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Straperetana 2025, l’arte contemporanea riflette sul senso della famiglia
Progetti e iniziative
È giunta ormai alla nona edizione straperetana, la kermesse culturale ideata da Paola Capata e Delfo Durante che vede protagonista il borgo medievale di Pereto, in provincia dell’Aquila, dal 2017. Quest’anno, l’importante evento si è avvalso della collaborazione di Annalisa Inzana, che ha co-curato con Paola Capata l’intero allestimento.
Il titolo prescelto per questa edizione è Iperfamiglie, un tema coinvolgente e avvolgente. Come ha raccontato Annalisa Inzana in occasione del vernissage, il tema della famiglia ha un’accezione diversa a seconda delle epoche: nel mondo antico i famigli erano coloro i quali vivevano sotto lo stesso tetto e si occupavano della casa. Il termine non si esauriva all’interno delle persone collegate da parentela o matrimoni ma era esteso anche agli schiavi, ossia l’instrumentum domesticum che partecipava alla cura della domus. Con il passare del tempo, il significato di famiglia è andato modificandosi, rispettando stili di vita e cambiamenti della società. Oggi, il termine ha assunto una nuova sfumatura, più ampia, e include non soltanto i consanguinei ma si articola in rapporti più estesi.

Come ricordato dalla stessa Inzana, «Le famiglie sono degli insiemi» e nell’edizione di quest’anno l’insieme è dato da ben 15 artisti, tutti di grandissimo rilievo, che dialogano tra loro, adducendo disquisizioni e ragionamenti che potrebbero essere validi all’interno di qualsiasi famiglia contemporanea.
Le location selezionate sono Palazzo Maccafani, sede della Galleria Monitor, e Palazzo Iannucci, Casa del Prete. Le opere si inseriscono all’interno delle due dimore, abitando spazi e luoghi un tempo animati da famiglie, madri, padri, preti e figli. Iperfamiglie è dunque una riflessione diacronica sul concetto del nucleo familiare, i suoi luoghi e i suoi spazi.

Gli artisti selezionati per questa edizione sono Gaia Alari, Diana Anselmo, Stefano Arienti, Odonchimeg Davaadorj, Tomaso De Luca, Alessandra Di Mizio, Claudia Ferri, Sabrina Iezzi, Ketty La Rocca, Antonio Leone, Marzia Migliora, MP5, Giovanni Ozzola, Alberto Podio e Vedovamazzei. Ognuno di loro ha colto aspetti inediti del vivere comune, sguardi familiari riuniti sotto l’unica lente di ingrandimento delle curatrici che hanno saputo trarre collegamenti e relazioni tra le opere.
A Palazzo Iannucci, Stefano Arienti propone opere raffiguranti uomini nudi, profondamente densi di pathos narrativo. Sguardi profondi che emergono dal fondo della parete colpiscono il visitatore appena entrato e ricordano le dinamiche moderne che animano le famiglie attuali.

La mostra prosegue nella ben nota Stanza degli Affreschi valorizzata da un allestimento particolarmente suggestivo. Le tavole di Vedovamazzei, su cui l’artista ha prodotto dei fori, invitano a guardare oltre la materialità e a non perdere di vista la realtà. Ognuno di noi, inoltre, possiede un insieme di figure capaci di comporre una famiglia immaginaria. Le opere con fori rappresentano una parodia delle quadrerie ottocentesche.

Tomaso De Luca reinterpreta il tema dell’abitare, luogo in cui crescono e prolificano gli affetti. Le sue case in miniatura sono sistemate su supporti instabili, a ricordo della stessa instabilità che ha colpito il mondo dell’architettura queer negli anni Ottanta e Novanta, periodo in cui la diffusione dell’AIDS causò numerose morti. In quell’occasione, le case delle persone queer furono rivendute sul mercato immobiliare americano in maniera sconsiderata, svuotandole, così, degli affetti che le avevano governate.

Nel Mezzanino, Marzia Migliora introduce un’opera emozionante. A parete, infatti, è appeso un antico telefono da sottomarino da cui è possibile ascoltare Canto libero. L’opera le fu commissionata da Telefono Rosa Torino in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e riporta, in una traccia audio inedita, la voce delle operatrici del centro, intervallata dal canto delle balene. L’installazione è una denuncia e invita ad ascoltare il grido di aiuto delle vittime di violenza, un dramma che, come ci informa la stampa costantemente, coinvolge spesso le relazioni più intime.

Nella Cisterna, Gaia Alari propone un video che illumina il buio dell’antico antro. Il titolo Germinal introduce perfettamente al senso dell’opera, tesa a restituire la filiazione come un qualcosa di fortemente connaturato alla natura umana. In fondo, apparteniamo tutti allo stesso universo fatto di madri, figli, padri, genitori, terra, foglie, alberi e semi. Un monito per ricordarsi che i legami intessuti tra gli uomini e la natura sono profondi e necessitano di rispetto.

