unisce le cinque mostre del progetto Mattia Moreni. Dalla formazione a L’ultimo sussulto prima della grande mutazione, la più ampia antologica mai dedicata al pittore pavese, curata da Claudio Spadoni e promossa dall’Associazione Mattia. Da settembre 2025 a maggio 2026, Bagnacavallo, Forlì, Santa Sofia, Bologna e Ravenna ospitano un racconto in cinque capitoli che ricompone l’intera parabola di Moreni, dai turbinosi esordi fino agli ultimi, profetici Umanoidi.

1969, Vernissage a Roma, Galleria Toninelli. Renato Guttuso e Mattia Moreni. Ph. Alfio Di Bella

«L’aveva segnalato a Francesco Arcangeli Mario Merz, seguace di Moreni a Torino dove aveva frequentato l’Accademia Albertina. Nel dopoguerra era stato appena sfiorato dal neocubismo che rappresentò per quasi tutti i giovani un’esperienza linguistica modernamente europea sulla scia del mito Picasso. Ma Moreni seppe affrancarsene puntando su un astrattismo comunque referenzialistico che ha caratterizzato la sua presenza nel gruppo degli Otto sostenuto da Lionello Venturi. Le opere poco note degli esordi, dal ’41 al ’54, esposte nella mostra di Bagnacavallo, costituiscono senza dubbio un recupero fondamentale per meglio intendere la personalità dell’artista. L’intensissimo autoritratto del ’46, ad esempio, è una sorprendente anticipazione della serie di oltre 150 autoritratti realizzati negli anni ’80-’90», ci ha raccontato Claudio Spadoni.

Mattia Moreni. Dalla formazione a “L’ultimo sussulto prima della grande mutazione”
Prima tappa: Dagli esordi ai cartelli. Installation view Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo. Foto di Andrea Pezzi

Il progetto espositivo: un mosaico in cinque atti

«Si può dire che Moreni, dopo il tempo degli Otto, abbia dipinto per grandi cicli», ha spiegato il curatore. «Cicli che potrebbero essere letti anche autonomamente, ma tenuti insieme, pur nella loro diversità tematica e stilistica, da connessioni e passaggi consequenziali, come da una drammaticità quasi apocalittica al viraggio in grottesco, mantenendo comunque un’inconfondibile identità moreniana. Le cinque esposizioni, ricostruendo per intero tutta la storia e i cicli dell’artista, mirano a ricomporre una vicenda di una complessità di esiti pittorici e di pensiero che forse ha pochi riscontri nell’arte del secondo Novecento».

Installation view, Dalle Angurie alla fine dell’Umanesimo, Museo Civico San Domenico, 2025. Ph. Genny Cangini per Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

Ad aprire il percorso è il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, con la mostra Dagli esordi ai cartelli, dedicata ai primi 20 anni di attività: dal 1941 al 1954, quando un giovanissimo Moreni, formatosi all’Accademia Albertina di Torino, si misurava con il neocubismo e con il gruppo degli “Otto Pittori” di Lionello Venturi ma già mostrava un’indocile tendenza alla disobbedienza linguistica. In queste tele – dai paesaggi ferraresi ai primi astratti – si intuisce la svolta: la pittura come tensione, come sfida, come anticamera del disordine.

Da lì il racconto prosegue verso Forlì, con il Museo Civico di San Domenico che ospita le opere del periodo cosiddetto “delle Angurie”: simboli ironici e perturbanti di una natura mutante. Seguono Santa Sofia, dal 15 novembre 2025 all’11 gennaio 2026, con l’incredibile serie degli Autoritratti, e Bologna, dal 30 gennaio al 17 maggio 2026, che rievoca al MAMbo la storica antologica del 1965 curata da Francesco Arcangeli. Infine Ravenna, che chiude il viaggio al MAR dal 27 febbraio al 3 maggio 2026, con le tele della Regressione della specie e dell’Umanoide tutto computer: un’umanità al collasso, tra visione e presagio.

