13 settembre 2013

Ritratto del curatore da giovane

 
Appuntamento con Luca Lo Pinto, curatore trentunenne e caporedattore di ‘NERO’, magazine dedicato all’arte e dintorni distribuito sia in Europa che negli Stati Uniti
di Manuela Valentini

di

Luca, dove vivi e lavori?
«Sono nato a Roma trentuno anni fa dove al momento vivo».
Qual è il tuo percorso formativo?
«Mi sono laureato all’Università “La Sapienza” di Roma, con una triennale ed una specialistica in storia dell’arte contemporanea con una tesi rispettivamente su Felix Gonzalez Torres e Mike Kelley. Nel 2004, quando ancora stavo studiando, ho fondato il magazine NERO. Nel 2003 ho lavorato per un anno nella galleria “Primo Piano” dove ho avuto la fortuna di incontrare artisti come Graham Gussin, Cesare Pietroiusti, Luca Vitone e Olaf Nicolai. Con molti di essi è nata una collaborazione professionale ed un’amicizia che dura fino ad oggi. Fin da subito mi sono reso conto che la mostra era lo strumento migliore per poter interagire direttamente con le opere e con gli artisti. Questi incontri mi hanno fatto capire che non c’era bisogno di frequentare una scuola per essere un curatore, ma che la scuola erano gli artisti stessi». 
Veduta della mostra D'après Giorgio alla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, 2012/2013 - photo: Matteo Alessandri/cameroscura
A proposito del magazine ‘NERO’, non ti senti in difficoltà a ricoprire il doppio ruolo di curatore ed editor?
«Assolutamente no. L’attività di curatore è nettamente separata da quella di editor della rivista, anche se ovviamente sono due braccia di uno stesso corpo. Ciò che li unisce è l’approccio. NERO è una rivista d’arte atipica con un’attitudine – anche se suona banale – curatoriale e concepita, soprattutto nella nuova veste editoriale, come una mostra di mostre. Tenta di ragionare sui processi e gli immaginari che producono un’opera d’arte più che riflettere sull’opera come oggetto in sé. In questo senso la rivista è uno spazio in cui poter sperimentare, come lo spazio espositivo o un libro».
Come mai negli ultimi anni hai incrementato l’attività di curatela di mostre d’arte contemporanea?
«È stato qualcosa di naturale. Non ho una scaletta da rispettare. Mi godo la libertà di poter scegliere di lavorare su progetti che mi interessano veramente, senza dover rispondere a nessun altro. Ritengo sempre più stimolante provare a sfruttare tutte le possibilità che il linguaggio espositivo può offrire per produrre un discorso sull’arte e sfidare i codici normativi sulla produzione espositiva. Nonostante si discuta molto sulle pratiche curatoriali e sul ruolo del curatore, nella realtà poche sono le mostre che veramente provano a fare un passo avanti non solo nelle parole, ma anche nei fatti». 
Veduta della mostra Luigi Ontani - AnderSennoSogno, Museo Hendrik Christian Andersen, Roma, 2012/2013 - photo Matteo Alessandri/cameroscura
Non pensi che questa tua attività ‘multitasking’ possa in qualche modo andare a scapito dell’una o dell’altra?
«Non credo. Prima di tutto perché il multitasking oggi è necessario per comprendere il mondo in cui viviamo soprattutto lavorando nel contemporaneo. Inoltre risponde al mio essere compulsivo. Quindi faccio una rivista, edito libri, realizzo mostre, scrivo. Mi viene abbastanza naturale e non lo vivo come un aspetto negativo».
Progetti futuri?
«Sto per inaugurare una mostra al Palais de Tokyo intitolata “Antigrazioso” che ha come punto di partenza le fotografie di Medardo Rosso inserite in uno scenario composto da opere d’arte e non solo. Sto terminando il catalogo della mostra “D’après Giorgio” che ho curato nella casa museo di Giorgio De Chirico; finendo di collaborare ad un volume sull’arte italiana degli anni ’00 (dal 2000 ad oggi) commissionato dalla Quadriennale di Roma e ultimando un progetto editoriale con cadenza quinquennale pensato come una “time-capsule”; il primo capitolo uscirà nel 2014 e includerà tutti i contenuti raccolti cinque anni fa. Contemporaneamente sto lavorando alle mostre personali di due artisti storici che dovrebbero inaugurare il prossimo anno.» 
 

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