30 agosto 2025

Nasce a Trissino il centro di ricerca RARE: ne parliamo con i curatori

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Alla Filanda a Trissino, a Vicenza, nasce il centro di ricerca RARE - Reasearch Art Regeneration Ecology, che prende il via attraverso un progetto di residenze under 35 e un grande spazio espositivo

La Filanda a Trissino è un complesso nel vicentino dove, accanto allo studio dell’artista Arcangelo Sassolino, è sorto il centro di ricerca RARE – Reasearch Art Regeneration Ecology che ha preso il via attraverso un progetto di residenze under 35 con le due artiste Nika Batista e Lorraine Hellwig e con un grande spazio espositivo dove è in corso fino al prossimo 28 settembre la mostra Seta. Questo progetto è stato ideato e sviluppato da Jacopo Ferma, Cristiano Focacci Menchini e David Melis che abbiamo intervistato a margine della nostra visita in Filanda.

Quando e dove nasce il collettivo curatoriale RARE (Research Art Regeneration Ecology)? In particolare, qual è la vostra missione?

«RARE – Research Art Regeneration Ecology è attivo dal 2024 a Trissino, in provincia di Vicenza. Nasce dall’incontro tra il processo di rigenerazione dell’ex Filanda Bocchese, avviato da un gruppo di imprenditori vicentini, e l’energia creativa di Arcangelo Sassolino, che ha spinto a trasformare lo spazio in un luogo aperto alla ricerca artistica. La nostra missione è sostenere pratiche contemporanee capaci di intrecciare arte, impresa, ecologia e territorio, coinvolgendo artisti in processi di produzione e scambio che abbiano un impatto reale sulla comunità. Più che un collettivo curatoriale, ci consideriamo un contesto in movimento, dove il dialogo tra arte e luoghi genera forme sempre nuove di relazione e narrazione».

Ci raccontate brevemente chi siete?

«Siamo un gruppo di professionisti dell’arte contemporanea con esperienze che vanno dalla curatela alla produzione artistica, dalla ricerca culturale alla progettazione di interventi legati alla rigenerazione di spazi e comunità. Ognuno di noi proviene da percorsi diversi – istituzionali, indipendenti, accademici – e porta competenze maturate lavorando con musei, gallerie, residenze, festival e realtà no-profit, in Italia e all’estero.

In RARE mettiamo in comune queste esperienze con la volontà di uscire dagli spazi tradizionali dell’arte per portare la ricerca artistica a contatto diretto con i territori, con le persone che li abitano e con le sfide ecologiche e sociali del presente. Crediamo che l’arte possa essere un motore di trasformazione reale, capace di attivare sinergie tra il mondo culturale e quello delle imprese, generando nuove connessioni tra memoria e futuro, tra paesaggio, comunità e sistemi produttivi».

Come si inserisce RARE nel contesto dell’ex Filanda Bocchese?      

«L’ex Filanda Bocchese è un edificio storico di Trissino che per decenni ha rappresentato un luogo di lavoro e di vita per la comunità, soprattutto per le donne che vi operavano. Dopo anni di inattività, un gruppo di imprenditori vicentini ha avviato un processo di rigenerazione per restituirgli una funzione viva. RARE si inserisce in questo contesto come motore culturale, trasformando la filanda in un centro di ricerca e produzione artistica. Qui gli artisti non trovano soltanto uno spazio fisico per lavorare, ma un luogo carico di memoria e relazioni, in cui la storia industriale si intreccia con nuove narrazioni contemporanee. Per noi Filanda non è solo una sede, ma un organismo vivo che cambia insieme ai progetti e alle persone che la attraversano».

Il progetto si snoda a partire dal peculiare rapporto tra arte e impresa e l’integrazione con il tessuto industriale locale. Potreste approfondire come questa interazione si manifesta concretamente e quali opportunità genera?    