Prima di lasciare Palazzo Maccafani, raggiungiamo il Corridoio dove sono installate le opere di Diana Anselmo, giovane artista che riflette sul mondo della cultura Sorda e sulle costrizioni imposte verso le persone non udenti. In queste opere, i segni della LIS vengono depositati sulla carta carbone e dal muro emerge forte il grido di chi rivendica la propria libertà di espressione.

L’opera di Ketty La Rocca riconsidera il concetto di famiglia. Il quadro vede la foto di una bambola assemblata ad altri soggetti e, tra questi, si inserisce la parola YOU ripetuta più volte. L’opera sottolinea come il senso dell’altro spesso ci sfugga, mentre siamo sempre più orientati a porre l’accento su dinamiche autoreferenziali che ci rendono difficile la creazione di relazioni costruttive.
Lasciato Palazzo Maccafani, ci dirigiamo verso Palazzo Iannucci, un tempo adibito a Casa del Prete. Le sue stanze accolgono opere che instaurano rapporti intimi ed elettivi. In cucina sono sistemati gli acquerelli su carta di Odonchimeg Davaadorj con i suoi colori rosso intenso. Come una metafora umana e naturale, le radici degli alberi si intrecciano alle braccia degli uomini per segnare un’unica discendenza comune, sottolineata da un sottile filo rosso.

Nella Stanza Azzurra, le opere di Antonio Leone ci ricordano che spesso le famiglie includono anche animali. Le sue tele propongono corpi di uomini su cui si inseriscono volti di cani, in una commistione di senso che sottolinea il forte legame con gli animali domestici. Questi cani, dunque, sono pervasi da sentimenti umani, esattamente come noi, e partecipano indistintamente alla nostra sorte di uomini.

Nella Stanza del Prete, MP5 propone Home, una stampa che riproduce tre sagome di figure umane, appoggiata sulla ringhiera di un vecchio letto. L’allestimento è quanto mai azzeccato e porta l’attenzione sui diversi momenti che animano il vivere nelle nostre abitazioni, dalla cucina alla stanza da letto. Ci invita, inoltre, a considerare la famiglia come un’identità non strutturata ma come una formula aperta, caratterizzata da molteplici sfaccettature.

Nell’alto della Torre trova posto l’installazione site specific di Giovanni Ozzola. 20 quadri di diverse dimensioni animano la parete di fondo e restituiscono immagini lontane, colte nell’ampio orizzonte del mare. Da anni, Giovanni Ozzola ci introduce a una visione di seduzione dell’altrove: lo sguardo che l’artista imprime sulle sue opere, infatti, è sempre connaturato ad un desiderio di ricerca infinita. Le angolazioni con cui restituisce la visione del mare, rivelano quanto l’uomo non smetta mai di essere sovrastato dalla fascinazione dell’orizzonte, sia in un’ambientazione marina, che in una località montana come Pereto. Le montagne abruzzesi, visibili dalle finestre della torre, suggeriscono il desiderio di ricerca che perfettamente dialoga con la linea del mare riportata da Ozzola, rintracciata in spiragli aperti sugli abissi e in prospettive panoramiche.

Alessandra Di Mizio occupa con le sue installazioni la Prigione. Due porte accostate ricordano il senso di appartenenza alla propria terra e in Padam, Padam (pann mbuss) evoca azioni quotidiane, come quella di stendere i panni, segno di una vita continua vissuta tra gli affetti domestici.

Le sculture di corpi di Sabrina Iezzi animano lo spazio del Magazzino in una performance che invita l’osservatore a riflettere sulle tematiche proposte dall’artista. Le figure in terracotta e cruda ripropongono il senso di accudimento tra creatore e creato, tra artista e opera, tra genitori e figli. Esprimono il complesso bisogno di relazioni con l’altro e con se stessi. Le immagini, infatti, sono anche allusive dell’abitare il proprio corpo come una casa.

Il percorso di straperetana è valorizzato da opere esterne degli artisti Claudia Ferri e Alberto Podio.
Claudia Ferri propone immagini di donne colte in diverse età, che ci osservano mute. Silenziose spettatrici del nostro passare, Le osservatrici ci parlano delle fasi della vita umana e di come questa comporti cambiamenti dentro e fuori di noi.

Infine, Alberto Podio fotografa fondali marini e banchi di pesci. Simili a pennellate di una tela impressionista, queste famiglie di pesci ci ricordano che i simili, in qualsiasi latitudine e luogo vivano, sono soggetti a relazioni quasi fisiologiche. «I banchi di pesci sono famiglie numerosissime che vivono, si proteggono, viaggiano, sopravvivono perché restano insieme», come nelle normali famiglie umane.

«A partire dal prossimo anno straperetana non sarà più una mostra diffusa come l’abbiamo conosciuta finora», ha preannunciato Paola Capata. «Dopo nove edizioni sentiamo l’esigenza di rinnovarne la forma, pur restando fedeli allo spirito originario. Stiamo, quindi, lavorando a un nuovo formato per il decimo anno, capace di interpretare con maggiore efficacia la nostra visione, con l’obiettivo di continuare a valorizzare Pereto e i suoi spazi attraverso modalità diverse, in grado di aprire nuove strade alla sperimentazione e al coinvolgimento di artisti e pubblico».














