07 dicembre 2012

Ritratto del curatore da giovane

 
Secondo appuntamento proposto da Manuela Valentini. Questa volta con Cecilia Guida, che ci racconta la sua formazione e il significato dei tanti passaggi compiuti al suo interno. Fino ad approdare alla pratica curatoriale

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Trentaquattro anni, una formazione culturale invidiabile, una cattedra di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti de l’Aquila, e da quest’anno anche in Storia dell’arte antica. Poche parole ma sufficienti per descrivere la vita professionale di Cecilia Guida, curatrice di origine pugliese ‘trapiantata’ a Milano. A dir la verità ci confida che a volte non sa più neanche lei di dov’è, i frequentissimi spostamenti in giro per l’Italia e all’estero. Per Exibart si è fermata e ci ha raccontato la sua giovane, ma già affermata carriera.

In cosa ha consistito il tuo percorso formativo?

«Dalla provincia pugliese mi sono trasferita a Roma per frequentare la facoltà di Scienze della Comunicazione a ‘La Sapienza’. Nel 2003 mi sono laureata in Sociologia dell’arte e della letteratura. Dopodiché ho seguito un master, sempre presso la stessa Università, in Ideazione, Marketing e Management degli Eventi Culturali. Dopo qualche anno mi sono trasferita a Milano, per frequentare il dottorato di ricerca in Comunicazione e Nuove Tecnologie allo IULM. Nella capitale ho vissuto dieci anni; nonostante mi spostassi spesso, la mia base in quel periodo era Roma».

Cosa ti ha lasciato il master? Trovi sia stato utile?

«Anch’io a posteriori mi sono chiesta più volte se era valsa la pena di frequentarlo e di affrontare un così grande esborso di denaro. A distanza di anni, posso dire che è stato utile. Oltre a fornire un inquadramento teorico, offre anche la possibilità di avere a che fare con artisti, curatori, organizzatori di eventi e operatori culturali di spessore. La prova finale del mio master, per esempio, è stata una mostra su un concetto socio-antropologico, quello delle ‘Tribù della memoria’ alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, preceduta da uno stage al Museo Pecci di Prato. Penso che il master sia un’esperienza da sfruttare al massimo, senza pensare di rivolgersi ad un ufficio di collocamento. È un ottimo momento per imparare ad organizzare una mostra, poi si può essere più o meno bravi, ma intanto si apprende a farlo».

A quando risale la tua esperienza alla Fondazione Pistoletto?

«Al 2009, ovvero mentre ero al secondo anno del dottorato di ricerca. Ho risposto all’open call di ‘Cittadellarte’ e, dopo aver inviato un progetto, sono stata selezionata per partecipare alla residenza chiamata UNIDEE, insieme ad un gruppo di creativi provenienti da tutto il mondo. Io ero l’unica italiana. Durante la mostra finale (anche se sarebbe più appropriato parlare di qualcosa come un open studio), abbiamo presentato al pubblico i progetti sui quali avevamo riflettuto nel periodo della residenza. Si trattava di progetti ‘in progress’, cioè solo avviati, ma con l’intenzione di svilupparli e completarli una volta tornati ognuno nei propri Paesi e alle proprie abitudini. Questa esperienza è durata quattro mesi, è stata molto intensa e utile per maturare una mia personale idea della pratica curatoriale».

Qual è l’ultima mostra che hai curato?

«Il 5 ottobre ho inaugurato nel Museo del Presente della Fondazione Pistoletto di Biella una mostra intitolata “ARTInRETI”, dedicata alle pratiche artistiche e alla trasformazione urbana in Piemonte. Nel lavorare a questo progetto mi sono confrontata con la ricerca degli STEALTH, duo di artisti olandesi che, insieme a Juan Sandoval, hanno presentato nello stesso spazio l’attività di soggetti istituzionali e indipendenti sul tema dell’arte e del contesto sociale, ma con un focus internazionale. Per realizzare questa mostra ho preso spunto dai contenuti del mio libro uscito nel maggio scorso (che presenta parte della mia ricerca di dottorato) dal titolo ‘Spatial Practices. Funzione pubblica e politica dell’arte nella società delle reti’. Con questo progetto espositivo ho avuto modo di collegare alcuni elementi chiave della mia ricerca alle esperienze e alle progettualità artistiche di un territorio specifico come quello piemontese».

Quale la mostra che ti ha dato maggior visibilità?

«Il progetto ‘ArtHub’, insieme alla mostra collettiva che ho appena finito di descrivere. ArtHub è un archivio di più di mille opere di video e sound arte che curo, insieme a Giovanni Viceconte, da quasi due anni per la piattaforma d’arte contemporanea Undo.Net. In questo periodo, l’archivio è cresciuto parecchio grazie ai tantissimi lavori che gli artisti caricano quotidianamente sul sito. Ogni settimana ne proponiamo due per il progetto 2Video e spesso prepariamo delle selezioni ad hoc su temi specifici legati a delle mostre, com’è capitato recentemente a L’Aquila (in una rassegna sul tempo) o pochi mesi fa al CRAC di Cremona in occasione della giornata del contemporaneo, per fare degli esempi».

Quali sono gli artisti con cui lavori più frequentemente?

«Dipende dai progetti. Ogni volta svolgo una ricerca rivolta agli artisti da sentire, incontrare ed, eventualmente, coinvolgere. La selezione non avviene mai in maniera automatica».

Cosa non apprezzi di questo settore?

«È un ambiente fortemente competitivo. Però mi piace pensare, e vivere, la competizione in termini positivi, ovvero non come a una modalità per mettere in difficoltà o per escludere l’altro, ma come a una spinta per lavorare meglio e con più stimoli».

Cosa ti sprona ad andare avanti nonostante la crisi e i momenti di difficoltà?

«Il fatto che c’è tanto da fare e che noi giovani abbiamo tante cose da dire. Certo, è difficile, ci sono pochi soldi e tutto è più complicato, però quando si concretizzano delle possibilità, bisogna cercare di sfruttarle al massimo, proponendo idee nuove e punti di vista non convenzionali attorno al tema in questione».

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