«Per noi il rapporto tra arte e impresa non è un semplice mecenatismo, ma un processo di scambio reciproco. Gli artisti che partecipano ai nostri progetti entrano in contatto con il know-how che ogni azienda ha costruito negli anni: competenze, tecniche, processi produttivi che spesso non sono accessibili al di fuori di quel contesto. Allo stesso tempo, le imprese si trovano a dialogare con sguardi esterni che rimettono in gioco ciò che per anni è stato considerato soltanto in termini funzionali, aprendo a nuove possibilità di lettura e utilizzo di materiali, forme e tecnologie. In alcuni casi, e stiamo implementando sempre più questa pratica, questo dialogo si traduce anche nel recupero di strumenti e materiali che altrimenti andrebbero persi, trasformandoli in risorse per nuove produzioni artistiche».

Qual è il significato più profondo della “rigenerazione” di un luogo con un forte valore storico e simbolico come la Filanda, in particolare rispetto alla memoria operaia?

«Per noi rigenerare un luogo come Filanda significa lavorare con la sua memoria, non contro di essa. La storia di questo edificio è legata a generazioni di lavoratrici e lavoratori, in particolare alle donne che per decenni vi hanno trovato occupazione. In quella memoria c’è orgoglio e senso di comunità, ma anche fatica, alienazione e sofferenza: elementi che fanno parte a pieno titolo di questa eredità. Riportare la filanda a nuova vita attraverso l’arte non vuol dire edulcorare il passato, ma trasformarlo in una risorsa critica, capace di parlare al presente. Gli artisti che ospitiamo si confrontano con questo patrimonio complesso, lo ascoltano, lo rielaborano e lo traducono in forme nuove, restituendo visibilità a storie e voci che spesso sono rimaste ai margini. In questo senso, la rigenerazione non è solo architettonica o funzionale, ma soprattutto culturale e simbolica: un modo per far sì che un luogo di produzione industriale torni a essere uno spazio di produzione di senso e di relazioni».

Didattica

Cosa significa per voi abitare uno spazio?    

«Per noi abitare uno spazio significa viverlo nella sua interezza, ogni giorno, fino a conoscerne le luci, i silenzi e persino le crepe. Nella Filanda questo vuol dire confrontarsi con un luogo carico di memoria, attraversato da storie di lavoro, di fatica e di comunità. Abitare non è solo usarne le stanze come contenitore per l’arte, ma intrecciare la nostra presenza con quella di chi l’ha vissuta prima di noi, trasformando la quotidianità dello spazio in un terreno fertile per la ricerca. Significa anche prendersene cura, accettare che ci influenzi e che modelli i progetti che realizziamo al suo interno. In questo senso, abitare diventa già un atto creativo, un dialogo costante tra ciò che il luogo è stato e ciò che può ancora diventare».

Seta è la prima mostra che inaugura lo spazio. Quali sono state le principali scelte curatoriali e i temi portanti che volevate esplorare attraverso questa esposizione?

«Seta nasce come una dichiarazione d’intenti. Abbiamo voluto che la prima mostra negli spazi della Filanda fosse pienamente radicata nel contesto e rispondesse ai temi che guidano le azioni di RARE. Una parte centrale del progetto è stata la ricostruzione di un archivio che era ormai andato perduto, e con esso la storia di centinaia di operaie che per decenni hanno lavorato in questo luogo.

La mostra è stata anche il risultato di una residenza artistica che ha messo in relazione diretta gli artisti con il territorio, le sue aziende e le persone che lo abitano. Ha dato forma a una pluralità di linguaggi, dalla scultura all’installazione, dalla fotografia al suono fino alla performance, che si intrecciano per esplorare il concetto di trasformazione: quella dei materiali, dei luoghi e dei significati. In questo senso, Seta è stata pensata come un laboratorio aperto, capace di restituire sia il processo collettivo da cui è nata sia il legame con un’eredità storica che rischiava di essere dimenticata».

