14 febbraio 2013

Ritratto del curatore da giovane

 
Alla nostra rubrica dedicata alla giovane curatela italiana, non poteva mancare l'intervista all'attuale direttrice della Fondazione Giuliani di Roma: Adrienne Drake. Un ottimo spunto per capire cosa vuol dire fare cultura per un ente privato. Ed ecco cosa risponde alle domande di Manuela Valentini

di

Adrienne, puoi presentarti brevemente?

«Sono nata a San Francisco, in California, ma ho trascorso la mia infanzia a Londra. Durante l’adolescenza la mia famiglia è tornata a vivere negli Stati Uniti. Ho vissuto e ho studiato tra la California e New York, poi mi sono trasferita a Roma nel 2001, dove attualmente dirigo la Fondazione Giuliani».

A quali studi ti sei dedicata?

«Ho studiato Storia dell’Arte all’Università della California, Santa Cruz, concentrandomi sull’arte medievale e moderna. Volevo diventare restauratrice, così mi sono trasferita a New York dopo l’università per frequentare corsi preparatori alla School of Visual Arts e al Fashion Institute of Technology. Per mantenermi, ho iniziato a lavorare in una galleria d’arte contemporanea, anche se non avevo mai approfondito quel periodo storico nei miei studi accademici. Frequentando quell’ambiente, ho iniziato a partecipare alle mostre, a guardare le opere e soprattutto ad ascoltare gli artisti parlare di arte. Ho abbandonato l’idea di diventare restauratrice e sono tornata a San Francisco per lavorare al San Francisco Museum of Modern Art».

Attualmente dirigi la Fondazione Giuliani a Roma. Di cosa si tratta? Quale lo scopo? Che impronta stai cercando di dare alla Fondazione?

«La Fondazione Giuliani è un’istituzione no-profit, nata nel 2010 per volontà dei collezionisti Giovanni e Valeria Giuliani. La Fondazione è dedita al sostegno, alla ricerca e alla valorizzazione dell’arte contemporanea, con un particolare interesse per le pratiche e le metodologie delle ultime generazioni di artisti italiani e internazionali. In senso più ampio, la programmazione si focalizza sullo sviluppo della scultura di oggi, e l’indagine sulle varie stratificazioni delle relazioni tra gli oggetti. Per ogni nuova mostra, incoraggio l’artista a rimarcare e cambiare lo spazio espositivo per farlo diventare luogo di azione che cambia costantemente, in cui l’allestimento dirige i movimenti del visitatore attraverso percorsi costruiti come una messa in scena. Spero poi che la Fondazione possa contribuire a un investimento a lungo termine nella cultura contemporanea, nel senso profondo di comunità e continuità per la città. Che possa essere considerata, insieme alle altre istituzioni locali di grande qualità e con le quali abbiamo un dialogo aperto, partecipe della costruzione di una struttura stabile per la cultura contemporanea a Roma, intavolando nello stesso tempo un discorso di livello internazionale».

Prima di lavorare per la Fondazione Giuliani, di cosa ti sei occupata?

«Prima di aprire la Fondazione, lavoravo già da qualche anno alla Collezione Giuliani. In precedenza ho fondato e gestito, insieme ad altri curatori, lo spazio no-profit ‘1:1projects’.

‘1:1projects’ era un network indipendente per la produzione di arte contemporanea che elaborava progetti che favorissero le pratiche partecipative e le collaborazioni interdisciplinari. Abbiamo sviluppato e prodotto seminari, incontri e mostre, cercando di costruire uno spazio di ricerca capace di creare nuove forme di dialogo, ricezione e diffusione di arte e cultura contemporanee. Abbiamo inoltre realizzato un archivio di portfolio di artisti sia italiani che internazionali. Contemporaneamente lavoravo come curatrice indipendente. Nel 2006 ho co-curato con Cecilia Canziani e Athena Panni Setting the Scene, una serie di commissioni off-site in collaborazione con vari archivi e istituzioni a Roma e nel 2007 ho co-curato con un critico cinematografico una rassegna video al Festival Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro».

Quali sono le differenze tra lavorare in un’istituzione pubblica e in una privata? Quali i vantaggi e gli svantaggi?

«Non ho mai lavorato in un’istituzione pubblica italiana, ma la mia percezione è che, a differenza dei musei americani, qualsiasi iniziativa culturale sia sempre subordinata alle dinamiche politiche, impedendo una continuità progettuale e gestionale. I musei italiani dovrebbero essere i punti di riferimento per la cultura contemporanea, e non istituzioni precarie spesso dipendenti dalle volontà dei politici, quali di fatto sono».

Quale la tua prima mostra?

«Quando vivevo a San Francisco, spesso collaboravo a delle mostre “pop up” nella città che venivano organizzate nelle case private, o negli spazi commerciali vuoti, o in qualsiasi location fuori dai parametri tradizionali dello spazio espositivo. In quegli anni San Francisco era ai margini dell’arte contemporanea, che negli Stati Uniti ha sempre avuto il suo fulcro a New York e successivamente a Los Angeles. In realtà artisti di grande talento vivevano a San Francisco, tra cui Chris Johanson, Margaret Kilgallen, Colter Jacobsen, e spesso le mostre nascevano da una spontanea collaborazione tra artisti, musicisti e curatori. C’era entusiasmo nel fare delle cose con una sorta di attitudine “fai da te”, dove scambi interessanti potevano accadere fuori dagli schemi tradizionali. Non c’era definizione di authorship, il mio ruolo professionale di curatore ha preso forme definitive dopo il mio trasferimento in Italia».

Quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra la Fondazione e la Collezione Giuliani?

«La Fondazione e la Collezione sono due entità distinte. Secondo le pratiche degli artisti invitati a esporre in Fondazione, ad esempio Nora Schultz e Ahmet Ögüt, capita, però, qualche volta che invito l’artista a creare un progetto in connessione con le opere della Collezione. Utilizzando la Collezione come archivio, materiale di ricerca ed esperienza, gli artisti stimolano letture multiple di una singola opera d’arte, arricchendo e approfondendo il contesto del display attraverso più livelli di significato e interpretazioni».

Progetti futuri?

«Nel futuro più immediato, in Fondazione, ci sono la mostra personale di Sab Patane e quella di Benoît Maire, in collaborazione con la David Roberts Foundation di Londra. Sto lavorando inoltre ad una mostra che si terrà a Londra nel 2014 che indagherà sul racconto orale e le sue trasformazioni, e mi sto occupando di un progetto collaborativo che si terrà a Zagabria tra qualche mese».

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