08 ottobre 2009

fino al 16.X.2009 Virginia Ryan Roma, Spaziottagoni

 
Profumo di mare. Il suono delle onde: lunghe pause fra andate e ritorni. E quei frammenti di umanità che l’oceano porta con sé. Un dare e avere che parla di storie vissute...

di

Sono
costruzioni mnemoniche che partono da lontano – affiorano, poi s’insinuano nel
presente – quelle che affascinano Virginia Ryan (Melbourne, 1956; vive a
Trevi, Perugia, e Accra). L’artista, viaggiatrice e scrittrice
australiana (ma è cittadina italiana dal 1981) ha camminato molte volte per le
spiagge immense del Ghana – Pram Pram, Jamestown, Labadi, Anomabo – affondando
i piedi nella sabbia impalpabile.
Passeggiate
alla scoperta di tesori di “antropologia contemporanea”, come li definisce Ryan. Quei frammenti di
ciabatte in plastica, pettini, forchette, bottiglie, bambole, lembi di tessuto,
reti di pescatori, conchiglie, legno… Sono viaggiatori disillusi, eroici
sopravvissuti di un’epoca piena di contraddizioni.
Oggetti
che, viaggiando, si caricano di altri significati. La metamorfosi comincia tra
i flutti dell’oceano per continuare sulla battigia, nello studio di Accra e
approdare, infine, nei luoghi dell’arte: prima bagnati e poi asciugati al sole,
raccolti, collezionati, rielaborati, questi pezzi acquistano – per mano
dell’artista – un’identità nuova.
Il
corpus di Castaways è costituito
da duemila moduli 26×30. Un work in progress iniziato nel 2003 e destinato a proseguire, a
breve, in Costa d’Avorio, e di cui lo Spaziottagoni presenta una selezione
concepita come site specific.
Virginia Ryan - Sentiero (particolare) - 2009 - disegno su carta, tecnica mista - photo Manuela De Leonardis
Rispetto
alle precedenti esposizioni di Accra, Manchester e Spoleto, questa romana offre
ulteriori spunti di riflessione, attraverso le due elaborazioni fotografiche
della serie Elmina (2004-07),
oltre ad African Cube e altre
opere di Topographies of the Dark
(2008) e, per la prima volta, Sentiero (2009).
I
suoni dell’Africa, nell’interpretazione ed elaborazione dell’antropologo e
musicologo americano Steven Feld
– autore anche di Anomabo Shoreline
e del video Where water touches land (2007) – si diffondono negli ambienti della galleria, coinvolgendo
emotivamente lo spettatore.
La
luce calda dei tramonti tropicali entra negli assemblaggi di Castaways, resi immortali dalle tracce dorate che
illuminano la vernice bianca che avvolge ogni pezzo, liberandolo – proprio
attraverso quest’“atto di purificazione” – dai limiti della riconoscibilità.
È
il riaffiorare di una memoria collettiva che non può essere cancellata, come
quella a cui rimanda Elmina.
Volti di uomini che si stagliano sullo scenario dell’omonima fortezza ghanese,
sito storico che dal 1482 – quando fu edificata dai portoghesi – fino al 1871
fu snodo fondamentale sulla rotta della tratta degli schiavi.
Virginia Ryan - Castaways (particolare) - 2003-08 - tecnica mista - cm 26x30 ogni modulo - photo Manuela De Leonardis
Un
passato indelebile, quindi, che si srotola come in Sentiero, dove Virginia Ryan disegna una texture fitta di suole che s’incastrano, passo dopo passo,
ed evocano la forma del sampietrino. In Topographies of the Dark, invece, è il nero a inghiottire la materia, a
omologare l’insieme: pezzi di sandali lambiti dal catrame, sfiorati dai granelli
di sabbia. Echi di storie lontane e di realtà vicine, nei vortici della
corrente.

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visitata il 30 settembre 2009


dal
2 al 16 ottobre 2009
Virginia
Ryan – Castaways Project e Topographies of the Dark
a
cura di Giuseppe Salerno
Spaziottagoni
Via
Mameli, 9 (zona Trastevere) – 00153 Roma
Orario:
da martedì a sabato ore 17.30-20
Ingresso
libero
Info:
salernogiu@tiscali.it; www.spazioottagoni.com

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