Seta, veduta della mostra

La mostra promette un’esperienza immersiva con proiezioni di immagini storiche e suoni dei bachi da seta. Come questi elementi contribuiscono a rievocare la memoria e la resilienza delle operaie?  

«Le proiezioni di immagini storiche e i suoni dei bachi da seta si intrecciano alle registrazioni audio realizzate con le ex operaie, molte delle quali oggi hanno più di ottant’anni. Volevamo creare una connessione tra il lavoro instancabile e quotidiano delle lavoratrici e quello del baco, mettendo in luce come entrambi siano parte di un ciclo che unisce natura e industria. Questi elementi immersivi non hanno soltanto una funzione evocativa, ma restituiscono fisicamente la dimensione sensoriale della filanda: il ritmo, i rumori, le voci, permettendo al visitatore di percepire la fatica, la precisione e la resilienza che hanno segnato la storia di questo luogo».

Le performance “Il Lanternista” e “Commenti sonori” sono parte integrante del percorso. Qual è il loro ruolo nell’amplificare il tema del ricordo e della trasformazione all’interno dell’installazione?  

«Il Lanternista, realizzata dal collettivo Gli Impresari con Federico Primavera, ha utilizzato lanterne magiche per proiettare immagini tratte da una ricerca d’archivio sul lavoro tessile e sulla memoria dei luoghi, in dialogo diretto con la storia della Filanda. Commenti sonori ha trasformato in suono i movimenti dei bachi da seta, catturati all’interno di insettofoni in legno di briccole veneziane riciclate, generando in tempo reale paesaggi acustici che riconnettono la dimensione viva del lavoro alla produzione artistica. In entrambe le performance emerge il tema della trasformazione, dal ciclo naturale alla sua traduzione in paesaggio industrializzato, analizzando anche le ripercussioni sociali che questo processo ha avuto sulla comunità locale».

Lorraine Hellwig e Nika Batista, artiste in residenza RARE

Come è avvenuta la selezione delle prime artiste in residenza, Nika Batista e Lorraine Hellwig, e cosa le ha rese particolarmente adatte per inaugurare questo programma?    

«La selezione di Nika Batista e Lorraine Hellwig è avvenuta tramite un’open call, in collaborazione con la galleria Atipografia di Arzignano, partner del progetto. La scelta ha dato grande peso alla volontà progettuale di entrambe di confrontarsi con una realtà complessa come quella del lavoro in Filanda, capace di intrecciare memoria storica, dimensione sociale e trasformazione produttiva. La loro ricerca si è dimostrata particolarmente adatta per inaugurare il programma perché ha saputo dialogare in profondità con il contesto, attivando un confronto diretto con il luogo e con le persone che lo hanno abitato».

Potreste descrivere i progetti specifici o la ricerca che Nika Batista e Lorraine Hellwig stanno sviluppando in loco e come questi si connettono con il tema della mostra Seta?  

«Durante la residenza, Nika Batista ha sviluppato Tutti i miei pensieri non sarebbero comunque abbastanza, un’installazione e performance che, partendo da giacche da uomo smontate e ricucite, riflette sulla memoria invisibile del lavoro femminile nella produzione tessile e sul peso storico delle strutture patriarcali. L’opera incorpora una mappatura dello spazio della Filanda basata sui segni lasciati a terra dal lavoro, trasformando il tessuto in una cartografia emotiva e storica. Lorraine Hellwig ha invece realizzato Fulminaria, una struttura fotografica site-specific che immagina l’esistenza segreta di un collettivo di artiste attive tra le operaie della Filanda negli anni ’50. Combinando frammenti d’archivio, simboli e fotografie con elementi narrativi inventati, l’opera costruisce una genealogia alternativa e una sorellanza possibile, intrecciando documento e finzione per dare visibilità a storie che non hanno trovato spazio nella narrazione ufficiale».

