12 settembre 2013

Ritratto del curatore da giovane

 
Intraprendente e generosa. Eva Comuzzi, curatrice indipendente di Udine, si racconta ad Exibart. “L’arte è politica” e ha bisogno di fatti e non di parole vuote
di Manuela Valentini

di

Eva, presentati per favore.
«Ho 36 anni e vivo a Rivignano, un piccolo paese nella bassa friulana attorniato da fiumi e sorgive». 
Secondo te quale ‘step’ della tua formazione è stato decisivo per consolidare la tua professione?  «Sicuramente l’arrivo alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone. Era il dicembre 2003 e mi ero laureata da pochi mesi. Conoscevo Andrea Bruciati dai tempi dell’Università e una volta diventato direttore della struttura mi invitò a fargli visita. Ho iniziato subito con la didattica e un mese dopo ci fu il vero battesimo del fuoco… Doveva assentarsi dall’ufficio per un paio di giorni e mi chiese, senza darmi alcuna spiegazione o indicazione, di procedere nell’organizzazione di On Air: video in onda dall’Italia. 90 artisti, scelti da altrettanti 90 curatori, il tutto da farsi nell’arco di un mese circa, catalogo compreso. Non ne conoscevo uno. Nessuna galleria, nessun critico, niente di niente! Figuriamoci, ero appena uscita dall’Ottocento della mia tesi su Monet a Venezia e venivo catapultata in un presente a me totalmente oscuro. Nonostante da qualche parte sia sfuggito il madornale refuso “Galleria Neon, Padova” (e chissà cos’altro ancora!), ho passato la prova e sono rimasta lì sino a quando la galleria ha smesso di dedicarsi al contemporaneo: otto anni. Nel mentre, ho anche frequentato un corso per curatori alla “A+A” e un master in “II livello in ideazione, allestimento e conservazione dell’arte contemporanea” (che mi ha anche dato la possibilità di fare un breve stage alla 52. Biennale di Venezia e all’ASAC), che si sono rivelati sì interessanti ed arricchenti, ma che alla fine credo non possano valere l’esperienza sul campo. Il contatto diretto con le cose e le persone, la parte pratica, oltre che quella romantico-intellettuale. Cercare, provare, sbagliare, osservare come lavorano gli altri e capire cosa va e cosa non va, avere contatti continuativi e diretti con gli artisti e con le persone che visitano le mostre e altro ancora, credo siano gli ingredienti che ti possono aiutare a definirti maggiormente, a farti capire quali sono i tuoi limiti e i tuoi punti di forza». 
Veduta della residenza Painting Detours, Guado dell'Arciduca, Nogaredo al Torre (UD), studio di Vito Stassi
Quali sono le motivazioni che ti spingono a curare una mostra d’arte? Qual è lo scopo di una mostra secondo te?
«Non credo sia possibile spiegarlo a parole. È qualcosa che sento e che ho sempre desiderato profondamente. Qualcosa di vitale per me, che mi viene spontaneo, che sento naturale. Che mi dà degli stimoli e che mi auguro li dia anche a chi visita le mostre; che provochi riflessione, curiosità, voglia di andare in profondità. Che faccia sognare o perché no, anche star male. Che sia in grado di dare nuovi o differenti punti di vista. Insegnarti a mettere le cose o te stesso in discussione, toglierti delle certezze e dartene altre. Che sappia emozionarti, sensibilizzando la tua persona. Insomma, che sia in grado di farti fare un percorso di vita stimolante, energico e in continuo movimento». 
Veduta della mostra Studio Visit, GC.AC, Monfalcone (GO), installazione di Thomas Braida
Qual è il tuo metodo di lavoro? 
«Lo sai che non ci ho mai pensato? Se per metodo di lavoro intendi come mi muovo o che cosa faccio nel momento in cui devo organizzare una mostra, posso risponderti che dipende. Alle volte parto da una tematica che voglio affrontare e di conseguenza scelgo gli artisti, altre volte parto da un artista che mi interessa e ci costruisco la mostra. Altre ancora, vedo uno spazio, penso agli artisti che sarebbero in grado di vestirlo e poi penso alla tematica. E scelgo sempre artisti e temi che ovviamente mi interessano, su cui sto facendo delle riflessioni o ricerche. Poi ci sono casi in cui si lavora per delle istituzioni pubbliche, musei o gallerie e dove le scelte esulano dal gusto personale e si cerca piuttosto di creare una panoramica che mostri come artisti, magari della stessa generazione, lavorino con la videoarte o la pittura o altri media. Penso ad esempio ai format che presentavamo a Monfalcone da videoreport a soft cell, da studio visit a Fruz. Poi, non avendo mai avuto la fortuna di lavorare con uno staff, procedo con la parte organizzativa e della comunicazione e infine con allestimento e didattica. E così via». 
Veduta della mostra Studio Visit, GC.AC, Monfalcone (GO), installazione di Tiziano Martini e Alessandra Piga
L’arte e la politica. C’è un confine che separa l’arte e la politica o vanno di pari passo? La politica è arte? 
«Non so se dirti che è una domanda che speravo non mi facessi e che di sicuro mi perderò nella risposta… Di getto e in modo piuttosto scontato, ti dico che credo che l’arte non abbia confini e come tale abbia accesso al tutto, dall’altro lato, fare politica dovrebbe essere un’arte. Affermazioni sentite e ribadite, che purtroppo però non hanno attuazione, quindi nemmeno così banali… Continuerei infatti dicendo che la politica fa abitualmente a meno dell’arte, ma l’arte non può fare a meno della politica. E che, come rispondono praticamente tutti, fare arte, non può prescindere dalla politica. Anzi l’arte è politica. E su queste ultime affermazioni ho spesso molti dubbi e pensieri divergenti, nonostante io creda sempre in un collegamento ed un fluire e confluire fra le cose. Eppure, se non ci fossi dentro – all’arte intendo – direi che entrambe non possono avere confini perché non si vedono territori. Non si vedono gli effetti. Non si vedono i benefici. Pare non esistano. Non si capisce di che cosa si occupino l’arte e la politica. Non si capisce per chi, artisti e politici, facciano le cose, se non quasi sempre per se stessi. E qui la politica dovrebbe intervenire con dei programmi educativi per colmare le lacune… E gli artisti fare forse più arte e meno politica?»
 Veduta della mostra Lidrîs, Palazzo Liberty abbandonato, Rivignano (UD), installazione di Valerio Nicolai
A che cosa ti stai dedicando al momento?
«Ho da pochi giorni concluso Different Pulses, un Festival delle Arti Immateriali a Cividale del Friuli, che ha incluso performance, installazioni e proiezioni video, progetto dal quale si è poi sviluppato Le lacrime degli eroi: arte in movimento per una nuova idea di scultura, che curo assieme ad Andrea Bruciati nell’ambito di ArtVerona, e dove i lavori entreranno a far parte dell’Archivio Regionale di Videoarte del Veneto. Sto definendo poi le nuove tematiche da affrontare nelle conversazioni d’arte contemporanea, che ripartiranno nel mese di ottobre, il progetto di laboratorio in collaborazione con l’ospedale di Udine, assieme agli artisti e ai bimbi disabili e affetti da malattie rare, e un programma annuale di mostre nello spazio cortequattro, sempre a Cividale». 

2 Commenti

  1. ciao, EVA,HO VISTO IN TUO L*INIZIO -UNA EMENSA ENERGIA CREATIVA,MI PIACEREBERRE CONTATTARE .PERCHE STO INIZIANDO LAVORO COME TE.
    B.L.
    A PRESTO.

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