31 agosto 2015

Viaggio intorno al luogo

 
Nove artisti, una galleria e un’idea. La relazione tra spazio espositivo e opera d’arte prende corpo in una mostra. Che porta alle estreme conseguenze il concetto di site specific

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Raccontare un luogo. Scegliere se identificarlo in uno spazio fisico, espresso da numeri e coordinate geografiche o se parlarne attraverso i suoi riferimenti simbolici, le sue connotazioni sociali ed emotive. Una dualità di visione del pensiero occidentale in cui l’arte spesso assume una funzione mediatrice, mescolando nella propria indagine le ragioni sociali, filosofiche e antropologiche alla misurazione fisica e geografica dello spazio indagato. A cura di Lorenzo Bruni, “Raccontare un luogo – (Tales of a Place)” si presenta come un libero momento di confronto e di riflessione sull’idea di luogo e sulla relazione che intercorre tra spazio espositivo e opera d’arte, un mostra pensata come un dialogo tra nove artisti, di generazioni e riferimenti culturali differenti. Negli spazi della Galleria Enrico Astuni di Bologna gli interventi proposti da Maurizio Nannucci, Christian Jankowski, Suzanne Lacy, Nedko Solakov, Mel Bochner, Antonis Pittas, Mario Airò e Cuoghi & Corsello portano alle estreme conseguenze il concetto di arte “site-specific”, abbracciando tutte le espressioni della creatività contemporanea dalla pittura alla fotografia, dal video e alla scultura, dalle azioni performative e agli interventi sonori e relazionali. 
Come scrive lo stesso Bruni nel catalogo che accompagna la mostra e che esce a settembre, queste opere «nascono tutte dal confronto con differenti concetti di luogo e sulla relazione tra spazio immaginato, spazio percorso e la presenza dello spettatore. Questo però è solo il punto di partenza, e non il fine, per proporre una nuova analisi delle varie dinamiche di narrazione attivate in relazione alla possibilità di essere un migrante giornaliero – sia a livello fisico che virtuale, e rispetto alle nuove tecnologie e nuove possibilità di archiviare i fatti, i luoghi e le esperienze degli stessi». 
Christian Jankowski, Organize bigger show, 2015
Punto di partenza di questa riflessione non poteva che essere il concetto di non luogo teorizzato da Marc Augè che torna alla mente nelle immagini dei muri della Stazione Centrale di Bologna, che ospitano uno degli interventi più famosi del duo Cuoghi & Corsello (Bologna, 1965 – Mantova, 1964), l’oca Pea Brain (1990), scelto come immagine guida per la mostra. Un lavoro che dopo venticinque anni ritrova un collegamento ideale sul tetto della Galleria Astuni (a pochi passi della stazione ferroviaria) nella Zampa di Pea Brain, un’installazione site specific di 32 metri che sovrasta l’ingresso della galleria. Dallo spazio pubblico e condiviso al centro delle riflessioni del duo bolognese, si passa al racconto di un luogo inteso come proiezione intima e mentale così come proposto da Mario Airò (Pavia, 1961) che, tra derive oniriche ed emotive, suggerisce una riflessione sul significato più profondo dell’atto creativo, mescolando il suo intervento a citazioni duchampiane e letterarie. Per Mel Bochner (Pittsburgh, 1940) il luogo è invece inteso come un’entità fisica ben precisa, valutata attraverso il ritmo di crescita di alcune piante d’appartamento, come suggerito dai valori espressi nelle linee della griglia di misurazione di Measurement Plant (1969-2015). 
Mario Airò, L'amour fou, 2009
La riflessione sullo spazio fisico della galleria è al centro anche dell’opera di Maurizio Nannucci (Firenze, 1939), che vi aggiunge nuovo valore e significato attraverso l’uso di scritte a neon. Suzanne Lacy (Wasco, California, 1945) pone la sua attenzione al luogo pubblico per eccellenza, la città, descritta attraverso i rapporti sociali e le differenze di genere che si innescano nella società contemporanea in lavori come Prostitution Notes (1974/2015), Chickens Coming Home to Roost (1976/2015) e Tattoed skeleton (2010). Al centro della sua indagine c’è il corpo femminile, mercificato alla stregua di oggetto sessuale, da usare e di cui abusare a piacimento in una società ormai alla deriva. Di particolare impatto suggestivo è l’opera del greco Antonis Pittas (Atene, 1973) che propone la ricostruzione del progetto di cinema di Herbert Bayer (1924-1925), designer austriaco esponente di spicco del Bauhaus, con le sue pareti colorate che diventano lo sfondo per accogliere tre sculture realizzate in ottone. Ognuna di esse rappresenta l’andamento di una curva in un grafico finanziario, così come esemplificato dai titoli Aggregate demand, aggregate supply (Ammontare della domanda, ammontare dell’offerta); Marginal costs (Costi marginali); Labour costs tepid (costi non incidenti del lavoro); dati economici che ci riportano alla mente la triste attualità delle crisi ellenica. Concludono il percorso la pittura site specific di Nedko Solakov (Tcherven Briag, Bulgaria, 1957) e i lavori di Christian Jankowski (Gottingen, 1968), maestro nel muoversi sul confine tra realtà e surrealtà, con interventi che mescolano vita pubblica e privata. Per quest’occasione, Jankowski sceglie di esporre uno dei suoi lavori all’interno del magazzino della galleria, rendendo così praticabile al pubblico un luogo ufficialmente nascosto e privato, riempito di scritte al neon tratte dagli appunti presi dal suo taccuino, nella serie What still needs to be done
Leonardo Regano

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