Nika Batista, AllMyThoughtsWouldStillNotBeEnough

Come il supporto del team di Arcangelo Sassolino e la rete locale facilitano il lavoro delle artiste e la nascita di nuove sinergie tra arte e impresa?  

«Il supporto del team di Arcangelo Sassolino e della rete locale è stato fondamentale per dare concretezza alle idee delle artiste. La conoscenza dei processi produttivi, la capacità di individuare materiali e soluzioni tecniche e il dialogo diretto con le aziende del territorio hanno permesso di trasformare progetti complessi in opere realizzate con un alto livello di precisione e cura.

Un esempio è la collaborazione tra Nika Batista e le Officine Bernardini per la realizzazione della struttura vibrante della sua installazione: l’azienda ha messo a disposizione materiali e competenze tecniche specialistiche, consentendo di tradurre un’idea complessa in un’opera compiuta. In questo scambio, la produzione artistica diventa un’occasione per generare innovazione reciproca, sia sul piano tecnico che su quello culturale».

Il dipartimento educational di RARE curerà laboratori per le scuole. Qual è l’obiettivo principale di queste iniziative nel coinvolgere la comunità locale e tramandare il valore del sito?  

«L’obiettivo principale è far sì che arte e cultura diventino parte della quotidianità, non un’esperienza occasionale legata a un evento. Per questo abbiamo coinvolto non solo le scuole di Trissino, ma anche istituti di Vicenza, invitando studenti di diverse età a entrare in contatto diretto con la Filanda e con le pratiche artistiche che ospita. I laboratori permettono di scoprire la storia del luogo, ma soprattutto di sperimentare linguaggi e tecniche insieme agli artisti in residenza. Non si tratta solo di trasmettere nozioni, ma di costruire un legame emotivo e creativo con lo spazio, affinché venga percepito come un bene condiviso. Per questo l’attività educativa è parte integrante del programma e viene richiesta anche agli artisti, che contribuiscono con proposte pensate per dialogare con la comunità».

Qual è la visione a lungo termine per Filanda e RARE? Ci sono piani per espandere il programma di residenza, ospitare nuove mostre o sviluppare ulteriori progetti?  

«La nostra visione a lungo termine è quella di consolidare la Filanda come un centro di produzione e ricerca artistica riconosciuto, capace di intrecciare stabilmente arte, impresa e comunità. Già nei prossimi mesi ospiteremo una residenza con l’artista catalana Mercedes Balle, interamente finanziata dall’Institut Ramon Llull, e il 2026 sarà un anno chiave per l’ampliamento della nostra struttura e delle attività. L’educational diventerà un appuntamento costante, con laboratori e progetti continuativi per le scuole, mentre stiamo lavorando per ampliare la rete di partnership, sia con collettivi artistici nazionali e internazionali sia con le aziende del territorio. Oltre alle residenze e alle mostre, introdurremo anche un appuntamento fisso di cinema settimanale, con l’obiettivo di rendere la Filanda un luogo vivo, aperto e completamente gratuito, dove la cultura diventi parte della vita quotidiana della comunità».

Lorraine Hellwig, Fulminaria

Quali sono state le maggiori sfide e i successi più significativi che avete incontrato finora nella realizzazione di questo ambizioso progetto?

«Aver avviato collaborazioni con realtà come l’Institut Ramon Llull e il Goethe-Institut per sostenere le residenze è stato un motore fondamentale, che ha dato forza e credibilità al progetto fin dall’inizio. Ma il successo più grande è stato vedere la Filanda di nuovo viva, attraversata dalle voci delle ex operaie e dall’entusiasmo dei bambini. Ritrovare nello stesso spazio la memoria di chi ci ha lavorato per decenni e la curiosità di chi lo scopre per la prima volta è il segno che il progetto ha saputo unire passato e futuro, trasformando un luogo ormai perduto in un centro pulsante di relazioni e creatività».

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