1989, Mattia Moreni, Santa Sofia. Ph. Knapp

Il territorio della libertà moreniana

Lontano dalle mode e dai gruppi, Moreni scelse la Romagna come laboratorio di libertà. Qui dipinse, scrisse, teorizzò il suo “mestiere dell’attenzione”: un modo di guardare il mondo senza difese né compromessi. Spiega ancora il curatore: «Moreni, attivo nella Resistenza, era riparato in Romagna dove dopo la guerra tornava d’estate dopo aver trascorso l’inverno a Parigi. E la Romagna divenne definitivamente la sua terra d’elezione quando si stabilì alle “Calbane Vecchie”, una casa colonica isolata sulle colline tra Brisighella e Riolo. Senza dubbio, come dimostrano molti suoi lavori, il paesaggio naturale, e poi i “cartelli”, le “baracche”, le “angurie” – cicli per sua ammissione ossessivi – sono nati come riferimenti visivi del paesaggio romagnolo, ma per alludere poi ad altro, caricarsi di ambiguità».

Mattia Moreni. Dalla formazione a “L’ultimo sussulto prima della grande mutazione”. Prima tappa: Dagli esordi ai cartelli. Installation view Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo. Foto di Andrea Pezzi

Negli ultimi anni, Moreni interpreta la realtà come un organismo in metamorfosi: una scena in cui la materia pittorica si deforma seguendo le alterazioni del corpo, della percezione e della tecnologia.

«Come i cartelli che diventano apparizioni misteriose, le “angurie” indicate nei titoli “come la luna” o “come una nave sul campo”, o “come la morte“, in una serie di riferimenti “altri”, spaesanti, fino ai sessi femminili. Come già negli anni ‘50, nei dipinti informali di una gestualità prorompente, i titoli evocavano “alberi bruciati”, “sole sui rovi”, nuvole colpite da un fulmine”, “immagini penose”, per fare solo qualche esempio», racconta Spadoni.

Alle Calbane, in quella casa isolata fra Brisighella e Riolo, Moreni coltiva la sua idea di “decadenza” come una forma speciale di attenzione. Qui, osserva il mondo scivolare verso un cambiamento irreversibile, senza indulgere alla nostalgia, ma accogliendo il nuovo con uno sguardo spietato. È da questa posizione che nascono i cicli della Regressione e dell’Umanoide, non come apocalissi gridate ma come visioni lucide di un’umanità in trasformazione, sospesa tra materia e tecnologia.

Installation view, Dalle Angurie alla fine dell’Umanesimo, Museo Civico San Domenico, 2025. Ph. Genny Cangini per Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

L’eredità di un visionario

Con oltre 200 opere distribuite in cinque sedi, il progetto curato da Spadoni non si limita a un omaggio ma tenta una ri-lettura critica dell’artista. «L’idea – sottolinea il curatore – è restituire a Moreni la sua integrità: non solo l’irruenza informale, ma la lucidità teorica, l’ironia, la capacità di prefigurare il futuro».

Mattia Moreni. Dalla formazione a “L’ultimo sussulto prima della grande mutazione”. Prima tappa: Dagli esordi ai cartelli. Installation view Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo. Foto di Andrea Pezzi

In questo senso, la sua parabola non è chiusa: è un invito a interrogarsi sul presente, sulle derive dell’immagine e sulla sopravvivenza della pittura nell’era digitale.

Scriveva Calvino: «Per ora il macabro carnevale dei suoi quadri non ci trascina, bensì ci lascia spettatori interessati ed anche plaudenti alla coraggiosa determinazione dell’autore; ma qualche suo disegno ci dice davvero d’intuizioni che non avevamo ancora veduto spiegate dai pittori di casa nostra come del male che fanno le penne quando crescono, dell’angoscia per uscire dal caos, per districarsi, per metamorfizzarsi. E non è poco, a dispetto della pittura tonale».

«Moreni stesso ha suggerito l’opportunità di un “dubbio dubitoso” su tutto», conclude Spadoni. «È la sua lezione più attuale: diffidare delle certezze, restare aperti, continuare a cercare». Ed è forse questo il senso profondo del progetto: restituire a Moreni la complessità che gli spetta.

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